Lo scorso 18 giugno è uscito in libreria, per Racconti Edizioni, L’uovo di Barbablù, una raccolta di racconti di Margaret Atwood pubblicata originariamente nel 1983 in Canada. I racconti, tradotti da Gaja Cenciarelli, restituiscono al lettore la perfetta suggestione della scrittura dell’autrice canadese. Sono, quindi, un ideale punto di partenza per coloro che, intimiditi dalla fama della scrittrice, non avessero ancora affrontato i suoi romanzi più noti come Il racconto dell’Ancella e L’altra Grace. D’altro canto, i lettori che abbiano già avuto il piacere di leggere Atwood nella forma della prosa più lunga troveranno in questa raccolta un rifugio accogliente, anche se non sempre comodo.
Il libro contiene dodici racconti, dodici storie di donne e del loro rapporto con se stesse, con gli uomini e col mondo. Dodici storie cariche di un’ironia potente e di personaggi dalle debolezze indimenticabili, di estati passate nei pressi di laghi melmosi e di boschi custodi di segreti, di verità inconfessabili e desideri mutilati. Di crescita e tramonto. Ciascun racconto è uno scrigno chiuso a chiave, un microcosmo privato ed esplorabile solo dall’interno grazie all’intimo rapporto e alla seducente complicità della lettura silenziosa.
Che il mondo interiore delle donne sia una foresta rigogliosa e selvaggia, inesplorata e pericolosa, viene chiarito dall’autrice fin dal racconto di apertura: Momenti significativi della vita di mia madre. In esso, una figlia parla di sua madre e del suo modo vivace di raccontare storie. Le storie sono sempre stravaganti e ilari, ma con il passare degli anni la figlia comincia a notare che quella è solo una parte della vita di sua madre, la parte più superficiale, quella che lei sceglie di mostrare al mondo. La facciata di una casa appena riverniciata dalle stanze buie. Le storie della sua esperienza di donna le tiene per sé e per le altre donne, le altre madri. La crescita della giovane figlia tradisce nella madre la paura d’essere smascherata: le bambine sono destinate a diventare donne e la loro femminilità, che alle piccole viene insegnato a covare con cura, si trasformerà in un peso. Ben presto anche la figlia dovrà scegliere quali storie raccontare ai ricevimenti e quali celare con cura dietro la facciata della sua bella casa. Sul retro di copertina si legge: Non è la prima volta che penso di non essere venuta al mondo come tutti gli esseri umani, bensì di essere uscita da un uovo schiuso.
L’uovo dà il titolo alla raccolta ed è un elemento ricorrente dell’immaginario di Atwood: ne Il racconto dell’Ancella era il pasto propiziatorio che veniva somministrato a Difred. L’uovo, simbolo di fertilità, per analogia finisce per diventare simbolo di femminilità. In questa sorta di sillogismo, la donna e l’uovo sono la stessa cosa perché assolvono alle stesse funzioni: al contempo custodi di vita e fonte di nutrimento. In questo nuovo libro, al significato di fertilità, di vita, anche quello di mistero da risolvere e quello di trasformazione, stadio di passaggio.
La vita dentro l’uovo è imperscrutabile, incompleta, indefinibile. Al contrario, la vita fuori dall’uovo è frutto di continuo rivolgimento, del fluire del tempo, dello smagliarsi e dilatarsi dei corpi, del confronto con l’altro. La definizione di noi stessi, ci insegna Atwood, passa anche attraverso la definizione, l’immagine, che gli altri hanno di noi. Ma chi sono questi altri? E in base a quali criteri ci definiscono? Le donne dei racconti ne L’uovo di Barbablù hanno tutte in comune questa ricerca di loro stesse. Si cercano nel loro rapporto con gli uomini o nell’assenza di quel rapporto; si cercano nel lavoro artigiano e nel giardinaggio; nella cucina e nella pittura; nella chimica e nei laboratori di scrittura creativa; si cercano lontano da casa o tra le mura domestiche. Quella con gli uomini amati non è quasi mai una relazione reciproca ed è quasi sempre impari.
Il racconto che dà il titolo alla raccolta è una riscrittura postmoderna (in pieno stile Atwood) della fiaba di Barbablù. Sally, la protagonista, passa la maggior parte del tempo a risolvere il mistero del mondo interiore di suo marito Ed. Della fiaba originaria non viene mantenuto quasi nulla, eppure il riferimento e i richiami a Barbablù, che rivediamo ad esempio nel fatto che Ed si sia risposato tre volte e che delle due ex mogli non si sappia nulla o nella presenza oscura di una casetta dei giochi al limite della proprietà di Ed all’interno della quale Sally non mette mai piede, mantengono il lettore in uno stato di allarme perenne. Come se il pericolo fosse presente ma sopito e impossibile da determinare finché non diverrà manifesto. Il pericolo è venire divorate, triturate, digerite e poi sputate fuori dal sistema che definisce la donna in quanto corpo.
Il corpo femminile ha un suo peso specifico, nella raccolta di Atwood, messo a confronto con la dimensione corporea degli uomini abitanti dei racconti. Loulou piace ai poeti perché il suo nome cozza violentemente con il suo aspetto solido, bruno, muscoloso. Il corpo di Betty è morbido come il suo carattere, quello di Christine è perennemente a dieta, Cynthia si sta lasciando morire di anoressia. Alma si immagina spesso come se non ne avesse uno. Il corpo di Yvonne potrebbe avere un’età qualsiasi, quello di Mary è immortalato nell’acerbità della preadolescenza. Gli uomini, di converso, sono tutti privi di forme, di definizione. La protagonista de Il sorgere del sole dipinge soltanto uomini, nell’intento di riuscire a fissarli sulla tela. A definirli sono le azioni e gli appetiti. Sono, tutti, incarnazioni bipedi del fallo. Per certi versi L’uovo di Barbablù ricorda il romanzo d’esordio di Atwood. Uscito a cavallo dei movimenti femministi in Canada, nel 1969, La donna da mangiare è la storia di Marian, una giovane che dopo il fidanzamento non riesce più a mandar giù il cibo. Alla fine del romanzo Marian scopre che la sua fobia deriva dal fatto che lei stessa si sente divorata da Peter, il futuro sposo. Nel rapporto di coppia, il suo ruolo è quello di essere mangiata, consumata, dalla virilità del partner. Manco a farlo a posta, la prima cosa che Marian smette di mangiare sono le uova.
Un ultimo consiglio: approfittate di questa estate anomala per leggere la raccolta, centellinando i racconti. Non abbiate fretta. Indugiate sulle parole, sui personaggi e sulle emozioni che sarà in grado di suscitare in voi Atwood in questa ottima traduzione. Abbandonatevi al racconto e lasciatevi guidare: sarà come osservare uno spettacolo di splendidi uccelli variopinti in volo, il primo volo dopo lo schiudersi delle uova.
–
Sostienici: acquista questo titolo cliccando direttamente al link sottostante