Che si sarebbero tramutati in partito qualcuno lo aveva pronosticato. Che sarebbero diventati ciò che a lungo hanno criticato – soprattutto nella prima esperienza di governo – era prevedibile. Che abbiano smentito se stessi, appoggiato assurdità, fatto esternazioni improponibili e votato provvedimenti aberranti, lo abbiamo constatato più e più volte, anche con una punta di sdegno verso chi doveva aprire le stanze del potere come una scatoletta di tonno. Ciò che, però, non ci aspettavamo è che quelli che sembravano essere i quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo, così affiatati e uniti, sempre a spalleggiarsi l’un l’altro, finissero con il dividersi o, addirittura, minacciare di rivedersi in tribunale.
Già, perché quelle immagini scattate sui palchi, con Grillo, Di Maio e Di Battista abbracciati e felici, o il viaggio in macchina in direzione Bruxelles dei due giovani amici (?) e leader in occasione delle ultime Europee, sembrano solo un ricordo dei tempi che furono, di quando dai banchi dell’opposizione bisognava inveire contro il sistema e di quando, forse, il MoVimento non si trovava di fronte a un bivio.
Tra i protagonisti di questa triste storia, c’è proprio l’ex parlamentare romano, il quale, dopo due anni di latitanza politica (eccezion fatta per le già citate elezioni del 2019 a cui ha portato tutt’altro che fortuna), è tornato sulla scena per affermare la sua contrarietà a un’alleanza strutturale con il Partito Democratico e per ribadire che non solo lui aveva suggerito di non dare vita all’esecutivo giallorosso, ma che la sua idea era quella di proporre un nuovo governo con la Lega senza che Salvini fosse partecipe alle trattative. Ma quanto poco lungimiranti si deve essere per avanzare una simile proposta? Nell’agosto dello scorso anno, il Segretario della Lega registrava il massimo storico di preferenze, con i sondaggi che lo davano anche al di sopra del 34%. Inoltre, aveva appena stravinto la competizione elettorale europea: come avrebbero potuto estrometterlo da un tavolo del quale il suo partito sarebbe stato una delle due parti contraenti? Soprattutto, Di Battista con chi pensava di accordarsi, se non con lui, che è a oggi l’unica voce del Carroccio?
Visto che al peggio non c’è mai fine, alle parole del pasdaran grillino si sono unite quelle di Davide Casaleggio, altro personaggio di spicco di questa vicenda, che rappresenta forse la spaccatura definitiva tra due facce della stessa medaglia: il MoVimento 5 Stelle e l’associazione Rousseau, da lui presieduta. L’erede del co-fondatore, infatti, ha ricordato la natura movimentista dei grillini e si è detto contrario alla loro trasformazione in partito: non è necessario avere una visione esterna dei fatti per rendersi conto che i pentastellati sono già un partito da tempo e che, in realtà, non c’è niente di sbagliato a organizzarsi con una struttura e un confronto tanto interno quanto esterno. Tuttavia, il simbolo della frattura sta nella dichiarazione dello stesso Casaleggio di voler portare in tribunale i parlamentari per i mancati versamenti all’associazione. Parlamentari che, a loro volta, lo hanno accusato di abusare del Blog delle Stelle, facendone un uso privatistico.
Una simile frammentazione significherebbe, dunque, la prima vera scissione non all’interno del M5S, bensì tra quello che i pentastellati erano e quello che stanno diventando, addirittura emancipandosi da una piattaforma che hanno da sempre sbandierato come simbolo della propria trasparenza e del rapporto diretto tra iscritti e “portavoce”. In ogni caso, le trasformazioni possono essere capite, modellate e adattate ai tempi. E, dicevamo, di fronte c’è un bivio. Da una parte, ci sono i personaggi che abbiamo appena descritto, che – in buona compagnia di Barbara Lezzi e altri – sono convinti di essere gli stessi di tre, cinque e dieci anni fa, quando ancora non erano al governo e non avevano subito l’emorragia di voti verificatasi nel Conte 1, senza comunque stracciarsi le vesti – come vorrebbero fare ora – inseguendo l’onda leghista. Dall’altra parte, abbiamo l’ideatore del MoVimento, Beppe Grillo, che benedice il governo con il PD, Luigi Di Maio, che non fa altro che rilanciare alleanze in vista delle prossime elezioni comunali, e Roberto Fico, che è quello più vicino al centrosinistra, sostenitore di un’alleanza organica con il Partito Democratico su determinate tematiche comuni.
Insomma, i pentastellati non potranno mai più tornare quelli degli inizi e difficilmente riusciranno a ottenere i voti di due anni fa, ma le vecchie 5 V, la scuola pubblica, la lotta alla povertà e la sanità aperta a tutti sono obiettivi che non possono realizzare da soli. E, se per farlo, devono sacrificare colonne portanti rimaste indietro nel tempo, ne vale la pena. Magari non apriranno il Parlamento come una scatoletta di tonno, ma almeno recupereranno credibilità.