La Campania è zona rossa. Dopo poco meno di venti giorni dall’ultimo provvedimento che divideva l’Italia in tre aree di rischio – abbinando a ognuna i colori giallo, arancione e rosso a seconda della gravità della situazione sanitaria in merito all’epidemia da COVID-19 – anche la regione presieduta da Vincenzo De Luca è stata posta a regime di massima allerta, dunque soggetta alle restrizioni più severe.
L’inevitabile ha soltanto rimandato il suo avvento. Ciò che appariva scontato già all’alba del primo giro delle nuove disposizioni, però, si è verificato a seguito di uno squallido spettacolo fatto di accuse e rimbalzo delle responsabilità tra tutte le parti politiche e le istituzioni in causa. Nel frattempo, la situazione sanitaria della regione è andata aggravandosi fino a diventare, ormai, fuori controllo e le tensioni sociali di un territorio già provato da anni di incuria hanno rischiato di manifestarsi nuovamente, rinvigorite nella violenza.
L’attività ospedaliera campana si è, infatti, dedicata esclusivamente all’epidemia coronavirus, anche il San Giovanni Bosco – nel corso dei giorni scorsi – è stato riconvertito. Migliaia di interventi di pronto soccorso, così come le visite e le terapie legate alle altre patologie in cura presso le strutture sanitarie regionali, sono stati cancellati o rimandati, persino quelli più gravi. Ciononostante, le misure prese in risposta all’emergenza non hanno impedito alle code di ambulanze, in attesa di un posto letto, di formarsi nei pressi degli ospedali. Inoltre, con le chiusure anticipate di diverse attività commerciali – ora estese lungo l’arco dell’intera giornata – e l’attività scolastica in presenza sospesa ben prima rispetto a tutto il resto del Paese, la Campania ha seriamente corso il rischio di acuire il disagio sociale, lasciando alle mafie un deserto in cui operare in assenza di risposte chiare e univoche dello Stato.
In questa drammatica situazione, i responsabili della politica nazione e locale non solo non si sono mai resi disponibili a collaborare in favore di soluzioni attuabili a rendere meno critica la situazione epidemiologica, ma si sono anche esibiti in una comunicazione di basso profilo, un vergognoso ping-pong di accuse (spesso persino volgari) che ha visto coinvolti Governo, Regione Campania e Comune di Napoli.
Così, dopo aver annunciato – battendo tutti sul tempo – un imminente lockdown, Vincenzo De Luca ha ben pensato di tornare sui propri passi e lasciare al Governo nazionale e al Sindaco della città, Luigi de Magistris, l’incombenza di rispondere alla folla che gli si era riversata contro nelle strade del capoluogo. Quello del Presidente, però, altro non è stato che un gesto di mero opportunismo politico, uno sgravio delle proprie responsabilità in favore dell’opinione pubblica, con la narrazione di un isolamento forzato per i campani richiesto all’esecutivo e mai ottenuto che non trova riscontro nelle disposizioni governative che lasciano alle giunte locali la facoltà di intervenire in autonomia laddove necessario.
Con i suoi modi da bandito – anziché da sceriffo – De Luca ha cercato di nascondere sotto il tappeto di Palazzo Santa Lucia tutta la polvere generata dalla propria amministrazione, un quinquennio fatto di chiusure delle strutture ospedaliere pubbliche a vantaggio delle cliniche private, oggi chiamate a sostenere il sistema regionale, ovviamente sotto lauto compenso. Come segnalato dal collega Vincenzo Iurillo su Il Fatto Quotidiano e già divulgato da Il Corriere della Sera in un articolo dello scorso 28 aprile, la Campania – anche a titolo di acconto – versa ai privati fino a 1200 euro per un posto di terapia intensiva, 360 per le sub-intensive, con i farmaci a carico della Regione.
Attraverso epiteti irripetibili e un linguaggio intimidatorio, l’ex Sindaco di Salerno ha cercato nemici su cui scaricare la rabbia dei cittadini napoletani (e non solo) giustamente indirizzata al suo ufficio. Così, oltre alla delirante e irresponsabile richiesta di cacciata del Governo, De Luca si è esibito nello stigma del Ministro Luigi Di Maio apostrofato come un coniglio (Il suo nome mi procura istinti che voglio controllare), dello scrittore Roberto Saviano dipinto come un cammorroide arricchito vestito da carrettiere, fino a rivolgersi al suo bersaglio preferito, il Sindaco Luigi de Magistris, con un exploit in cui è arrivato a dargli dell’imbecille.
Tante volte, questo giornale ha invocato l’intervento del partito di riferimento del Governatore, il PD, tanto abile a denunciare il linguaggio violento della politica quando prodotto da Salvini e Meloni, tanto svampito nel riconoscere la stessa volgare tracotanza nel proprio rappresentante alla guida della Campania. Forse, a tal proposito, due figure universalmente apprezzate dall’opinione pubblica partenopea, i senatori Paolo Siani e Sandro Ruotolo, sono state incaricate a tentare di sedare le liti con una dichiarazione a mezzo stampa. Il modo, però, ha lasciato molto a desiderare.
Mettendo sullo stesso piano tutte le parti in causa nella contesa, infatti, i senatori non hanno evidenziato e circoscritto il problema ma hanno, anzi, divulgato un messaggio errato e fuorviante a cittadini già disorientati da questo rimbalzo di responsabilità senza risposte. Siani e Ruotolo hanno ignorato il ruolo del Sindaco de Magistris come non fossero in grado di distinguere le incombenze che competono l’ufficio del magistrato e quelle di cui, invece, è responsabile la Regione o il Governo (come chiudere strade e attività).
Si può, infatti, dibattere – persino criticare – i tanti passaggi tv in cui de Magistris si esibisce sempre più frequentemente, si può discutere se fosse utile chiudere o meno alcune aree della città solitamente più frequentate dalla popolazione, tuttavia, non si può deliberatamente ignorare il reiterato appello del Sindaco in favore di un intervento dei Ministeri competenti per far chiarezza sui dati e sulla situazione sanitaria campana, così come la richiesta di partecipare al tavolo dell’unità di crisi, mai presa in considerazione. Spostare l’attenzione da Palazzo Santa Lucia ai marciapiedi più o meno calpestati del vicino lungomare Caracciolo è pretestuoso e scorretto, persino fuorviante.
Nessuna misura concreta, in otto mesi, è stata messa in campo a favorire delle assunzioni del personale sanitario necessario, umiliato con un concorso straordinario per un contratto a tempo determinato, non un rappresentante delle istituzioni si è assunto la responsabilità di incoraggiare una patrimoniale con la quale finanziare un reddito di emergenza, ciascuna parte coinvolta nella disputa ha pensato unicamente a difendersi dalle accuse che cominciavano a piovere non solo dagli avversari, quanto dalla gente ormai esasperata.
La regione Campania si è colorata del rosso della vergogna, della politica al servizio della propaganda anziché della lotta al nemico comune, il virus. Paghiamo noi, la nostra libertà, la nostra salute, la nostra voglia di tornare a una vita normale.
assolutamente perfetto. soprattutto nel passaggio ove si evidenzia l’assenza del sindaco dal tavolo della unità di crisi e l’assenza di informazioni richieste e tenute nascoste