La pandemia imperversa in tutta Italia, i numeri dei contagi crescono molto più velocemente di quanto ci si aspettasse, le misure governative rincorrono il virus, raggiungendolo nella maggior parte dei casi quando ha già fatto danni e si avvia a fare i prossimi. Nuovamente, è necessario porre una particolare attenzione ai luoghi di privazione della libertà, dove la diffusione del COVID può essere facilitata dalla promiscuità cui i detenuti sono sottoposti e dal mancato rispetto delle condizioni igienico-sanitarie troppo spesso riscontrato, rischiando di appesantire i sistemi territoriali già gravemente affaticati.
Al momento, risultano più di 230 casi di positività accertata tra il personale e più di 200 (215 al 30 ottobre) tra la popolazione ristretta. A spaventare, però, è la rapidissima progressione che ha più che raddoppiato i contagi in meno di una settimana. Nella maggior parte dei casi si tratta di piccoli numeri per ciascun penitenziario, ma non mancano situazioni particolarmente preoccupanti, come quella di Terni, in cui è scoppiato un vero e proprio focolaio che ha presto portato i detenuti positivi da 1 a 69 (su una popolazione totale di 514), quella del carcere di Alessandria – dove sono stati registrati 29 casi di positività – o quella del carcere di San Vittore di Milano. In Campania, invece, preoccupa molto la situazione della Casa Circondariale di Poggioreale, uno degli istituti più sovraffollati e fatiscenti d’Italia, che conta al momento 4 positivi e 6 in isolamento, ma che necessita di un intervento immediato a causa delle condizioni in cui vivono i reclusi, costretti a condividere le celle addirittura in 10 o 12, che potrebbero dar vita a una vera tragedia.
È di poche ore fa la notizia della seconda vittima detenuta di questa ondata di COVID-19 che ad Alessandria ha seguito la sorte di un ultraottantenne detenuto a Livorno, la cui richiesta di differimento pena era stata respinta pochi mesi fa, nonostante l’età e le precarie condizioni di salute dovute a patologie pregresse, poi rivelatesi fatali. Resta, infatti, fondamentale salvaguardare i detenuti più anziani o affetti da particolari malattie, come sottolineato anche dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale Mauro Palma.
Pochi giorni fa, il Governo ha varato il Decreto Ristori, con il quale oltre alle misure di carattere economico – sulla cui poca utilità e ipocrisia abbiamo avuto modo di pronunciarci – ha previsto apposite disposizioni che intervengono nell’ambito della giustizia con l’obiettivo di far proseguire il lavoro giudiziario, cercando di contenere il contagio da coronavirus nei tribunali e nelle carceri. Un’impresa tutt’altro che semplice, soprattutto nel secondo caso, considerato che i luoghi di detenzione non sono affatto impermeabili, attraversati quotidianamente da centinaia di persone che provengono dall’esterno e che sono potenziali diffusori del virus. In realtà, gli articoli da 28 a 30 riproducono le misure già varate lo scorso marzo, rivelatesi in gran parte insufficienti. La diminuzione di 8mila unità della popolazione detenuta ottenuta in quel periodo, infatti, è stata possibile solo grazie alla solerzia dei magistrati di sorveglianza che hanno utilizzato in gran parte disposizioni già presenti nel nostro ordinamento – ma rimaste fino a ora inattuate, complice la mancanza di volontà politica – anziché le apposite misure del Decreto Cura Italia, che introducevano eccessive restrizioni.
Anche stavolta si prevedono licenze per le persone in regime di semilibertà, con la possibilità di usufruirne anche in deroga al limite di 45 giorni complessivi stabilito per ogni anno. Una misura simile è pensata poi per i permessi premio, che potranno essere erogati anche in deroga ai limiti temporali concessi dalla legge, ma solo per coloro che ne abbiano già usufruito o che siano affidati al lavoro esterno o ammessi alla formazione o istruzione fuori dalle mura carcerarie. In quest’ultimo caso, come per la detenzione domiciliare, rimane ferma l’esclusione per alcune tipologie di reato, anche se i condannati devono scontare un residuo di pena inferiore ai 18 mesi. Altro dato da tenere in considerazione è la necessità del braccialetto elettronico per coloro la cui condanna rimanente è superiore ai 6 mesi, per la quale probabilmente ci si scontrerà nuovamente con l’assenza dei dispositivi. Ancora, come a marzo, non è possibile usufruire della misura per chi abbia ricevuto un rapporto disciplinare o abbia preso parte alle rivolte dei mesi scorsi, con un chiaro intento punitivo che nulla ha a che vedere con la tutela della salute che spetta a chiunque, a prescindere dal reato commesso, trattandosi di un diritto costituzionalmente tutelato che assume nel nostro ordinamento una posizione prioritaria rispetto a qualsiasi altro fine, sanzionatorio o rieducativo che sia.
