Il percorso che coinvolge due quartieri di Napoli, San Giovanni a Teduccio e Barra, è lungo circa ventiquattro chilometri intervallati da splendidi edifici, in tutto centoventidue delle Ville Vesuviane del Miglio d’Oro, che sono oggi sotto la tutela dell’Ente omonimo e che, originariamente, erano ventuno.
Nell’antico casale di Barra, a partire già dai primi dell’Ottocento, è stato creato un nucleo industriale diventato importantissimo nel 1904, in seguito alla legge speciale per Napoli. Nel corso del Novecento, l’insediamento industriale, che è andato crescendo sempre più, ha stravolto l’aspetto del territorio e risulta difficile credere che un tempo quello fosse un luogo privilegiato dalla nobiltà e scelto per la villeggiatura.
Barra è stata popolata sin dall’epoca greca e sono stati ritrovati dei resti di una villa romana. Come scrivono Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza ne Le ville di Napoli, intorno al 1100 sorgeva lì il Casale Serinum, parte del ducato di Bisanzio della Civitas Neapolis, ad evidente funzione difensiva. In epoca angioina si chiamava Barra de Cozi, de li Cocze, de Coczi o de Coczis, nel territorio detto Trasano o Tresani. L’antico casale, con poche abitazioni, era compreso fra il Tresani e il Padulanum. L’unione dei due casali di Barra de Cozzi e Serinum è rappresentata dallo stemma della sirena bicauda, stemma utilizzato ancora oggi dal Comune. Con gli Angioini, in particolare con Carlo I d’Angiò, sono state avviate azioni di bonifica delle zone, con conseguente sistemazione del suolo agrario e l’infeudamento delle terre demaniali bonificate.
L’area, precedentemente disabitata, grazie all’utilizzo di canali d’irrigazione confluenti nel collettore del Sebeto, ha visto poi svilupparsi grandi proprietà terriere. Scrivono ancora Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza: È in questo periodo che, come si rileva dai diplomi angioini, si ha la nascita delle prime abitazioni nel casale della Barra, dove, intorno al 1300, furono edificate le prime ville turrite e le chiese. Ci sono stati poi ulteriori interventi e il casale ha così inglobato anche i villaggi minori che si trovavano da quelle parti. A partire dal Cinquecento, con la costruzione della strada delle Calabrie, molti nobili hanno fatto costruire nella zona le proprie dimore e già nel Seicento Barra contava circa mille abitanti, trasformatasi ormai in un’amena zona residenziale della nobiltà.
Anche Francesco Solimena ha avuto una casa di campagna a Barra, ubicata presso l’attuale via Bisignano – di cui rimane ancora il toponimo Pigne del Solimena. Arnaldo Venditti, in merito a questa villa, ha scritto: L’antica via San Martino, o cupa Pini Solimena, sottopassando l’autostrada, conduce al podere del pittore. La villa dell’abate don Ciccio, come era chiamato familiarmente dal De Dominici, il maggiore biografo. L’opera, notoriamente assai poco attendibile per gli artisti più remoti – “Vita dei pittori, scultori ed architetti napoletani”, Bernardo De Dominici – fornisce invece importanti ed esatte indicazioni per gli artisti contemporanei all’A., come più recenti ricerche d’archivio hanno dimostrato. Della villa di Solimena il Venditti fa cenno più volte: Alla Barra, luogo deliziosissimo presso l’amena villa di Portici, ed ove per lo più fa soggiorno il nostro egregio pittore; si trattiene da più tempo alla Barra, villa deliziosissima, e dove egli molti beni possiede; La sua casa è nobilmente addobbata, così in Napoli, che alla Barra, ed è arricchita di sue preziose pitture, e massimamente di quantità di macchie (bozzetti), e quadri fatti per suo proprio studio. Nella sua stalla in Napoli mantiene otto generosi cavalli, ed alla Barra altri quattro, acciocché ognuno dei suoi nipoti abbia la carrozza a suo volere, oltre alla propria, e vi son quattro cocchieri, con molti servitori, avendo ognuno i suoi, e ha cameriero con gentiluomo.
Purtroppo oggi si identifica a malapena in un desolato casale rustico, abbandonato nella campagna, la cui strada di accesso è decaduta in alveo per le acque piovane. Salendo le pendici del vulcano, nel vigneto, si scopre – proprio in corrispondenza del luogo segnato nella carta Carafa come Podere del Solimena detto le Pigne –, una casa al termine di un viottolo rettilineo, inquadrato in un arco. Le arcate sono ancora visibili, la torre invece è stata in gran parte abbattuta durante l’occupazione alleata del 1943. Tuttavia un’incisione pubblicata dal Saint-Non, permette di riconoscere l’antico svolgimento della villa. Arnaldo Venditti a questo proposito scrive: Qui la torre è ben visibile nell’angolo, tra la fabbrica a due piani, destinata all’abitazione, e il corpo basso, delle scuderie, e costituisce un belvedere analogo a quello del palazzo di Gaspare Roomer. Dalla strada si entrava nel podere per una volta a botte, che ancora si conversa, indicata nell’incisione tra due piccoli bastioni cilindrici di piperno. Presso la villa doveva esser costruita anche una cappella per la quale il maestro, in tarda età e quasi cieco, aveva dipinto un quadro; non sappiamo però se il progetto della stessa, eseguito anche dal pittore, e di cui il discepolo Alessandro Ricciardelli aveva fatto un modello in legno, fu mai tradotto in realtà.