Quando si sente parlare di solidarietà femminile, non viene mai in mente nulla di buono. Nell’immaginario collettivo, quella sorellanza è spesso sottovalutata, quasi demonizzata, raffigurata con immagini di donne che appoggiano altre donne solo perché condividono la stessa coppia di cromosomi X, ma senza alcuna motivazione logica alla base. Se si volesse misurarne la percezione, verrebbero fuori idee di accordi taciti e indissolubili tra amiche che si scambiano rossetti e tramano contro gli uomini per il solo gusto di mettersi in gruppo ed escluderli. È a causa di questa narrazione pop e dominante che è difficile affermare la legittimità, non solo di quella solidarietà nata per difendersi dagli abusi di genere, ma anche delle battaglie giornaliere che molte donne conducono e delle celebrazioni come quella di oggi.
Il 25 novembre è la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, ufficializzata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999. Scelta in ricordo dell’assassinio delle sorelle Mirabal, stuprate, torturate e uccise per l’impegno che misero nella loro lotta alla dittatura dominicana, questa data vuole ricordare al mondo che la strada per la parità è ancora lontana, che la violenza sulle donne non solo è ancora largamente diffusa, ma che è strettamente legata al loro genere.
Spesso si tende a sottovalutare la diffusione della violenza di genere, a volte per insensibile superficialità, altre perché non se ne può comprendere la portata se non se ne ha esperienza diretta, altre ancora semplicemente perché certe forme di abuso sono talmente normalizzate da non essere percepite come tali. Molte di esse, infatti, non possono essere registrate, ma anche i dati di quelle registrabili dovrebbero far pensare. Il 35% delle donne che abitano il nostro pianeta subisce abitualmente violenza. In numeri reali, significa 1.3 miliardi di persone maltrattate, abusate, violate o uccise. Non si tratta, però, di tutte le forme di violenza perpetrate nei confronti della metà femminile della popolazione: si tratta della violenza perpetrata sulla base del genere, di quelle donne maltrattate, abusate, violate e uccise a causa del loro apparato genitale, del loro essere donne. È bene chiarire questa differenza, tutt’altro che sottile, per confutare la convinzione secondo cui la parità sia più vicina di quanto sembri e le lotte femministe siano solo isteria ingiustificata.
I dati dei paesi occidentali non sono meno preoccupanti di quelli del resto del mondo. In quelle nazioni a cui piace vantare infondata modernità, forse la violenza non è evidentemente istituzionalizzata come altrove, ma è fatta di gesti, a volte piccoli, altre plateali, difficili da denunciare. Ai 4mila reati di violenza sessuale che avvengono ogni anno in Italia, alle 3mila donne che hanno denunciato violenza domestica solo nel mese di marzo e alle migliaia di abusi che non vengono mai denunciati, si aggiunge un’infinità di altre violenze, quelle che avvengono sotto gli occhi di tutti, per strada, sugli autobus e dentro casa. Quei reati invisibili, quegli abusi giustificati, sono talmente normalizzati nelle nostre società moderne, ma dal retaggio patriarcale, che non sono percepiti come violenze, a volte neanche dalle stesse vittime. Alcuni di essi sono addirittura considerati crimini dalla giurisprudenza ma, di fatto, difficili o impossibili da condannare. Stalking, catcalling e molestie sono eventi che avvengono ogni giorno e che tutte le donne hanno subito almeno una volta nella vita – e di solito, purtroppo, molto più spesso.
È proprio a causa di quegli abusi non registrabili e non realmente condannati dalla legge che spesso nascono realtà di tutela alternative che offrono, se non una protezione, un supporto alle donne abusate. Si tratta per lo più di gruppi e comunità in cui ci si supporta a vicenda, in cui le vittime possono ascoltare le voci di altre vittime e immedesimarsi in quelle stesse dinamiche, o in cui gli uomini possono leggere storie che non immaginavano esistessero. Un esempio che ha raggiunto un successo sorprendente è Sono Solo Complimenti, un progetto nato per sensibilizzare sulla violenza quotidiana e invisibile e che ha finito per raccogliere centinaia di testimonianze. Oltre al supporto di specialisti offerto dalle creatrici del progetto, ciò che sorprende sono le storie anonime di centinaia di donne raccolte e pubblicate all’interno del profilo Instagram. In certi casi si tratta di fenomeni talmente normalizzati che le vittime stesse non se ne rendono conto a lungo, ma invito i lettori a sfogliare il profilo e a leggere un paio di testimonianze, per comprendere quanta paura devono provare ogni giorno le donne di tutte le età.
