A quanto pare, abbiamo dei grossi problemi con la libertà. Sembra ormai ovvio che l’Italia sia attraversata da gravi controversie sul concetto sacro e inviolabile che questa parola starebbe a rappresentare perché, da quando la pandemia è scoppiata, il terrore più grande che paralizza i cittadini non è la malattia, la morte o la perdita di un amico o di un familiare, bensì la lesione di quel diritto sacrosanto che la democrazia dovrebbe garantire e che le mascherine sembrano minacciare.
Il timore degli italiani non è certo infondato. Da un lato, infatti, sono molti i leader mondiali che stanno sfruttando la crisi sanitaria per dotarsi di un potere smisurato. Anche tanti vicini di casa, Paesi teoricamente democratici, Stati europei che dovrebbero condividere i principi dell’Unione, silenziano la stampa, varano leggi mai approvate e prendono decisioni discutibili delle quali non riusciamo a far altro che essere spettatori. Appare dunque spaventoso lo scenario che si sta delineando e, se uno stato d’emergenza può rappresentare l’occasione di cui approfittare per qualche potente malintenzionato, è normale che la popolazione si spaventi.
D’altro canto, la nostra storia – non quella arcaica, remota, ma la più recente – ci terrorizza con il ricordo di un ventennio che di libertà ne ha negate parecchie e che è riuscito a imporsi troppo facilmente nella nostra legislazione. All’epoca, quando il fascismo riuscì a conquistare la scena, poté farlo perché lo Statuto Albertino era una costituzione flessibile. Essa era allo stesso livello delle leggi ordinarie e fu fin troppo facile poterne aggirare i principi perché quella che oggi definiremmo incostituzionalità non rappresentava un ostacolo invalicabile. Come dimenticare una storia tanto disastrosa? Come non temere che possa accadere ancora? È proprio quel timore, forse, e la guardia sempre alzata, che impediscono che riaccada. Dopotutto, la storia insegna ed è proprio alla luce degli eventi che ci hanno preceduto che la nuova Costituzione è stata creata per essere rigida e difficile da modificare.
Insomma, se i cittadini italiani temono per la propria libertà, qualche motivo fondato dovrà pur esserci, e alla luce della storia quanto dell’attualità, tanto torto non avrebbero. Eppure, osservando più attentamente i dibattiti sul web, le proteste e le polemiche che nascono ogni giorno, non sembra che a preoccupare siano le dittature nascenti dei nostri vicini europei né i dpcm, né la storia di fascismo che abbiamo alla spalle, conosciuta così poco da essere a volte addirittura rimpianta. Ciò che preoccupa gli italiani, ciò che li terrorizza, ciò che considerano la più grande e grave minaccia alla libertà personale del singolo è la mascherina.
Un pezzo di stoffa largo venti centimetri e alto dieci, un sottile e fragile ritaglio di poliestere che medici e infermieri indossano ogni giorno in sala operatoria. Ne esistono di bianchi, di azzurri e di verdi, ogni tanto in giro se ne vede anche qualcuno rosa. Quegli innocui dispositivi salvavita che abbiamo reclamato a gran voce quando a inizio pandemia non erano prodotti a sufficienza sono diventati l’emblema della sottomissione, il simbolo e il sintomo di una libertà calciata, calpestata, negata. È paradossale. Ma è un paradosso tutto italiano quello di dover ricordare che i numeri dei contagi non sono ancora – e chissà quando lo saranno – rassicuranti, che probabilmente dovremo imparare a convivere con una malattia nuova e apparentemente invincibile, che dobbiamo attrezzarci per sopravvivere, che le mascherine e la distanza sono le uniche armi in dotazione fintanto che combattiamo ancora in prima linea contro il virus.
È vero che ci sono situazioni in cui la mascherina rappresenta un ostacolo, per esempio per chi per comunicare ha bisogno delle espressioni del viso, che sia per praticare il linguaggio dei segni o per ovviare a qualunque altra limitazione. È probabile che essa rappresenti una difficoltà anche per chi soffre di claustrofobia o attacchi di panico. Eppure, la maggior parte di coloro che la condannano non ha tali incisive argomentazioni a suo favore. Probabilmente, il problema riguarda la percezione del COVID-19 e dell’utilità dei dispositivi sanitari per la prevenzione del contagio.
