Sangue sulla bandiera. Le chiazze si allargano, imbevendo la stoffa, alterandone il colore: al posto del bianco il rosso vivido, al posto del verde prato solo il nero. Sono passate due settimane dall’inizio delle proteste contro l’unità di polizia speciale SARS (Special Anti-Robbery and kidnapping Squad), macchiatasi, nel corso degli anni, di trattenere illegalmente i sospetti, di violenza gratuita, tortura, estorsione e omicidio ai danni di persone innocenti.
Martedì 20 ottobre, a Lagos, il centro più popoloso della Nigeria, viene istituito il coprifuoco. Il governatore della città, Babajide Sanwo-Olu, sostiene che diversi gruppi criminali si siano infiltrati nelle proteste: è ora che l’esercito entri in azione. Nel distretto di Lekki, intanto, si svolge da giorni una grossa protesta pacifica nei pressi del casello autostradale. Alle 3 del pomeriggio, un’ora prima che il coprifuoco entri in vigore, le telecamere del casello vengono disattivate. Alle 19 si spengono tutte le luci. Arrivano i soldati. Cominciano a sparare sui manifestanti. L’esercito nega che sia mai avvenuto, ma viene prontamente smentito da un numero incredibile di testimonianze e immagini sui social.
Su Twitter, un utente posta il video dei manifestanti che cantano l’inno nigeriano con voce rotta dalla paura, dal pianto e dalla rabbia, completamente al buio: … One nation bound in freedom, peace and unity. Arise, O compatriots, Nigeria’s call obey/To serve our Fatherland/With love and strength and faith. Il canto è intervallato dal suono acuto delle sirene e dal lugubre scoppio dei proiettili. Amnesty International conferma che molte persone sono rimaste uccise. Non è stato ancora accertato con esattezza il numero delle vittime.
Sui social, il 20 ottobre 2020 diventa il Martedì Nero, il giorno della strage di Lekki. Il Presidente Buhari viene accusato dal popolo di genocidio per aver permesso l’accaduto. Soltanto qualche giorno fa, Buhari ha annunciato lo smantellamento della SARS e una riforma delle forze di polizia. Alla notizia è seguita quella dell’istituzione di un nuovo corpo speciale denominato SWAT. Le proteste in Nigeria, però, non si sono fermate: per moltissimi anni, infatti, alle richieste del popolo di porre fine al programma SARS, la politica ha risposto semplicemente spostando gli agenti più problematici in altre unità o cambiando nome al corpo speciale. L’annuncio della nuova SWAT, dunque, non solo non ha sorpreso nessuno ma ha anche gettato benzina sul fuoco già alto della protesta. A innescare una prima reazione del popolo nigeriano, il 7 di ottobre, era stato il ritrovamento e la condivisione di un video in cui un uomo veniva ammazzato dagli agenti.
SARS è l’abbreviazione di Special Anti-Robbery and Kidnapping Squad (Unità speciale contro la rapina a mano armata e il rapimento). Istituita per la prima volta nel 1992, per affiancare le forze canoniche di polizia che godevano di pessima reputazione, in qualità di reparto operativo, la SARS si è guadagnata diverse libertà: gli agenti vanno in giro in completo anonimato, con macchine senza targa, autorizzati a usare metodi poco ortodossi d’indagine. Nel loro mirino sono spesso finiti i giovani con auto potenti, vestiti alla moda e smartphone di ultimissima generazione. I giovani nigeriani che ostentano o attribuiscono valore sociale alla tecnologia e alla modernità, in maniera non dissimile ai ragazzi di ogni luogo e ogni tempo.
