Civita di Bagnoregio sembra uscita da un romanzo fantastico o da un film di Miyazaki. Il borgo medievale al confine tra il Lazio e l’Umbria spunta da una sorta di canyon – la Valle dei Calanchi – e sorge su una rocca di tufo. Le caratteristiche del suolo argilloso e gli agenti atmosferici causano continue frane, tanto che lo scrittore Bonaventura Tecchi, originario proprio di Civita, la ribattezzò in tempi non sospetti la città che muore, uno slogan che ha indotto la curiosità in milioni di turisti da tutto il mondo negli ultimi anni.
Il borgo è raggiungibile solo attraverso un ponte di cemento armato lungo il quale non possono transitare automobili o altri mezzi di trasporto. La cittadina è formalmente disabitata, eppure nel 2019 un milione di turisti ha percorso il ponte, calpestato il suolo non pavimentato della piazzetta di Civita e scattato molto più di un milione di foto al panorama mozzafiato che offrono le mura medievali avvolte dalla nebbia. Non esistono servizi, se si escludono quelli riservati ai visitatori: negozi di souvenir, bar per fare aperitivi instagrammabili e bed and breakfast per poter raccontare agli amici di aver passato la notte in una città fantasma. Si paga un biglietto di 5 euro per entrare. La città che muore brulica di vita. In orario da museo. Ma può dirsi veramente viva una cittadina praticamente privata di ogni aspetto della vita autentica?
Passeggiare tra le sue viuzze pervase dagli odori della cucina di montagna, accompagnati dal brusio di una mescolanza di lingue e dal tintinnio delle stoviglie nelle taverne è molto suggestivo. Sembra, però, di attraversare un luogo sul quale aleggia, insieme alla nebbia, qualche potente incantesimo che lo trattiene in un tempo sospeso. In questo tempo, somigliante al presente storico delle fiabe, non esistono minimarket, scuole o uffici delle poste. Esistono, invece, i Moscow Mule al tramonto e i bastoni per i selfie. Gli episodi di frane e smottamenti hanno fatto sì che tutti i servizi per i cittadini si spostassero al di là del ponte, a Bagnoregio. Per la sua particolare caratteristica, il borgo non potrebbe ospitare così tanti visitatori: in cinque anni, i turisti hanno eroso di trenta centimetri la piazzetta principale, stabile da un millennio. La sua stessa sopravvivenza, tuttavia, dipende dalla capacità di attrarre viaggiatori.
Il caso di Civita di Bagnoregio è emblema di quanto il turismo nel nostro Paese sia allo stesso tempo salvifico e problematico. Il turismo, infatti, fa da carburante al nostro sistema capitalistico attribuendo un valore economico all’esperienza del viaggio. Tale esperienza ha tra i suoi parametri anche un fattore di riproducibilità: tendiamo, così, ad attribuire maggior valore alle esperienze che giudichiamo irripetibili. Visitare la città che muore o i campi di lenticchie in fiore a Castelluccio ricorda ai turisti che tutto in natura muta e che, per quanto una città sembri solida e le stagioni si susseguano nello stesso ciclo da sempre, domani la stessa bellezza di cui si stanno beando potrebbe non essere più lì. Molto spesso, però, sono gli stessi flussi turistici a intervenire sul ripetersi dello spettacolo: nel caso di Civita di Bagnoregio, l’afflusso di visitatori accelera l’erosione, così come orde di curiosi armati di macchina fotografica minacciano ogni anno di compromettere la coltura delle lenticchie perché ne calpestano maldestramente i fiori. In questo modo, il turismo capitalista riproduce da sé il principio di scarsità che mette in moto la giostra: i visitatori scelgono le proprie destinazioni anche in base alla paura di perdere l’occasione.
