L’emergenza che ha sconvolto l’intero pianeta, la pandemia da COVID-19, è ben lontana dall’essere archiviata, dall’essere consegnata ai libri di storia con tutte le conseguenze sanitarie, economiche e sociali che si porterà dietro. La curva epidemiologica dei contagi, a seguito dell’allentamento delle restrizioni disposte dai governi, ha ripreso a salire, con i nuovi casi di coronavirus a spaventare l’Italia e il resto del mondo. Stabilmente in crescita nelle ultime settimane, la malattia che ha già fatto registrare soltanto nel nostro Paese oltre 35mila decessi è tornata a diffondersi sfruttando nuovi vettori: i giovani.
L’età media di coloro che accusano i sintomi e/o risultano positivi ai test clinici si è drasticamente abbassata, passando dai sessant’anni del periodo marzo-maggio – i mesi del lockdown, per intenderci – ai trentasei di questa estate, segno che il liberi tutti promosso da politica e istituzioni in favore della ripresa economica è stato annunciato con troppo entusiasmo ed eccessiva leggerezza, tant’è che l’improvvisa scomparsa di regole chiare e relativi controlli ha portato alle situazioni di preoccupazione, polemiche e rimbalzo delle responsabilità a cui stiamo assistendo.
I giovani sono il bersaglio di quanti vedono l’epidemia tornare a minacciarne la libertà, con le fotografie e i video da lidi e discoteche di mezza Europa a saltare di bacheca in bacheca sui social network: folle oceaniche di ragazzi ammassati l’un l’altro senza alcun tipo di precauzione, forti dell’onnipotenza che a quell’età accende ogni istinto. I giornali raccontano di rientri dalle zone turistiche più gettonate del Mediterraneo accompagnati dal virus, ventenni o poco più trovati positivi al COVID dopo le vacanze in Grecia, Spagna o Croazia, un’ondata di apparente incoscienza che si riflette nelle notizie che rimbalzano dalle solite località della movida italiana, dalla riviera romagnola a Gallipoli, passando per le isole. Ma è davvero tutta loro la colpa dello spauracchio di nuove restrizioni?
No, non lo è. Certo, non si intende nascondere le imprudenze di cui tanti hanno dimostrato di macchiarsi, tantomeno non si può non condividere l’amarezza dei numerosi addetti ai lavori – infermieri e medici su tutti – che, di fronte alle recenti impennate dei nuovi casi registrati lungo la Penisola, hanno pensato di affidare ai social la propria rabbia nei confronti di quanti ballavano addossati agli amici o che irridevano l’uso delle mascherine. Tuttavia, i messaggi arrivati da chi ha il dovere di garantire il rispetto di quelle regole da loro aggirate, uniti agli esempi dei rappresentanti parlamentari, fino alla fame insaziabile di quei gestori che – almeno al loro pari – delle norme di salvaguardia se ne sono altamente fregati alla prima occasione di monetizzare, lasciano ai giovani non poche attenuanti.
Si vuol far passare il messaggio di ragazzi incoscienti di fronte alla possibilità di contrarre la malattia e infettare, a loro volta, i parenti più stretti (magari a rischio per via dell’età), si vuol disegnare gli adolescenti come negazionisti, ma con quale autorevolezza, a maggior ragione di fronte alle rimostranze di parlamentari come Sgarbi e Salvini addirittura accolte in Senato, in un luogo che dovrebbe garantire l’integrità di quelle misure? Torna comodo a tanti, a troppi, additare i giovani come i responsabili del prossimo declino. Una domanda a quanti la pensano in questa maniera, però, vogliamo rivolgerla: preso atto della scapataggine di tanti, a quali norme o divieti stanno venendo meno?
Dal 15 giugno scorso è, infatti, consentito l’accesso libero ai turisti provenienti dall’estero (seppur con restrizioni verso alcuni Stati più a rischio) e, alla stessa maniera, non è fatto divieto di prenotare un volo verso Ibiza o Santorini. Così come – è bene ricordarlo – non era inibito l’accesso alle discoteche o ai lidi marittimi, tantomeno alle vie dello struscio ferragostiano, semmai è dato obbligo ai proprietari dei suddetti locali di far sì che le attività previste possano svolgersi in sicurezza.
