Quando si parla di abuso su minore le prime sensazioni che vengono in mente sono ribrezzo, rabbia, amarezza. Tuttavia, in molti si fermano al maltrattamento fisico, tralasciando una violenza ben più subdola, dalle conseguenze altresì devastanti: il furto dell’infanzia attraverso l’adultizzazione e sessualizzazione del corpo dei bambini, in particolar modo, delle bambine.
L’ultimo episodio al centro del dibattito è quello di Chanel Totti, figlia del noto calciatore e di Ilary Blasi. La ragazzina, di soli tredici anni, è stata paparazzata al mare dal settimanale Gente che ne ha messo in primo piano il fondoschiena, accompagnato da un inquietantissimo confronto con le curve della madre. «Ringrazio il direttore Monica Mosca – ha scritto la Blasi – per la sensibilità dimostrata mettendo in copertina il lato B di mia figlia minorenne senza curarsi del problema sempre più evidente della sessualizzazione e mercificazione del corpo delle adolescenti». E ringraziamo anche per la premura riservata nel pixelare accuratamente il volto della ragazza, ma le natiche no, quelle vanno alla grande. Un espediente, senza volerlo, comunemente noto, soprattutto nel porno, come frammentizzazione del corpo femminile: spersonalizzare la donna per renderla il più possibile al pari di un oggetto, più che una persona, di modo che sia più semplice desiderarla senza senso di colpa. E se c’è chi si indigna per il bikini troppo striminzito – assolutamente il punto focale del discorso! –, forse l’accento dovrebbe invece andare sulla quantità di commenti osceni postati sotto le foto apparse sui social. Adulti consapevoli di star ammiccando pubblicamente a una tredicenne.
Gli stessi adulti che scattavano euforici fotografie alle baby modelle in bikini al Chutian Auto Culture Festival di Wuhan, il salone delle auto di lusso. Bimbe seminude, in pose ammiccanti. Ma se donne e motori sono la combo perfetta per soddisfare quella figura mitologica nota come maschio alpha, dovrebbe esser chiaro a chiunque che c’è qualcosa che non va se la più piccola di queste donne ha appena quattro anni. Così come ha fatto Audi, che per il nuovo spot – poi rimosso – ha scelto una bimbetta che indossa un paio di occhiali da sole e che, poggiata sulla nuova fiammante vettura, mangia una banana con tanto di slogan: Fa’ battere il tuo cuore più veloce, sotto ogni aspetto. Una scelta che ci lascia un enorme quesito: perché?
Quello della sessualizzazione dei bambini è un fenomeno delicato e preoccupante, figlio di un sistema che contribuisce a creare una società sempre più malata e normalizzata. Un problema che meriterebbe molto più di qualche polemica occasionale, anzi, dei seri provvedimenti legislativi. Nel 2007, l’American Psychological Association pubblicò uno studio evidenziando i fattori delineanti il concetto di erotizzazione per come lo intendiamo: quando il valore di una persona è dato solo dal suo aspetto o atteggiamento sessuale; quando una persona è tenuta a conformarsi a uno standard che equipara l’attrattiva fisica con l’essere sensuale; quando una persona è considerata un oggetto sessuale, destinata a essere usata da altri come tale, piuttosto che vista come persona con capacità decisionali e autonomia; quando la sessualità adulta è impropriamente imposta a una persona molto giovane.
È ciò che accade nello spettacolo e nei mass media, che vedono i bambini sempre più non solo come potenziali consumatori ma anche come meri oggetti di consumo. E se è chiaro l’enorme problema del corpo femminile nelle pubblicità, chi ne risente in maggior misura, ovviamente, sono le bambine. Gallinelle dalle uova d’oro fin da piccole, bombardate di messaggi il cui unico fulcro è il culto del sesso e del corpo come merce. Bambine che dovrebbero essere protette poiché non hanno una completa coscienza di sé e del mondo che le circonda. E invece subiscono un vero e proprio lavaggio del cervello, rimarcando l’ossessione di presentarsi sempre graziose, sensuali, al fine di compiacere visivamente e sessualmente il maschio. Il concetto, per essere ritenuto positivo, viene associato a fama, successo, denaro e quindi a una vittoria nell’arena sociale. Sdoganare i tabù sessuali e sentirsi libere di mostrare anche questi aspetti senza vergogna va bene se sei adulta e consapevole.
Quello che forse non è risultato ben chiaro con Cuties, film in uscita su Netflix il 9 settembre e già in pasto a forti polemiche. La locandina mostra un gruppo di preadolescenti in look e pose sensuali, la trama è la seguente: Amy, undici anni, decide di scoprire la propria femminilità e sfidare i rigidi precetti della famiglia conservatrice, iniziando a ballare il twerking con alcune sue coetanee. Già la frase scoprire la propria femminilità lascia un velo di perplessità. Ancor di più se questa viene associata a un ballo tipicamente noto per l’estremo erotismo dovuto all’ancheggiare e scuotere forte il fondoschiena. Il tutto considerando che le attrici sono davvero undicenni.
L’accelerazione precoce della crescita di un bambino e la sua erotizzazione così sfrenata, vista come qualcosa di vantaggioso, non fa altro che portare avanti stereotipi vecchi come il mondo e creare nuove generazioni di bambini insicuri e fuorviati. Le conseguenze, specialmente nelle più piccole, sono disastrose. Si parte dalla negligenza verso altri aspetti dello sviluppo e attitudini della personalità, tensioni e insoddisfazioni. Uno dei rischi più infidi è senza dubbio la cosiddetta self-objectification (auto-oggettivazione), cioè arrivare ad adottare su se stesse la prospettiva di un osservatore esterno fino a vedersi primariamente come un oggetto valutato esclusivamente sulla base del proprio aspetto fisico.
E in mezzo a questo marasma di voyeurismo e appetiti perversi, Sky Tg24, promuovendo la Mostra di Venezia 2020, ci annuncia con letizia che Il festival è donna! con tanto di bambina in canotta e mutandine in mezzo a una moltitudine di uccelli impagliati (scena di uno dei film). Grazie, siamo onorate che il festival sia donna, peccato che quel tipo di donna sia quello che volete e che avete sempre voluto voi. Noi siamo ben altro. Basta corpi in vendita, ancor di più se questi appartengono ai bambini.