Nel 1738 Carlo di Borbone conobbe la zona di Portici “grazie” al maltempo durante una partita di pesca al tonno; sia il sovrano che la moglie, la regina Maria Amalia, ne rimasero incantati. Del resto, la costa che va dal versante orientale di Napoli alle pendici del Vesuvio era sempre stata un luogo privilegiato per la case di villeggiatura dei nobili sin dai tempi dei Romani, come testimoniano le grandi ville rinvenute a Ercolano, quale quella dei Pisoni, a Pompei Villa dei Misteri, e a Oplontis quella di Poppea. Come scrivono nel loro Le ville di Napoli Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza, nonostante i rischi connessi alle terribili eruzioni del vulcano, la costa, aveva poi annoverato dimore gentilizie come quella dove Alfonso il Magnanimo sospirava d’amore per la sua Lucrezia d’Alagne a Torre del Greco o la celebre “Leucopetra” di Bernardino Martirano, segretario di Carlo V, il quale vi fu ospite nel 1535, divenuta in seguito Villa Nava, a Portici, o sempre a Portici, il Palazzo Capuano dove finì i suoi giorni nel 1645 Donn’Anna Carafa dopo la partenza del marito, viceré Ramiro de Guzmán. Tra gli artisti ricordiamo che a San Giorgio a Cremano, in Villa Marulli, aveva avuto casa Luca Giordano e a Barra una sua villa il Solimena.
Carlo di Borbone, accogliendo un desiderio della moglie, decise quindi di far costruire la Reggia di Portici nei pressi del palazzo che il principe Elboeuf, Emanuele Maurizio di Lorena, aveva fatto costruire da Ferdinando Sanfelice al Granatello durante il periodo del viceregno austriaco. I due sovrani erano sempre stati interessati ai reperti archeologici e, nel 1709, il caso volle che durante gli scavi di un pozzo, di proprietà del principe, venisse alla luce una parte del muro della scena del Teatro di Ercolano, mentre nel 1713 furono ritrovate le prime “anticaglie”, preludio degli scavi. La Villa Reale di Portici, inizialmente, vedeva come progetto la costruzione di una palazzina all’interno di una grande tenuta per la caccia alle quaglie. Inoltre, furono impostate due destinazioni: reale residenza estiva e contenitore museale. Nella prima fase, ci fu il lavoro da parte degli architetti Medrano e Antonio Canevari, mentre successivamente l’intervento di Vanvitelli e di Fuga. Tra il 1742 e il 1759 prese vita un vero e proprio palazzo reale nel quale furono depositati sempre più numerosi ritrovamenti di Ercolano prima di essere spostati, definitivamente, al Palazzo dei Regi Studi, attuale Museo Nazionale.
L’aristocrazia borbonica, come tradizione voleva, pur di seguire la corte iniziò a fare a gara per costruire a Portici nuove lussuose residenze o rimettere a nuovo le vecchie tenute agricole per farle diventare ville di rappresentanza. Il tutto era arricchito da scenografici giardini degradanti verso il mare, eleganti facciate rococò allineate lungo la strada parallela alla costa. Portici, prima di Capodimonte e prima di Caserta, attirò i nobili del regno per la bellezza del suo paesaggio, per il clima mite e per la facile accessibilità, nonché per un’antica tradizione di insediamenti patrizi. Come spesso capitava, per la corte i mesi estivi erano il momento perfetto per dedicarsi ai propri svaghi, alle gite in barca, al gioco d’azzardo e alle feste in villa accogliendo ospiti stranieri in visita. Per questi – tra cui Giacomo Casanova e il Marchese de Sade – visitare un territorio così ricco di reperti romani era diventata una delle tappe più importanti del Grand Tour.
La maggior parte delle ville, ancora di gusto rococò – termine nato con finalità dispregiative da parte dei suoi detrattori che deriva dal francese rocaille che indica le rocce artificiali usate per la decorazione di fontane e grotte con la caratteristica di negare la forma architettonica rivestendola con un gioco capriccioso e leggero di festoni, volute intrecciate, stucchi e cornici dorate per contrapporci al pesante plasticismo del Barocco – sorsero tra il 1745 e il 1765, in concomitanza con la costruzione della Reggia. Altre ancora furono realizzate nella seconda metà del Settecento e nella prima metà dell’Ottocento, improntate ormai a gusto neoclassico con elementi pompeiani e neoarcheologici mutuati dai ritrovamenti romani.