L’afflusso di persone in una determinata meta determina spesso la sopravvivenza di quel luogo. E se, da un lato, il settore turistico aiuta a creare valore e lavoro in una comunità, bisogna costantemente interrogarsi sulle caratteristiche di quel lavoro, che in Italia è spesso stagionale, saltuario, con contratto a termine. Bisogna costantemente interrogarsi anche sull’impatto che il turismo ha nelle vite dei residenti delle città visitate. Nel 2018 è nata SET, una rete territoriale per il monitoraggio e il contrasto del fenomeno della turistificazione nelle città del Sud Europa. Il manifesto di SET riportava tra le maggiori preoccupazioni l’aumento della precarizzazione del diritto all’alloggio, causato dall’acquisto massivo di immobili da destinare al mercato turistico; la gentrificazione; la massificazione delle strade e la saturazione del trasporto pubblico; la banalizzazione dell’ambiente urbano; la precarizzazione del lavoro.
Il processo di turistificazione è, come riportato da SET, il cuore della trasformazione delle aree urbane. Possiamo citare le grandi opere come la messa a punto di un sistema di trasporto pubblico che colleghi i centri storici e le vie dello shopping a ferrovie e aeroporti, il proliferare di piccole e piccolissime strutture di ricezione alberghiera grazie a portali come AirBNB, lo sviluppo di un’industria interamente legata all’esperienza turistica che ragioni sulle risorse cittadine in termini di attrazione, tagliando fuori tutto ciò che il turista trovi privo d’interesse. L’attenzione verso i centri storici porta, tra le altre cose, all’abbandono ulteriore delle periferie.
Nella città di Napoli, che negli ultimi anni ha investito con lungimiranza sul suo potenziale di attrarre il turismo internazionale, gli abitanti delle periferie continuano a vivere situazioni quotidiane di disagio per raggiungere il centro cittadino. Ad esempio, i residenti provenienti da tutta l’area nord della città metropolitana confluiscono nella stazione di Piscinola, assolutamente inadeguata a gestire il flusso di persone che vi giungono ogni giorno.
Nella competizione turistica, le periferie, con i loro palazzoni-alveare di cemento, senza neppure un negozio di souvenir sono automaticamente fuori da Instagram e dagli itinerari delle cose imperdibili da fare in città. Inoltre, ponendo l’accento sulla gentrificazione e sulle bolle immobiliari che si verificano nelle aree turistificate, ci si ritrova in una condizione di marginalizzazione doppia: i meno abbienti sono costretti a spostarsi lontano dal centro per poter sopravvivere. Così facendo, però, non hanno accesso alle possibilità che, effettivamente, il turismo offre e continuano a impoverirsi. Con il tempo, a questi residenti viene negata la possibilità di vivere la propria città. Proprio in quest’estate che ha visto riaffermarsi il turismo di prossimità, a Napoli, i cittadini hanno manifestato in diverse occasioni per il diritto alla spiaggia libera, protestando per i prezzi troppo elevati degli stabilimenti balneari.
Un altro importante punto evidenziato dal network contro la turistificazione è la dipendenza totale dell’economia dal turismo. Abbiamo avuto un assaggio delle sue conseguenze con l’avvento della pandemia di COVID-19: le perdite nel settore turistico avrebbero avuto un impatto talmente devastante sulla nostra economia che si è provato in ogni modo a ripristinare la fiducia delle persone a muoversi di casa e a circolare per il Paese. Anzi, meglio: a rivendicare il viaggio come precipua necessità, scaricando tutta la colpa di eventuali nuovi contagi su migranti e giovani avventori delle discoteche.
La preoccupazione per la crisi dell’industria turistica è, comunque, sentita a livello globale. Tra gennaio e maggio, l’improvviso crollo provocato dal mancato arrivo dei visitatori nelle destinazioni di tutto il mondo è costato circa 320 miliardi di dollari. Tre volte l’impatto della grande recessione del 2007-2009. La UNWTO (United Nations World Tourism Organization) esige, per questo, decisione nelle politiche di ripartenza, con un occhio di riguardo alla salvaguardia del sistema. In una dichiarazione, il direttore generale Antonio Guterres aveva detto che il turismo può essere un’infrastruttura per superare la pandemia. Parole che suonano paradossali, tenuto conto dell’impennata di contagi strettamente legata agli spostamenti tanto auspicati.
Che l’industry racchiuda la formula potenziale a superare la crisi economica causata dalla pandemia o meno, risulta ancora dolorosamente assente dal dibattito la presa di coscienza politica sui problemi causati dalla turistificazione e la discussione dello sviluppo di nuovi modelli di turismo, per una volta, veramente sostenibili.