Avete presente gli impavidi supereroi, paladini della giustizia, combattenti del crimine e salvatori di innocenti? Dimenticateli. The Boys è spietata, cruda, dissacrante, politicamente scorretta e dannatamente splendida. Ormai nella top delle serie tv più viste, la sua seconda stagione, distribuita su Amazon Prime Video tra settembre e ottobre, un episodio a settimana, ha dato la conferma definitiva, sdoganando la piattaforma al grande pubblico.
La serie è tratta dall’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson, ideata da Eric Kripke per conto di Amazon, il quale ha annunciato una terza stagione il 23 luglio. La domanda che ci si è posti è semplice: se i supereroi esistessero, davvero le cose andrebbero come ci hanno sempre mostrato gli universi Marvel e DC? Se, infatti, all’inizio The Boys può sembrare l’ennesimo prodotto a tema supereroistico, in realtà capiamo fin da subito che non è affatto così, che dietro c’è qualcosa di più profondo.
Ci troviamo negli odierni Stati Uniti, in un presunto mondo in cui i supereroi convivono con il resto del genere umano. I più importanti, i cosiddetti Sette, sono totalmente gestiti dalla Vought, potente multinazionale americana il cui scopo è occuparsi della loro immagine social e di qualsivoglia operazione di marketing atta a garantire il massimo profitto economico. Si distinguono Homelander (in Italia Patriota), il leader e una sorta di connubio tra Superman e Captain America, Queen Maeve – che fa il verso a Wonder Woman, Abisso, A-Train e, ultima arrivata nel gruppo, Starlight. I Super sono perciò visti al pari di celebrità, letteralmente comprati da paesi e città per avere il proprio eroe e mantenere basso il tasso di criminalità. Eppure, dietro quei costumi sfavillanti e quei sorrisi forzati, si celano (e nemmeno troppo) tutte quelle debolezze e nefandezze tipiche di un comune essere umano a cui interessa poco o niente del prossimo.
Macchie, incidenti, crimini abilmente insabbiati dalla Vought, come quello di A-Train che, correndo dopo aver fatto uso di droghe, uccide una ragazza passandoci attraverso, sotto gli occhi esterrefatti del suo fidanzato, Hughie. Ed è qui che entrano in gioco i nostri Boys, schierati contro i Super, destinati a diventare una vera e propria task-force di agenti della CIA sotto copertura. Il loro leader è Billy Butcher, desideroso di vendetta dopo aver perso sua moglie a causa di uno dei tanti scandali.
Una serie che non parodizza soltanto i cinecomic ma racconta un universo di finti eroi, dove tutto è una metafora molto più grande dell’attuale società, della politica (non sono pochi i riferimenti al governo Trump) e dei problemi sociali. Una feroce critica all’autorità, alla polizia, alla potenza dei mass media. Il black humor fa da padrone, ogni argomento più delicato è trattato in modo pungente, con acidità e una certa cattiveria di fondo ma senza mai scadere nel banale o nel ridicolo.
Uno dei protagonisti più interessanti è senz’altro Patriota (Antony Starr). Folle, represso, sadico e in preda a un allucinante delirio di onnipotenza, vorrebbe impersonare il simbolo dell’America, mostrandosi leale e tollerante, eppure nasconde una violenza inaudita e una preoccupante mancanza di empatia. Ad esempio, durante la cattura di criminali, in cui fa da giustiziere per puro piacere e non si risparmia dall’uccidere innocenti. Dietro i flash delle macchine fotografiche, incarna l’ipocrisia della società statunitense e più la folla lo osanna, più si sente un dio pronto a esplodere. Per questo motivo è un maniaco del controllo, narcisista fino all’estremo, infantile. Ossessionato dalla figura materna che da sempre gli è stata negata, mostra ogni sua contraddizione, rappresentando forse il profilo più reale di leader carismatico che cela invece fantasie totalitarie.
Quasi come due facce della stessa medaglia, il rancore e la sete di vendetta verso i Super di Billy Butcher (Karl Urban) condannano l’estremizzazione in tutti i sensi, sia dalla parte dei cattivi che da quella dei buoni, su una linea davvero sottile. Butcher è pronto a compiere le peggiori infamie per il proprio scopo e non riesce a fidarsi di Starlight (Erin Moriarty) quando lei si propone nel gruppo proprio per questa sua ossessione che i Super siano tutti esseri spregevoli. Assieme ai Boys, Latte Materno (Laz Alonso), Frenchie (Tomer Capon), Kimiko (Karen Fukuhara) e Hughie (Jack Quaid), cercherà di contrastare i super e smascherare strani esperimenti della Vought con il misterioso Composto V.
La seconda stagione ha visto inoltre la comparsa di un’altra Super facente parte dei Sette: Stormfront (Aya Cash), voluta fortemente dal leader della Vought Stan Edgar, interpretato da uno splendido Giancarlo Esposito (il Gus Fring di Breaking Bad). Stormfront è una suprematista, incarnazione di ideali nazisti che la rendono una delle maggiori antagoniste della storia.
Interessante anche lo sviluppo di Abisso (Chace Crawford), il quale da viscido stupratore si ritrova a fare i conti con un se stesso frustrato e insoddisfatto, schifato dalle sue stesse branchie. E nemmeno per un istante lo show spinge lo spettatore a provare compassione per lui. Piuttosto un senso di disagio, enfatizzato dall’incontro con la popolare Chiesa della Collettività che a cosa potrebbe strizzare l’occhio se non a Scientology? Nulla è lasciato al caso in The Boys, la violenza non è mai gratuita e ogni personaggio possiede un background altamente intrigante. Lodevoli anche regia ed effetti visivi.
Qual è quindi il punto centrale della serie? È il potere, in tutte le sue forme. Abisso ricatta Starlight facendosi praticare del sesso orale, dimostrando come stupro e molestie camminino parallelamente al potere. Per lo stesso criterio, non può far a meno di sottomettersi di fronte a Patriota e quest’ultimo alla Vought. Tutto The Boys è un’immensa allusione al potere, a un agire per fini personali ed economici nel momento in cui si presenta un determinato vantaggio. Una totale decostruzione della figura del supereroe che, se di fronte alle telecamere sfoggia discorsi a effetto, dietro le quinte è pronto a uccidere, stuprare, trafficare droga e armi.
La sua immagine si riflette in quella società corrotta e macinatrice di denaro, che idolatra A-Train (Jessie Usher) in quanto membro dei Sette, ma che nel momento in cui è senza costume torna a essere un afroamericano vittima di pregiudizi. Che fonda lo slogan Le ragazze ce la fanno! per essere in linea con i movimenti femministi, ma poi obbliga Starlight a indossare un costume succinto. Che rende pubblica la bisessualità di Maeve (Dominique McElligott) senza il suo consenso, ma la trasforma in omosessualità così il pubblico non si confonde troppo, rendendola testimonial di ridicoli prodotti arcobaleno. Che ci ricorda costantemente che esistono vittime di serie A e di serie B. Perché, dunque, siamo così attratti dal mondo di The Boys? Perché è anche il nostro.