Con il nuovo DPCM entrato in vigore lunedì 26 e preannunciato dal Presidente Conte in conferenza stampa domenica a pranzo, ancora una volta a pagare un caro prezzo è la cultura con la chiusura di cinema e teatri.
Già durante il primo lockdown, il Ministro Franceschini aveva parlato di una Netflix della cultura, una piattaforma online a pagamento in grado di trasmettere in tutto il mondo qualsiasi tipologia di contenuto artistico e culturale di alta qualità, permettendo così di “accorciare” le distanze, in attesa di poter presto tornare a ripopolare i luoghi dello spettacolo e non solo. A tal proposito, il titolare del MiBACT aveva dichiarato: «Stiamo ragionando sulla creazione di una piattaforma che possa servire in questa fase di emergenza […], ma sono convinto che l’offerta online continuerà anche dopo: per esempio, ci sarà chi vorrà seguire la prima della Scala in teatro e chi preferirà farlo, pagando, restando a casa. […] In queste settimane di lockdown si è capita fino in fondo la potenzialità enorme del web per la diffusione dei contenuti culturali, c’è stato un esplodere di creatività, ed è proprio questa la base di partenza per sviluppare un progetto più strutturato».
Belle parole, quelle del Ministro, che però non hanno visto una concreta realizzazione, così come per molte altre categorie che adesso stanno subendo e soffrendo a causa della cosiddetta – già più volte preannunciata – seconda ondata. Eppure, molti espedienti, per quanto di non facile o rapida applicazione, avrebbero potuto essere abbracciati e condivisi a livello nazionale, ad esempio, permettendo a cinema e teatri di aderire alla piattaforma e consentire così agli operatori di continuare a svolgere il proprio lavoro, seppur dinanzi a un pubblico virtuale. Di certo, una soluzione non definitiva ma che almeno, con la giusta organizzazione, avrebbe potuto concedere una tranquillità maggiore ai tantissimi operatori del settore già storicamente delicato.
Invece, la cultura continua a pagare un carissimo prezzo, che sta mettendo in ginocchio migliaia e migliaia di lavoratori in tutto il Paese. Ciononostante, il Ministro Franceschini, piuttosto che lottare e cercare possibili soluzioni, o anche un confronto con gli operatori del settore e dello spettacolo in generale, ha preferito prendere la strada più semplice, più ovvia, più meschina: chiudere tutto. Eppure, i numeri dell’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo sono chiari ed estremamente positivi: dal 16 giugno 2020 al 3 ottobre 2020 su un totale di 347262 spettatori, per un totale di 2782 spettacoli e una media presenze di 130, si è registrato un solo contagio, uno soltanto.
Eventi di lirica, prosa, danza, ma anche concerti, hanno riscontrato una percentuale così irrilevante di positività da testimoniare, senza mezzi termini, che i luoghi dello spettacolo sono sicuri. In merito, il Presidente dell’AGIS, Carlo Fontana, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio e al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Come lui, anche tantissimi Assessori alla Cultura, si sono immediatamente mossi per scrivere al Premier Conte e ai ministri Franceschini, Catalfo e Patuanelli ritenendo ingiustificata la sospensione degli spettacoli. L’Associazione Cultura Italiae ha inoltre lanciato un appello che ha già superato le 90mila firme e anche su change.org è stata creata la petizione Non chiudiamo Cinema e Teatri.
Il popolo e le istituzioni si uniscono e a gran voce chiedono riflessione, analisi, confronto, perché è proprio questo quello che non si sta facendo: comparare i dati ed elaborare risposte. Il problema non è mai stato legato alla cultura, i numeri parlano chiaro: le misure di sicurezza adottate in questi mesi si sono rivelate incredibilmente efficaci, permettendo quindi agli operatori di lavorare e al pubblico di poter fruire dell’offerta culturale in tutta tranquillità, come giusto che fosse. Perché la cultura non è un semplice passatempo o un hobby come un altro, è lavoro, è economia, è vita. E non è possibile che, nonostante i mesi trascorsi, nonostante la consapevolezza di una seconda ondata, si sia arrivati così impreparati a questo momento. Non è accettabile generalizzare, non è possibile limitarsi a chiudere senza non aver proposto soluzioni di comodo. Ogni settore, ogni categoria merita opzioni che vadano oltre il lavarsene le mani, perché chiudere e basta è dimostrazione di menefreghismo, di assenza totale di sensibilità, di non conoscenza del mondo di riferimento.
Probabilmente, il settore culturale – vista la grande crisi e le grandissime difficoltà derivate da questo periodo di pandemia – è stato quello che più di tutti ha tenuto testa alla diffusione del coronavirus attraverso l’attuazione di protocolli ineccepibili che, dati alla mano, dal punto di vista sanitario sono assolutamente confermati. Dunque, dal momento in cui non si fanno distinzioni di alcun genere, spettacoli all’aperto, al chiuso, con il pubblico in piedi o con posti a sedere assegnati, non si può far altro che pensare che il provvedimento sia del tutto sconclusionato. E non è sufficiente il tweet pubblicato da Franceschini nel quale afferma che si lavorerà affinché la chiusura sia più breve possibile. Non sono queste le risposte che merita il settore, perché la gente è stanca di aspettare aiuti o sostegno morale dal governo. La gente vuole, semplicemente, lavorare e farlo, come ha fatto sino a oggi, in piena sicurezza.