Lo ripetiamo a discapito di polemiche inutili, la leggerezza con cui tanti giovani hanno affrontato il ritorno alla normalità è certamente da condannare, non fosse altro che – anche in mancanza di regole chiare – il buonsenso di salvaguardare la salute propria e degli altri attraverso piccoli gesti non di rinuncia, ma di responsabilità comune (come indossare la mascherina in luoghi affollati o tenere le distanze minime) sarebbe stato ed è tuttora auspicabile. Detto ciò, chi permette l’ingresso di migliaia di persone in una sala da ballo e chi è tenuto al controllo degli accessi e rispetto delle normative? Tocca, forse, anche quello a chi paga un regolare tagliando?
Questo giornale ha rivolto ai giovani – per di più, coetanei della maggior parte della redazione – il proprio invito a un’estate responsabile, tuttavia, lo squallido scaricabarile della politica che, sistematicamente, si riversa sugli under 30 a ogni occasione che l’inettitudine dei parlamentari sta per tradursi in conseguenze sociali ed economiche drammatiche per l’intero Paese, è una pratica ben più che consolidata, una narrazione, quella che ci dipinge come i bamboccioni, di cui ne abbiamo le tasche piene, per cui abbiamo pagato un conto salatissimo, non di nostra imputabilità.
Era il 2007, quando l’allora Ministro delle Finanze, Tommaso Padoa-Schioppa, cercava già un capro espiatorio alla crisi del lavoro che avrebbe soffocato il futuro di milioni di giovani e, poco più tardi, la quotidianità della maggior parte delle famiglie. Sdoganò il termine di cui sopra, bamboccioni, parlando di quei giovani che «non si sposano e non diventano autonomi», attribuendo, così, alle vittime la colpa del segno inferto dal carnefice, l’incapacità della politica di offrire loro opportunità di crescita personale e professionale, di investimento su occupazione e progresso.
Pochi anni più tardi, toccava quindi al Viceministro del Lavoro del governo Monti, Michele Martone, rincarare la dose durante quella che era la sua prima uscita pubblica: «Dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno sfigato», una degna inaugurazione – non c’è che dire! –, fotografia di un esecutivo ricordato ancora oggi per aver offerto le chiavi di casa Italia all’austerity e per il varo di una delle riforme più discusse di sempre, la Legge Fornero.
Infine, Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali in carica dal 2014 al 2018, salutava alla sua maniera i tanti ragazzi che asfissiati dal sistema Italia lasciavano i confini nazionali verso le opportunità offerte dai Paesi d’oltralpe: «I giovani italiani all’estero? Alcuni meglio non averli tra i piedi». Forse troppo preso dal distruggere loro le poche, residue possibilità di un domani dignitoso con la promulgazione del suo Jobs Act, Poletti evitava di domandarsi il perché di quei tanti millennial in fuga dalle città nostrane e girava lo sguardo di fronte ai no che un giovane raccoglie quando pensa all’apertura di un conto corrente senza garanzie o a un prestito per investire su se stesso e la sua voglia di emergere.
Quelli appena elencati, proprio al pari delle polemiche di questi giorni in merito alla diffusione del virus, sono solo alcuni degli esempi di come l’età adulta si arroga spesso il diritto di decidere del destino proprio e di quello di chi sogna di raggiungerla con dignità e ottimismo, di come la politica – e tante volte anche la stessa società – sa lavarsi le mani di fronte alle proprie responsabilità e guarda ai giovani solo quando ha da cercare un colpevole da offrire all’opinione pubblica. Uno straordinario modello di rappresentante delle istituzioni, Sandro Pertini, diceva: «I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo». I giovani hanno bisogno di opportunità, aggiungiamo noi. Perché al netto di tutti gli errori, di essere sempre e soltanto il bersaglio mobile dell’inettitudine e l’arroganza dei vecchi è bene che se ne sentano stanchi.