La fotografia, per Carlo Naya, non fu sempre la prima scelta. Nato a Tronzano Vercellese nel 1816, Carlo portò avanti i suoi studi presso la facoltà di Giurisprudenza di Pisa tra il 1837 e il 1840, anno in cui ottenne in anticipo il dottorato a La Sapienza. Alla morte del padre, invece, insieme a suo fratello scelse di intraprendere un viaggio in giro per l’Europa e poi in alcuni paesi del bacino mediterraneo per ammirarne l’arte e l’archeologia. Un’esperienza durante la quale la fotografia divenne presto una grande passione, che lo incoraggiò a esercitarsi con sempre più costanza e a far diventare il nuovo hobby un vero e proprio lavoro. Così, scomparso anche il fratello, Naya decise di sfruttare al meglio parte della cospicua eredità rimastagli per andare a Venezia, trasferirsi lì e far fruttare la sua esperienza amatoriale.
In pressoché tutti i paesi del Veneto si trovano fotografi […] molto guadagno ne ricavano, ed è grande lo smercio anche all’estero […] sono pure degni di particolare menzione i lavori fotografici del Naya, e si meritano lodi da giornali di arte e d’industria, per esecuzione e per la scelta delle cose fotografate: scrive Antonio Errera nel suo Storia e statistica delle industrie venete. E quando parla di “cose fotografate”, fa riferimento soprattutto alle vedute veneziane, alle opere d’arte, ai palazzi e alle scene folkloristiche. Carlo Naya, infatti, seppe scegliere con particolare cura e attenzione i soggetti da fotografare, immortalandoli con grande accuratezza tecnica. Seguendo l’esempio degli Alinari a Firenze, fu in grado di andare oltre la semplice piccola bottega d’arte, ampliando in tempi piuttosto brevi il suo atelier e assumendo diversi aiutanti sia per lavori esterni che per quelli di laboratorio, ma anche editoriali.
Come scrive Italo Zannier nel suo L’occhio della fotografia, il mercato delle immagini fotografiche ereditava allora, a Venezia, quello ricco delle incisioni e delle litografie, e vi si sostituiva con il suo fascino e l’inarrivabile fedeltà al soggetto, specialmente nella riproduzione di opere d’arte. Carlo Naya era giunto a Venezia portando con sé, probabilmente, anche una serie di lastre al collodio di cm 19.5×26, oggi famose, di soggetti folkloristici del meridione d’Italia, che dovettero costituire allora una specie di credenziale alla sua abilità di fotografo e anche il nucleo di partenza del suo catalogo, che divenne ben presto tra i più ricchi del settore.
Carlo Naya escluse sin da subito la possibilità di esercitare, ovviamente in veste di avvocato, seguendo invece la grande passione fotografica. Tuttavia, ciò che lo rese diverso da molti altri colleghi fu la sua bravura nel riuscire a utilizzare anche in questo campo la sua formazione e la sua cultura personale, come si evince dalla scelta dei soggetti e nell’organizzazione dell’atelier. Nel 1866, quando il Veneto e Venezia furono annessi al Regno d’Italia, il turismo incrementò incredibilmente e, con esso, anche il commercio delle immagini della città lagunare. Fu proprio allora che, tra i fotografi veneziani, primeggiò Naya il quale, da quel momento, organizzò anche una rete amplissima di distribuzione nelle maggiori città europee con tanto di rappresentanti.
Nel 1868, scrive ancora Zannier, Naya aveva iniziato in Tribunale una interessante e precoce questione relativa al diritto d’autore, chiamando in causa fotografi veneziani famosi, come Carlo Ponti, e coinvolgendo anche un grande editore come Ferdinando Ongania; vinse Naya dopo quattordici anni, nel 1882, anno della sua morte, e alla fine del processo il suo avvocato, Leopoldo Bizio, pubblicò allora un singolare libretto, riportandovi tutta la vicenda processuale che apriva nuovi spiragli in questo settore della giurisprudenza.
Antonio Errera scrive ancora: una lode deve essere fatta a chi trasformò questa arte in una industria importante, pur conservandole carattere estetico. Perché Carlo Naya non riuscì soltanto a lasciare un segno profondo nell’ambito della fotografia, soprattutto veneziana: grazie ai suoi studi, infatti, intentò diversi processi su plagi e pirateria contro colleghi ed ex amici, aprendo quindi una strada completamente nuova, incapace di dare alcuna certezza legislativa, ma comunque rivoluzionaria.