Già in passato abbiamo criticato lo scarso pragmatismo dei progetti a lungo termine, soprattutto di quelli riguardanti il clima e l’ambiente. Ciò che spesso accade quando si parla di piani per rendere gli Stati dell’Europa o del mondo più sostenibili è l’ideazione di strategie che non richiedono uno sforzo immediato, ricorrendo a un insieme di azioni dilazionate nel corso di molti decenni. E il problema a tal proposito riguarda due differenti aspetti di questi piani infiniti: da un lato, spesso gli anni previsti sono troppi di più del tempo in cui sarebbe necessario completare le azioni e raggiungere gli obiettivi green, soprattutto quando si parla di un riscaldamento globale tanto incalzante; dall’altro, più gli obiettivi sono distanti, più le aspettative vengono disattese.
È proprio il caso dell’Italia e della maggior parte dei Paesi del Vecchio Continente che hanno appena fallito nel raggiungimento degli obiettivi per tutelare i mari, programmati a partire dal 2008 per l’agenda 2020. Gli equilibri delle acque europee sono infatti in serio pericolo a causa di un inquinamento incalzante che non accenna ad arrestarsi. E la necessità di un habitat marino sano non riguarda solo la tutela dei suoi abitanti, ma la salute stessa degli esseri umani, che per il proprio sostentamento dipendono fin troppo da un ecosistema che, se inquinato, non può che avere conseguenze devastanti sul loro benessere. Che si tratti di ingerire microplastiche o prodotti ittici pescati in acque sporchissime, le ripercussioni riguardano tutti.
A dare la brutta notizia – non inattesa – è Marine Message II, un report dell’agenzia ambientale dell’Unione Europea pubblicato lo scorso 25 giugno: Le condizioni dei nostri mari determinano la loro stessa capacità di fornire cibo, ossigeno, risorse prime e un clima abitabile. La denuncia dell’agenzia non riguarda solo l’inquinamento, ma anche una pesca intensiva e sconsiderata che distrugge gli equilibri e mette in serio pericolo la sopravvivenza di numerose specie. Negli ultimi anni, l’inquinamento di acque e fondali e l’erosione della costa si è aggravato anche a causa dell’incalzante riscaldamento globale che provoca l’acidificazione degli oceani.
Secondo uno studio francese del 2015, l’inquinamento del mar Mediterraneo è triplicato negli ultimi 25 anni, ospitando una quantità inimmaginabile di rifiuti con una concentrazione di 300 per chilometro quadrato. Il WWF ritiene che ogni anno siano riversate 600mila tonnellate di plastica nel Mare Nostrum e in condizioni ancora peggiori verte il mar Nero, con una polluzione pari al doppio del Mediterraneo e una quantità di contaminazione da pesticidi e altre sostanze tossiche nettamente superiore ai limiti raccomandati dall’OMS.
Il fallimento dell’obiettivo di mari puliti e sani suggerisce, purtroppo, la tendenza europea all’inadempienza degli obiettivi prefissati anche per il futuro, persino quando si parla di impegni giuridicamente vincolanti. I Paesi membri hanno infatti aderito a numerose iniziative: dopo l’agenda 2020, si dovrebbe passare al raggiungimento dei traguardi sostenibili dell’agenda 2030, per non parlare dei piani a lungo termine presenti nel Green New Deal, che prevedono la neutralità climatica entro il 2050.
L’Unione Europea si è infatti posta l’obiettivo di diventare un leader mondiale nella salvaguardia dell’ambiente, riducendo a zero le emissioni di carbonio. La neutralità di cui si parla non comporta la totale eliminazione di CO2, ma un bilanciamento tra emissioni e assorbimento, creando un sistema – formato principalmente da foreste e oceani – in grado di annullare l’effetto del carbonio generato dalle attività produttive. È certamente un piano ambizioso, ma quanto mai necessario che, se anche procedesse in linea con i tempi, rischierebbe di essere comunque in ritardo perché l’irreversibilità del riscaldamento globale diventa sempre più imminente.
Ma, in seguito al fallimento degli obiettivi del 2020, è inevitabile chiedersi come si possa pensare di soddisfare requisiti cosi ambiziosi ed esigenti e prefissati a così lungo termine, se si vanificano persino i tentativi di tenere puliti i mari. In fondo, il fatto che i programmi siano dilazionati non significa poter rimandare all’infinito i provvedimenti, ma anzi che è necessaria un’azione costante per rimediare ai danni fatti finora. Tuttavia, la tendenza generale suggerisce che sia meglio aspettarsi ulteriori fallimenti.