Abbiamo spesso criticato l’indecisione di autorità e istituzioni nel comunicare le strategie necessarie per affrontare la minaccia pandemica, e certamente la scarsa gestione della comunicazione istituzionale ha indebolito la fiducia dei cittadini nei confronti dell’efficacia di certi provvedimenti. Ma se con lockdown, chiusura delle scuole e sospensione della mobilità si aveva a che fare con questioni più incisive e sicuramente più complicate, quando si parla di indossare un pezzo di stoffa sul viso sembra che il problema sia solo una presa di posizione.
Può far più caldo, certo, ma respirare attraverso la mascherina non comporta problemi respiratori. Può non essere esteticamente piacente o alla moda, ma imporre il dispositivo non equivale a imporre un certo tipo di abbigliamento – cosa che, tra l’altro, in certi casi è accettata, come per le divise, l’outfit consono a una determinata occasione o, a dirla tutta, l’obbligo morale e non solo di indossare indumenti e non recarsi completamente svestiti nei luoghi pubblici. Eppure sembra siano in procinto di animarsi sovversive rivolte per impedire ai bambini di andare a scuola con il viso ingabbiato nelle infernali mascherine. Addirittura c’è chi – come l’ex Ministro dell’Interno – minaccia di non permettere ai propri figli di frequentare le lezioni se le condizioni per farlo sono tanto deplorevoli. Come se non fosse infinitamente più grave precludere un minore dell’istruzione.
Qualcun altro, invece, ha provato a sfidare le disposizioni ministeriali citando leggi evidentemente non lette con attenzione, come la 152 del 22 maggio 1975, il cui articolo 5 recita che è vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, tentando di dimostrare l’assoluta illegalità dietro l’obbligo di indossare le mascherine, dimenticando però che la frase sopracitata è seguita da una chiarissima precisazione – senza giustificato motivo – in assenza della quale in effetti sarebbe difficile giustificare anche l’obbligo di indossare il casco con visiera quando si è in motocicletta. Ciononostante, non sembra che siano in programma moti rivoltosi per impedire alla legge di imporne l’utilizzo, anche perché è abbastanza chiaro che nei motivi giustificati rientrino certamente le questioni di sicurezza e quelle sanitarie.
Insomma, pare che la polemica sulle mascherine sia più che altro una questione di principio, nata forse a causa dell’istinto – un po’ infantile – di scalpitare quando ci si vede imporre qualcosa. Le risorse dell’umano intelletto, però, sono innumerevoli e allora ecco spuntare le validissime argomentazioni in merito alla libertà corporale, quella secondo cui un’imposizione che coinvolge il corpo, qualcosa da portare addosso, sia una lesione della libertà più primordiale, quella di poter disporre di se stessi e della propria carne. Libertà ipocritamente invocata dallo stesso popolo che non accetta che gli altri dispongano di se stessi – come, per citare qualche esempio, nel caso di una donna che voglia abortire o di due uomini che vogliano tenersi per mano in pubblico.
E allora cosa ce ne facciamo di questa libertà se non sappiamo definirla né renderla universale, ma farvi appello solo quando non è necessario e sfidarla quando appare fondamentale? Dopotutto, finché ciò che si rischia è la vita, è davvero impensabile fare un sacrificio pur di restare vivi? E se anche indossare le mascherine non dovesse servire a nulla, se anche si scoprisse che non ha aiutato nel contenimento dei contagi, non sarà comunque meglio aver fatto qualcosa in più per rallentare l’onda pandemica invece di aver ignorato provvedimenti fondamentali?
Forse, il problema sta nel fatto che la mascherina non protegge chi la indossa dagli altri, ma il contrario, ed è facile che il disinteresse nei confronti del prossimo sfoci in sediziose proteste in nome della libertà, una libertà massima e illimitata che non tiene conto di chi abbiamo accanto. Il problema sta, dunque, in quello che i filosofi del liberalismo descriverebbero così: la mia libertà finisce dove comincia la tua. E cioè che la libertà assoluta non esiste, o meglio non può esistere a meno che l’uomo non diventi un animale solitario che vive su un’isola deserta. Perché nel concetto stesso di società è implicita la presenza degli altri e in una società civile l’espressione della libertà non può ledere i diritti e, appunto, le libertà altrui. Altrimenti, non esisterebbero le leggi, ognuno potrebbe fare ciò che vuole, ma la nostra vita sarebbe un continuo sopravvivere a soprusi terzi. È ciò a cui siamo disposti pur di non indossare una mascherina?