L’Earth Overshoot Day, il giorno del sovrasfruttamento della Terra, nel 2020 è slittato e cadrà il 22 agosto, ma è una buona notizia a metà. Nel 2019 era capitato ventiquattro giorni prima e il pianeta era andato “in riserva” il 29 luglio. È stata la crisi pandemica da COVID-19, tuttavia, che ci ha reso virtuosi per necessità perché il lockdown delle attività economiche e sociali ha permesso al globo terracqueo di contenere il fattore antropico, la pressione umana sul consumo delle risorse terrestri.
Il Global Footprint Network, l’organismo di ricerca internazionale che controlla l’impronta ecologica dell’uomo e lo sfruttamento delle risorse naturali, ci informa che, dal 1° gennaio fino ad agosto, c’è stata la riduzione del 9.3% del fattore umano rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. Il dato esprime gli effetti delle misure di contenimento messe in atto in tutto il mondo per difendersi dalla minaccia del coronavirus. In particolare, ci spiegano i responsabili dell’organizzazione, la diminuzione della raccolta del legno e le emissioni di CO2 dovute alla combustione di combustibili fossili sono i principali fattori alla base del cambiamento storico nella crescita a lungo termine dell’impronta ecologica dell’umanità.
L’impronta ecologica è l’indicatore della quantità di superficie terrestre e acquatica, produttiva dal punto di vista biologico, che necessita un individuo per produrre le risorse che consuma e assorbire i rifiuti che produce. Le attività individuali e collettive degli esseri umani, comunque, mettono a dura prova la biocapacità degli ecosistemi di soddisfare le crescenti richieste e avere il tempo di rigenerare le risorse consumate da quello scellerato sviluppo infinito su un pianeta finito, che è la caratteristica saliente del modello consumistico ed energivoro del sistema produttivo e distributivo occidentale che domina l’intero pianeta. La società-mondo, inoltre, sfrutta le risorse del sistema ecologico globale in diversa misura a livello locale, a seconda degli assetti economico-produttivi, sociali e politici dei vari Stati nazionali. Per esempio, nel Bel Paese dello storico spreco strutturale e comportamentale, la giornata del sovrasfruttamento delle risorse ambientali è arrivata a metà maggio, in pratica come l’anno scorso.
Tornando allo scenario planetario, l’emergenza socio-sanitaria ha impedito gran parte delle attività produttive delle comunità e anche le relazioni abituali tra gli attori sociali, misure che hanno ridotto l’impronta ecologica dell’umanità perché sono cambiati – facendo di necessità virtù – gli stili di vita e i modelli di consumo in un breve ma significativo orizzonte temporale. Da tanti decenni, l’uomo utilizza il 60% in più di quanto sia possibile rinnovare, vale a dire le stesse risorse di 1.6 pianeti come il nostro. E dall’Earth Overshoot Day fino alla fine dell’anno viene indicato l’accrescimento del deficit ecologico che la specie homo sapiens contrae con la Terra. Cosa fare, allora, dell’inaspettata riduzione dell’impronta ecologica? Perché non approfittare della crisi pandemica, trasformandola in una programmazione a breve e a lungo termine, in maniera tale che il benessere delle popolazioni si attui nel rispetto dei limiti delle risorse dell’unico pianeta che abbiamo a disposizione e di cui noi stessi siamo parte, come in un unico gigantesco organismo vivente?
La sovrapposizione in atto dell’emergenza socio-sanitaria con quella dei cambiamenti climatici impone, in maniera sempre più evidente e urgente, la riconsiderazione del nostro rapporto con l’ecosistema planetario nel quale viviamo. Dobbiamo abbandonare lo stile predatorio che ha causato il global warming e la crisi ecologica che sta provocando squilibri fisici, sociali ed esistenziali drammatici e dagli esiti imprevedibili.
Il rapporto malato che gli esseri umani hanno nei confronti del pianeta Terra, in realtà, è speculare agli squilibri economico-sociali esistenti all’interno delle comunità e tra le diverse aree del mondo, sempre in ostaggio degli interessi di potenti gruppi economico-finanziari transnazionali, con i sovranismi locali che operano sempre in vista di profitti particolaristici e di rado, nonostante la retorica paternalista dei proclami ufficiali, per un possibile cambiamento delle politiche pubbliche. Le tensioni geopolitiche del mondo globalizzato, infine, rimandano a un tempo indeterminato quelle scelte di fondo necessarie per organizzare la salvaguardia delle risorse naturali e il futuro degli esseri viventi.