Una fantasia e un’invenzione femminista volta a giustificare l’ideologia gay: è un po’ questa l’impressione che fanno le donne emancipate quando tentano di promuovere scabrose e indicibili idee, come la tutela dalla violenza di genere – che quasi pare inventata di sana pianta – o, addirittura, l’affermazione dei loro diritti che inevitabilmente si intrecciano ad altri diritti negati come quelli, appunto, dell’ideologia gay. E, infatti, quella sopracitata è la definizione che, nel 2015, il Ministro della Giustizia polacco aveva dato della Convenzione di Istanbul. Si tratta di un’iniziativa del Consiglio Europeo nata nel 2011 e firmata da 34 Stati dedicata alla prevenzione e alla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Anche la Polonia, nel 2015, l’aveva ratificata ma, adesso, ha annunciato l’intenzione di uscirne.
La Convenzione di Istanbul è stato il primo – e forse l’unico tuttora attivo – strumento internazionale giuridicamente vincolante a tutela delle donne che si impegna a creare un quadro giuridico completo contro la violenza domestica e che assicuri la persecuzione degli aggressori. Il trattato riconosce diversi reati e diverse forme di violenza – dallo stalking all’abuso sessuale, dai matrimoni forzati alla mutilazione genitale – ed è il primo documento internazionale a contenere una definizione di genere. Questo particolare non solo si rivela innovativo, perché per la prima volta include ruoli e comportamenti non fermandosi alla corrispondenza tra sesso biologico e identità di genere, ma è proprio il cavillo a cui la cattolicissima Polonia fa appello.
La notizia della dissociazione polacca dai principi espressi dal Consiglio Europeo era già nell’aria, ma è divenuta ufficiale lo scorso 25 luglio, con una conferenza stampa del Ministro della Giustizia Ziobro. Per motivare la scelta, il Ministro ha dichiarato la presenza di elementi di natura ideologica non condivisi dall’attuale governo, in particolar modo la tanto discussa, abusata e tormentata ideologia gender. Un concetto coniato in ambienti conservatori per riferirsi agli studi di genere e utilizzato per diffamare movimenti femministi e LGBTQ+ con l’accusa di voler sovvertire l’ordine naturale su cui è fondata la società per distruggere la famiglia, sostenendo l’assenza di differenze tra uomini e donne.
È chiaro perché l’ipotetica gender theory e l’emancipazione femminile facciano tanta paura in ambienti conservatori: la società è nata e cresciuta intorno al nucleo fondamentale, la famiglia, all’interno della quale uomini e donne hanno ruoli ben precisi e prestabiliti che la modernità e le sue idee inevitabilmente minacciano. Non si può altrettanto dire, però, che i principi su cui si basa il nostro vivere siano sempre stati equi e giusti, altrimenti non si sarebbe arrivati a mettere in discussione la schiavitù, il razzismo, il colonialismo e, incredibile ma vero, il patriarcato. Così come spaventava che le donne chiedessero il voto e volessero contare in quanto cittadine, così come terrorizzava l’introduzione del divorzio e quindi la possibilità che una donna potesse realizzarsi al di là dei ruoli di moglie e madre, adesso ciò che spaventa di più è la possibilità che le identità possano emanciparsi dai ruoli che il sesso biologico impone.
Ma al di là della semplicistica associazione tra tutela delle donne e tutela della comunità LGBTQ+, la dissociazione dalla Convenzione di Istanbul rappresenta un preoccupante passo indietro per la Polonia. Ziobro ha dichiarato che le leggi nazionali sono già efficienti e adatte a contrastare la violenza maschile sulle donne, sebbene gran parte di quelle leggi sia frutto proprio delle direttive del trattato e sebbene raramente bastino per tutelarle. Ma non è una novità che il suo Paese faccia costanti passi indietro sulla tutela di quei diritti umani fin troppo spesso negati.
Il partito di estrema destra attualmente al governo, Diritto e Giustizia, è considerato l’inferno delle donne da numerose attiviste, le stesse scese in piazza per protestare contro la scelta di uscire dal trattato. In più, recentemente sono state presentate due proposte di legge, una per l’abolizione dell’aborto – già permesso in pochissime occasioni – e una per la criminalizzazione dell’insegnamento dell’educazione sessuale. Quest’ultima è direttamente collegata all’ideologia gender e al terrore che essa possa violare i diritti dei genitori e insegnare ai bambini che esiste la possibilità di scegliere e costruire la propria identità sessuale.
Insomma, i presupposti che il governo ha utilizzato per motivare la scelta di uscire dal trattato sono per lo più le scuse di un Paese fin troppo avvezzo alla violazione dei diritti umani che aveva bisogno di una scusa per rinnegare ancora quelli delle donne. Ma sono anche questioni che realmente terrorizzano le ideologie di estrema destra e che, proprio per questo, rischiano di avere successo tra una popolazione tendenzialmente cattolica e conservatrice.
In Polonia ogni anno muoiono tra le 400 e le 500 donne per violenza domestica e sono centinaia di migliaia i casi molestie tra le mura di casa registrati dalle autorità. È dal 2016, inoltre, che le donne protestano per il diritto all’aborto, permesso solo in caso di stupro – raramente riconosciuto dalla legge – e di incesto, motivo per cui sono 100mila gli aborti clandestini annui. La decisione di non insegnare l’educazione sessuale, ma anzi di considerarla promozione del sesso tra minorenni, non può quindi che peggiorare la situazione. La linea politica dell’attuale governo, dopotutto, ha dimostrato più volte, negli ultimi mesi, una tendenza a fare passi indietro che dovrebbe spaventare il resto dell’Europa abbastanza da farla agire. L’allontanamento dal trattato è stato, infatti, solo l’ultima goccia di un vaso traboccante di violazioni, che non si fermano alla negazione dell’aborto o la mancanza di tutela per persone LGBTQ+, ma che partono dalle gravissime riforme che hanno letteralmente imbavagliato i media, controllando la diffusione delle notizie e impedendo le critiche alla maggioranza.
Di fronte a uno scenario del genere, ci si aspetta che la Comunità Europea rabbrividisca e intervenga a tutela di quei diritti che sono alla base dell’Unione. Ma, in fondo, forse ci stiamo abituando a rinnegare i nostri progressi troppo spesso per darci da fare e a ripercorrere strade già battute e fallimentari in nome di valori che hanno perso di senso.