Al giorno d’oggi, la politica è più comunicazione che altro, più stile che effettiva pratica amministrativa, più parole e meno di quei fatti che dovrebbero significare l’arte del governare. E, purtroppo, non accade solo in periodo di campagna elettorale.
Se da un lato la comunicazione ha sempre svolto un ruolo fondamentale all’interno delle dinamiche istituzionali, infatti, oggi il modo in cui i personaggi del mondo politico parlano, utilizzano i media e inviano messaggi, è quasi esclusivamente l’unico fattore su cui si basano le decisioni di voto e il gradimento espresso dai cittadini. Funziona così in Italia, negli USA e in gran parte parte dei paesi democratici, conquistati da una dinamica ormai impossibile da sradicare, frutto di una società che vede le scelte di voto molto più vicine a delle scelte di consumo, guidate non dalle argomentazioni e dai valori, ma dal marketing. Sebbene si tratti di un fenomeno largamente diffuso, dunque, il compito svolto dalla comunicazione durante la recente campagna presidenziale americana è stato particolarmente interessante. Lo scontro politico tra Biden e Trump, infatti, ha portato a chiedersi quale sia davvero il ruolo della comunicazione e fino a che punto possa scavalcare la politica. Un’analisi che, soprattutto alla luce dei recenti risultati, è utile per comprendere in che direzione sta andando la democrazia contemporanea.
La comunicazione ha occupato un ruolo centrale non solo durante le campagne elettorali, ma in tutta la presidenza Trump. Il suo stile divenuto ormai riconoscibile, gli atteggiamenti tipici di un uomo che pensa a conquistare voti senza fare davvero politica, sono stati gli stessi con cui ha affrontato i quattro anni che ci stiamo lasciando alle spalle. Anzi, si può dire che la comunicazione sia stata l’unica azione politica messa in atto dal Presidente uscente. Privo di argomentazioni supportate dai fatti, il Tycoon l’ha utilizzata per vincere dibattiti puntando esclusivamente sulle emozioni dell’elettorato, conquistato grazie all’appello ai sentimenti. L’ha adoperata – in modo improprio – per difendersi dalle critiche urlando alle fake news ogni volta che gli venisse posta una domanda scomoda a cui sarebbe stato impossibile rispondere senza compromettersi. Dare per scontato fatti non provati – come sta accadendo con i risultati delle elezioni che si rifiuta di accettare –, mettere in discussione la preparazione dell’altro che non condivide il suo punto di vista sono state le sue armi preferite. Ciò che Trump ha fatto in questi anni di presidenza è stato creare un regime comunicativo scorretto, sì, ma inoppugnabile da parte di un interlocutore professionale, che insomma non giocasse sporco come lui.
Se la comunicazione gli ha permesso di vincere la prima volta, dal 2016 qualcosa deve essere cambiato, data la vittoria di uno stile tanto diverso da quello del Tycoon. Se Trump comunica nel modo impulsivo di un twitattore seriale, estremizza e polarizza su ogni questione seguendo quella dinamica del tutto bianco o tutto nero che piace tanto alla società contemporanea e semplifica oltre ogni misura ogni concetto, Biden è il suo esatto opposto.
Il nuovo Presidente eletto ha, prima di tutto, uno stile così moderato da impedirgli di divenire l’oggetto delle accuse di estremismo che Trump ama muovere. Se da un lato, Joe Biden è stato criticato per essere troppo centrista, additato come un insipido e neanche troppo convinto esponente del partito democratico, infatti, probabilmente è stato proprio il suo temperamento a condurre alla vittoria. Prima di tutto, non ha mai fornito appigli alle offese preferite dal suo avversario, che ama marchiare di comunismo — e quale calunnia peggiore di questa, negli USA? — chiunque abbia idee leggermente più a sinistra delle proprie. In secondo luogo, la sua figura era probabilmente l’unica in grado di battere l’ingombrante inquilino della Casa Bianca.
