In soli 22 anni di vita, Francesca Woodman ha lasciato un segno indelebile nell’arte della fotografia. La sua è stata una profonda e ossessiva ricerca sul proprio corpo, una costante indagine dell’io che ha mantenuto in tutta la sua opera, legando ogni istantanea in modo indissolubile.
La sua esperienza umana e artistica è venuta fuori grazie a scatti originali, portando nel mondo della fotografia un’innovazione del linguaggio e la riproposizione di una nuova “grammatica delle immagini”: questi sono stati i punti focali della sua indagine condotta, del resto, in un momento storico caratterizzato da mutamenti radicali praticamente in tutti i settori della società.
Nata a Denver nel 1958, Francesca Woodman era figlia di artisti, il padre pittore e la madre ceramista, e ha trascorso diversi anni in Italia, soprattutto a Firenze. Ha scoperto il mondo della fotografia sin da bambina e a 13 anni aveva già sviluppato le sue prime immagini. Presso la Rhode Island School of Design (RISD) ha avuto modo di conoscere e appassionarsi alle opere di Man Ray, Duane Michals e Arthur Fellig Weegee. A Roma invece, dove ha continuato a frequentare i corsi RISD, è entrata in contatto con le opere di Max Klinger e ha conosciuto Sabina Mirri, Edith Schloss, Giuseppe Gallo, Enrico Luzzi e Suzanne Santoro.
La sua visione dell’essere donna è sempre stata molto chiara: dalle sue fotografie viene fuori il costante rapporto con il proprio corpo, uno sguardo che contempla la propria figura, rimandando a un contrasto tra oggetto e soggetto fotografato. Qui la figura femminile non viene idealizzata né caricata di significati altri, si trova semplicemente in un mondo pieno di cose, come a voler proclamare il suo status di oggetto tra gli oggetti.
La sua opera è stata influenzata dal surrealismo e dall’arte concettuale, il suo lavoro spesso presenta motivi simbolici ricorrenti come uccelli, specchi e teschi. L’esplorazione della sessualità e del corpo, invece, è talvolta paragonata sia a Hans Bellmer che a Man Ray. Gli scatti sono caratterizzati dall’uso di una lunga velocità dell’otturatore e della doppia esposizione, l’immagine sfocata va quindi a creare un senso di movimento, ma anche di urgenza: «Sono io nella foto? Ci sto entrando o uscendo? Potrei essere un fantasma, un animale o un cadavere, non solo questa ragazza in piedi all’angolo?».
Attraverso la fotografia, Francesca Woodman ha potuto esplorare i temi dell’adolescenza che ha vissuto e attraversato tra cui la questione dell’identità, le relazioni, la sessualità, l’alienazione e l’isolamento. I suoi autoritratti non sono il frutto di un atteggiamento narcisista e sterile piuttosto, per la giovane artista, sono stati un modo per indagare su se stessa, approfondire la conoscenza del proprio io, destinata tuttavia a non trovare delle risposte ultime.
«Amava le stampe alla gelatina, le esposizioni lunghe e i cimiteri. Le battute di spirito, i vestiti vintage, gli angeli e le ragazze fantasma». Queste sono le parole che Chris Kraus, scrittrice e film maker americana, ha usato per raccontare Francesca Woodman in un video prodotto e pubblicato dal Lousiana Museum of Modern Art di Copenhagen. «A quel tempo, si era fotografata già migliaia di volte. Non era narcisismo, o curiosità, o fascinazione, anche se talvolta poteva esserlo, la prima cosa che una fotografa deve capire è come far parlare un’immagine. E Francesca Woodman lo capì bene quando era ancora molto giovane».
Per trovare risposte legate alla sua identità, infatti, l’artista si è spesso spogliata, letteralmente, fotografando con grande naturalezza il proprio corpo nudo nell’evoluzione del passaggio dall’adolescenza all’età adulta. La sua figura però non è mai rivelata completamente, spesso è nascosta dietro oggetti, piante o specchi. Una continua esplorazione del rapporto tra pieno e vuoto nello spazio, di presenza e assenza del corpo, una sorta di comunione con il mondo e con la natura che si compie nel trasfigurarsi, diventando lei stessa opera d’arte.
Tornata a New York dopo la laurea, ottenere dei riconoscimenti non è stata cosa facile per lei, così come mantenersi. La costante precarietà e la difficoltà nell’affermarsi l’hanno quindi portata lentamente alla depressione. Il primo tentativo di suicidio risale al 1980, tuttavia è stato pochi mesi dopo, nel gennaio del 1981 all’età di 22, che Francesca Woodman, ormai schiacciata dai tanti rifiuti ricevuti, è riuscita a togliersi la vita.
Ho degli standard – ha scritto a una sua amica di corso nel 1980 – e la mia vita, giunta a questo punto, è come un vecchio fondo di caffè, e preferirei morire giovane, lasciando una serie di opere riuscite, dei lavori, la mia amicizia con te e altre… intatti, invece di lasciare che queste cose delicate svaniscano.