La politica italiana è riuscita – finalmente! – nell’intento dichiarato all’alba della sua nuova stagione, quella attuale, dei 5 Stelle e della propaganda come unico mezzo per governare. Tagliare i privilegi alla casta è quello che ci ha venduto, non ciò che ha fatto: ha confermato agli elettori la propria raggiunta irrilevanza, chiedendo loro di autoinfliggersi il colpo di grazia. Missione compiuta.
Dopo un bombardamento mediatico cominciato poco più di dieci anni fa nelle piazze dei Vaffa Day, poi confluito nei social network con tutta la potenza (e violenza) di cui le piattaforme digitali hanno dimostrato di essere capaci, il MoVimento è riuscito a portare a termine il primo passo della guerra promessa alle istituzioni: tagliarne le funzioni vitali. Già, perché chi crede che con il risultato palesatosi al referendum circa il taglio del numero dei parlamentari si sia messa in moto la macchina che porterà alle riduzioni dei benefici della vita (in) politica, si renderà conto – negli anni a venire – di esserci cascato ancora una volta.
La nuova norma che modifica gli articoli 56 e 57 della Costituzione entrerà in vigore soltanto trascorsi almeno sessanta giorni dalla data di ieri, ossia il tempo tecnico per ridisegnare i collegi e far sì che i partiti trovino un accordo sulla prossima legge elettorale, crocevia fondamentale per capire quale direzione prenderà il Parlamento, se ridurrà al minimo i rischi di una democrazia che finisce in frantumi o se, invece, cavalcherà l’onda dell’entusiasmo populista che ne ha bagnato il varo, minandone le fondamenta.
Cambia – certamente – la rappresentanza per alcune regioni, con Basilicata, Molise e Umbria su cui il taglio inciderà per circa il 33% dei deputati, o l’Abruzzo con il 39, mentre, per quanto riguarda il Senato, la Lucania dirà addio anche al 57% dei propri rappresentanti, il che si traduce in forti sperequazioni tra un territorio e un altro, in particolar modo a discapito di quelli già ritenuti più deboli. Ciononostante, l’analisi dei dati offre un quadro deprimente della resa che i cittadini hanno firmato allo stato di cose attuale, con le aree maggiormente interessate dalla modifica che non solo hanno seguito il trend nazionale anziché provare a rallentarlo (70% a favore del sì, contro il 30% dei no) ma, addirittura, si sono schierate tra le più favorevoli al cambiamento. Il Sud, anche stavolta, ha recitato la parte del territorio ribelle, con la forbice delle percentuali persino più ampia di quella nazionale registrata in Campania, Puglia e finanche in Basilicata. Le vittime che applaudono il carnefice.
Lo avevamo scritto e, forse, ora ha poco senso tornarci: con la riduzione dei deputati e senatori rispettivamente di 230 e 115 unità non si è deciso di tagliare i privilegi di chi siederà sulle poltrone di Montecitorio o Palazzo Madama, ma esclusivamente di ridurre la rappresentanza che ognuno affidava a donne e uomini dei propri territori, dei propri ideali. Il popolo tricolore, ancora una volta, ha fatto Ponzio Pilato di fronte alle sue responsabilità, incapace a far valere i propri diritti, a pretendere che quei quasi mille mandanti fossero davvero una eco della sua voce. Ha preferito l’idea di fargli un dispetto.
Non si è mai giurata una vera battaglia a chi veste i panni della politica come oggi intesa, quanto esclusivamente alle istituzioni che rappresenta. Ma la risposta a una mala-politica non può essere l’anti-politica. Tutto quanto di cui il cittadino medio ha rinunciato a chiedere il conto si è accartocciato su di sé in una spirale malata che ha portato alla condizione attuale: dai servizi al lavoro, dalla sanità all’istruzione, nulla in Italia sembra funzionare come dovrebbe. Si è rinunciato al confronto, forti di quell’idea che, una volta apposta la X sul simbolo preferito, il proprio dovere civico passasse nelle mani di chi sarebbe stato lautamente pagato per occuparsene. Si è fatto a meno delle piazze di discussione, del dissenso come strumento di democrazia, idee desuete – ne siamo consapevoli –, eppure non conosciamo una sola persona che non affermi quanto prima si stesse meglio, non solo nostalgici del fascismo.
Il tema più cavalcato per persuadere gli elettori al sì è stato quello dei costi da tagliare, del denaro pubblico da destinare ad altre operazioni per un totale di circa 57 milioni di euro, il corrispettivo di una tazzina di caffè all’anno per ogni italiano. L’auspicio è che la pausa per antonomasia non si riveli troppo cara e troppo amara a chi, oggi, festeggia un pezzo di storia che cambia.
Tutto vero,ma perché non ci chiediamo il perché di questa sfiducia verso i parlamentari che ha portato alla vittoria del si?