Se, infatti, l’esito del 2016 aveva segnato un duro colpo per il partito democratico, in seguito al quale il confronto è stato quasi impossibile con un Presidente che non lasciava alcuno spiraglio di dialogo con l’opposizione e che, a dirla tutta, in molti casi si è dimostrato politicamente incompetente, l’obiettivo delle recenti elezioni doveva essere quello di eliminare Trump a ogni costo. E per farlo non era possibile presentare un candidato particolarmente polarizzato, con posizioni troppo aggressive o che potesse risultare scomodo per qualcuno. L’unico modo per rassicurare gli elettori di sinistra e conquistare la destra scontenta era offrire un nome che non potesse essere odiato da nessuno, un uomo, un bianco, dal profilo e dalla storia rassicurante.
Ai messaggi autorevoli di Trump che dipinge se stesso come un leader, un uomo d’affari totalmente indifferente alle questioni sociali ma in grado di affascinare la middle class americana – ricorda qualcuno? – grazie alla sua comunicazione, era necessario opporre un uomo moderato, dal linguaggio sobrio, che si mostra impegnato nei temi sociali e che crea in molte occasioni empatia con il pubblico. Basti pensare alla decisione di affrontare il tema della dipendenza dalle droghe di suo figlio durante il primo dibattito, scelta che ha stupito e coinvolto gli americani molto più di quanto l’avversario si aspettasse. L’unica decisione più incisiva da parte di Biden è stata la scelta della vicepresidente. La nomina di Kamala Harris, prima donna e prima persona non bianca a occupare questo ruolo, ha dimostrato più concretamente gli intenti di inclusione e uguaglianza manifestati. E se, in genere, la figura del vice è quasi sempre marginale durante l’amministrazione – importante, dunque, solo in quanto scelta da non sbagliare in fase di campagna elettorale e non come figura realmente rilevante durante la presidenza – è probabile che la Harris, rappresentando una delle pochissime posizioni radicali di Biden, possa occupare un ruolo leggermente più attivo nei prossimi quattro anni.
Gli stili comunicativi inconfondibili dei due candidati non sono cambiati neanche a elezioni terminate. Con il suo primo discorso da presidente eletto, Biden ha riconfermato il suo stile empatico, volto a conquistare la simpatia anche di chi non l’ha votato. Non gli è bastato, infatti, fare appello all’anima dell’America che ha bisogno di essere risanata, e con il riferimento alle sue sconfitte passate ha sperato probabilmente di coinvolgere un popolo non diviso in stati rossi e stati blu, ma in un’unica grande nazione. Allo stesso modo, le reazioni di Trump restano tipiche dell’atteggiamento avuto finora. Con la decisione di negare l’evidenza e di continuare a sostenere senza alcuna prova di aver vinto le elezioni e di essere a conoscenza di brogli che tenterà di contestare, il Presidente uscente continua, seppur con rassegnazione, la strategia con la quale ha sempre tentato di rendere reali certe para-verità semplicemente presentandole come scontate. In più, con l’assenza della consueta telefonata di congratulazioni al suo successore e di un discorso alla nazione sui risultati elettorali, Trump si mostra fedele alla stessa linea anti-istituzionale che ha condotto durante l’intero mandato.
Il risultato di queste elezioni, confrontato con quelle del 2016, ha chiarito quanto la politica contemporanea sia dipendente quasi esclusivamente dalla comunicazione dei leader, ma non proprio del tutto. Se un miliardario è riuscito a conquistare l’attenzione e i cuori di un popolo sostanzialmente povero è stato proprio grazie alla sua comunicazione, emozionale, sentimentale, aggressiva, estrema. Ma se la seconda volta non ha trionfato e, anzi, il suo avversario è stato il candidato a ricevere più voti nella storia degli Stati Uniti, sebbene non si possa definire il candidato più amato o acclamato, è accaduto perché la comunicazione, da sola, non basta. Quel presidente che di politico non ha avuto nulla, la cui gestione della pandemia è stata totalmente priva di grazia e buonsenso, non è riuscito a salvarsi attraverso il suo stile. Insomma, se il trionfo di Trump ha dimostrato quanto una comunicazione vincente sia essenziale, quello di Biden ha chiarito quanto da sola non sia sufficiente se non supportata da nient’altro.