La fiamma della protesta, spontanea e non-violenta, è scaturita sui social e per le strade proprio da loro, dai giovani. Moltissimi dei cartelli che stringono in pugno recano frasi come To be modern is not a crime: essere moderni non è un reato. Il 65% dei nigeriani ha meno di 25 anni. Questa esorbitante quantità di persone è, però, completamente esclusa dal dibattito pubblico e scarsamente rappresentata a livello istituzionale. I giovani e le loro esigenze sono guardati dall’alto in basso da una politica paternalista e ancora dominata oppressivamente dalle ortodossie religiose, scrive Sakiru Adebayo, docente all’Università del Witwatersrand (Johannesburg). Le proteste contro la SARS e contro la brutalità delle forze armate sono anche espressione di un conflitto generazionale che affonda le sue radici nel modo stesso in cui il paese è ordinato. Quest’ultimo complesso aspetto deriva dal passato coloniale della Nigeria e dalle dirette responsabilità europee e occidentali nel suo sviluppo.
Secondo una tesi portata avanti dagli studiosi di Relazioni Internazionali Benjamin Maiangwa, Muhammad Dan Suleiman e Chigbo A. Anyaduba, il clima violento e oppressivo in Nigeria è il risultato inequivocabile della gestione del paese come “entità aziendale” e non come nazione. Per gli studiosi, gli interessi commerciali dell’Inghilterra in Nigeria si sono tradotti in una serie di scelte che hanno attribuito sempre più peso politico alle multinazionali in contesa per i privilegi sul Niger e sul Benue. La Nigeria nasce, dunque, come stato-azienda: vincola una moltitudine di persone in una singolarità giuridica, una persona artificiale che afferma i diritti comuni, gli standard e il comportamento della polizia e li amministra per conto della collettività. L’impero coloniale britannico adottò lo stesso criterio anche in India, dove la Compagnia delle Indie Orientali godeva di speciali privilegi per stabilire e amministrare la legge, riscuotere le tasse, istituire organismi di sicurezza e infliggere pene. In Nigeria, questi diritti erano garantiti tramite uno speciale statuto alla RNC (Royal Niger Company). Come ne il Leviatano di Hobbes, la compagnia, che pure redigeva le leggi, era al di sopra della legge, poiché i suoi agenti non erano chiamati a rispettare lo statuto. Nel 1899, la corona inglese revocò il documento, ma la trasformazione della Nigeria in una nazione-azienda frutto dello sfruttamento capitalista era ormai avvenuta.
Sia prima che dopo il periodo ufficiale di colonizzazione europea, questo tipo di ordinamento politico ha servito un unico interesse supremo: il monopolio dell’economia materiale, politica e sociale. […] La ragione coloniale che partorì lo “Stato Nigeriano” lo ha concepito come complesso industriale, non come nazione, come uno stato-azienda, non come entità civile. In qualità di azienda, la vita sociale e politica è stata organizzata sulla base dello sfruttamento e della produzione del lavoro per il colonizzatore.
La RNC cambiò nome e, nel 1929, entrò a far parte della United Africa Company. Quest’ultima fu acquisita nel 1987 dal gruppo Unilever, una delle più imponenti multinazionali al mondo, ancora operante in Nigeria. Il sistema capitalistico e coloniale che ha modellato il paese è alla base delle ingiustizie sociali, della povertà giovanile e della violenza delle forze di polizia. In un certo senso, le proteste trascendono la denuncia della brutalità dei poliziotti. Attaccano direttamente al cuore la corruzione morale della classe dirigente nigeriana, arricchitasi illegalmente e spesso a spese della popolazione. Il tasso di disoccupazione in Nigeria sfiora vette altissime: il 64.3% non lavora. Più del 30% dei disoccupati sono giovani. Gli stessi agenti di polizia, chiamati a proteggere la proprietà privata e a far rispettare la legge del capitale macchiandosi di efferatezze, guadagnano pochissimo: poco meno di 1300 euro l’anno. Tra i punti chiave delle manifestazioni non c’è solo lo smantellamento delle unità speciali, c’è anche la richiesta esplicita di un salario più alto per i poliziotti, che scongiurerebbe il ricorso a programmi come la SARS per la lotta al crimine.
#EndSARS va oltre. I giovani nigeriani protestano con coraggio per il loro diritto a essere ascoltati, per il loro diritto a esistere e partecipare della vita del paese. Protestano per il diritto ad avere un futuro e in quel futuro credono così tanto da essere pronti a morire.