Eppure, il Ministro della Giustizia Bonafede ha avuto cura di precisare immediatamente che né mafiosi né rivoltosi avranno la possibilità di beneficiare di alcuna misura, in dispregio di qualsiasi stato di diritto, e salutando con enorme soddisfazione i provvedimenti varati, mettendosi così subito al riparo dalle inutili polemiche che hanno invaso tv e giornali in occasione della detenzione domiciliare stabilita per taluni detenuti che si trovavano in regime di alta sicurezza e che soffrivano di particolari patologie.
In realtà, si tratta semplicemente di un copia e incolla di quanto era già stato stabilito a marzo: pur trattandosi di un provvedimento la cui platea teorica è di 5000 detenuti, non solo esso si scontrerà con le eccessive limitazioni di carattere soggettivo e oggettivo inserite nel decreto, ma soprattutto con la difficoltà per tribunali e magistrati di sorveglianza di vagliare queste pratiche nel tempo richiesto dalla velocità di diffusione del virus. Bisogna inoltre tenere presente che, se è vero che nel mese di maggio si erano raggiunti i 53mila reclusi, essi sono già aumentati di 2mila unità poiché è stata data nuovamente esecuzione agli ordini di carcerazione sospesi, anche per pene molto brevi, e le licenze e i permessi premio, in quanto misure temporanee, hanno chiaramente esperito la loro intera efficacia. Parte del lavoro fatto dovrà, dunque, essere ripetuta, comportando un dispendio di tempo ed energie che attualmente non possiamo permetterci.
Il trend al ribasso andava mantenuto anche durante gli ultimi mesi, ben consapevoli del rischio di una seconda ondata pandemica. Ciò che ora rimane necessario, dunque, è predisporre spazi appositi per l’isolamento sanitario, tenendo presente che il distanziamento in carcere è un’utopia. Inoltre, bisognerà fare uno sforzo di comunicazione maggiore per evitare di ripetere gli errori che hanno condotto alle ultime rivolte: i detenuti sono cittadini e devono, come tutti, essere preventivamente messi al corrente delle misure che li riguardano. Infine, sarà necessario assicurare, per coloro che resteranno in carcere, la finalità rieducativa della pena che necessita di un percorso trattamentale che non si può ridurre alla semplice reclusione.
Molte sono state le soluzioni paventate da più parti negli ultimi giorni. Tra queste, la liberazione anticipata speciale che servì a ridurre il sovraffollamento in seguito alla condanna della sentenza Torreggiani, l’amnistia e l’indulto. In verità. questi ultimi due provvedimenti difficilmente potranno essere emanati poiché, dopo la sua modifica del 1990, l’articolo 79 della Costituzione li consente solo al raggiungimento dei voti favorevoli dei due terzi di entrambi i rami del Parlamento. Numeri a oggi irraggiungibili, stando al clima d’odio che imperversa all’interno della classe politica.
Nonostante siano state stabilite misure molto blande e di difficile attuazione, infatti, non sono mancate le roboanti proteste di quella fazione che ben conosciamo e che non ha perso occasione per tuonare che il Governo chiude ristoranti e bar ma spalanca le porte delle galere per mandare i delinquenti a casa con la scusa del COVID. Forse, a questi signori sfugge che il COVID non è una scusa né l’oggetto di un complotto, ma una triste realtà che dobbiamo avere la forza di affrontare. Riguarda tutti e quindi, sì, anche i detenuti – una categoria che non aggrada certa politica –, cui comunque va garantito il diritto alla salute e alla dignità. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la detenzione domiciliare non equivale ad alcuna liberazione poiché essa è e rimane privazione della libertà, nonostante ciò che i mezzi di informazione si ostinano a raccontare.
Infine, nel nostro ordinamento, in conformità a quanto previsto a livello comunitario e internazionale, non è possibile sottoporre i condannati ad alcuna afflizione ulteriore rispetto a quella conseguente alla privazione della libertà, dunque non è consentito in alcun caso un sacrificio, neppure minimo, di diritti fondamentali come quello alla salute e all’integrità fisica. Se il carcere non è diventato una bomba a orologeria nei primi mesi di lockdown è stata soltanto fortuna: prima che sia troppo tardi, quindi, bisogna agire e bisogna farlo subito.