Quando mi sono imbattuta in questo account, pensavo di soffermarmi su una decina di post e poi proseguire con la mia vita. Invece, non sono riuscita a fermarmi finché non li ho letti tutti, e sono certa che quei racconti faranno lo stesso effetto a chiunque. La sensazione di angoscia che emerge con l’arrivo della consapevolezza di non essere mai realmente al sicuro deve accomunare tutte le donne. Si legge di stupri brutali avvenuti per mano di sconosciuti o di amici, di mani indesiderate che violano l’intimità, di nonni e zii che toccano le nipoti bambine, di autoerotismo praticato alla vista delle donne incontrate per strada o sul treno e, soprattutto, di testimonianze di quel fenomeno tanto diffuso quanto sottovalutato, di cui è stata inevitabilmente vittima ogni donna: il catcalling. È la violenza invisibile per eccellenza, è quell’abuso normalizzato a tal punto da non avere neanche un nome nella nostra lingua. Quegli apprezzamenti indesiderati, di solito sconci e violenti, urlati dall’auto in corsa o dall’altra parte della strada, qualche volta dallo stesso marciapiede, sono giudizi mai richiesti che fanno paura a chi li riceve, ma che non vengono condannati proprio perché considerati semplici complimenti.
Sono violenze più piccole e non paragonabili a quelle che uccidono ogni giorno il corpo e l’anima delle donne più sfortunate, ma rappresentano l’emblema della normalizzazione estrema della violenza di genere, la convinzione che del corpo femminile si possa disporre a proprio piacimento. Sono il sintomo di una società in cui anche uno stupro può essere in qualche modo giustificato. Se non fosse così, nessuna donna verrebbe condannata per essere stata violentata solo perché è entrata in casa di un uomo, nessuna ragazza sarebbe licenziata perché ha una vita sessuale. L’attualità degli ultimi giorni ci fornisce fin troppi esempi di vittime colpevolizzate e di carnefici giustificati attraverso le solite insensate argomentazioni secondo cui lei se l’è cercata, avrebbe dovuto sapere che gli uomini sono fatti così, che sono le donne a doversi tutelare.
Alla luce di queste affermazioni ancora così largamente diffuse, è importante analizzare le conseguenze che coinvolgono tutti. Che le donne siano le vittime di questo sistema non c’è dubbio, ma risulta difficile fare a meno di pensare a come devono sentirsi gli uomini quando si imbattono in frasi del genere, in preconcetti che li descrivono come animali istintivi che non hanno accesso alla ragione o al buonsenso tanto da essere giustificati se commettono un abuso. Se per le donne è soffocante sapere di doversi tutelare da sole, di dover rinunciare alla libertà per il pericolo di essere violentate, non deve essere piacevole per gli uomini essere considerati così poco umani da non saper controllare gli istinti detti primordiali – e in realtà figli di una cultura malata, certamente non della natura.
Eppure, oggi siamo ancora costretti a combattere non per la condanna di stupro subito da una donna in stato di incoscienza, ma per tutelarla dalla condanna popolare secondo la quale la colpa è della vittima. Dobbiamo ancora ricordare al mondo che il revenge porn è reato, che avere una vita sessuale non solo è permesso ma è normale, che anche una maestra d’asilo può fare sesso nel suo privato e restare comunque una buona insegnante.
Se dobbiamo ancora avere a che fare con gli abusi degli uomini sulle donne e con la tutela dei carnefici invece che delle vittime, allora siamo ben lontani dal debellare la violenza di genere. Che si tratti di azioni o di parole, che si tratti di privazione della libertà o della volontà, che si tratti di femminicidio o di stalking, la violenza sulle donne esiste perché esse sono ancora inferiori nella mente di chi agisce, sono ancora oggetti da possedere, corpi privi di dignità, persone prive di libertà. Il giorno in cui giornate come questa non saranno più necessarie, sarà un felice giorno di ritrovata parità. Ma, per ora, ne abbiamo ancora bisogno.