Uno studio della Royal Society britannica, pubblicato sul prestigioso giornale della società il 10 giugno, sviluppa un modello matematico in cui si dimostra che l’utilizzo della maschera facciale può controllare l’attesa seconda ondata di COVID-19. Il messaggio che dovrebbe essere viralmente diffuso è che my mask protects you, your mask protects me, la mia mascherina protegge te, la tua mascherina protegge me. E dovrebbe essere accompagnato a indicazioni pratiche simili a quelle che ho già dato io nel mio ultimo articolo su La Prima Pietra, con ulteriori raccomandazioni comportamentali desunte dall’esperienza quotidiana.
Accompagnare raccomandazioni importanti senza un’informazione corretta e penetrante, ma invece con obblighi demenziali come quello di indossare la mascherina quando si passeggia o il divieto di portare bagagli a mano in aereo (il prossimo decreto prevederà l’uso di cateteri urinari per i viaggi a lunga percorrenza?), favorisce l’inosservanza non solo dei suddetti obblighi demenziali, ma anche di quelle poche regole che sono invece fondamentali. Bisogna ricordare che è facile contagiarsi con comportamenti tanto inappropriati quanto idioti (vedi Salvini come esempio), ma diventa difficile quando si seguono regole elementari di buon senso. Il contatto con un infetto deve essere diretto, prolungato e non protetto perché diventi contagioso. Incrociare un infetto per strada non è fonte di contagio, a meno che non ci starnutisca o tossisca in faccia.
Per strada si incontra tanta gente che, ligia alle disposizioni, indossa la mascherina, ma anche tanti altri che non la mettono e se la portano dietro come un orpello dei tempi. Purtroppo, questa rilassatezza viene spesso trasferita in luoghi chiusi in cui persone entrano senza protezione e, quel che è anche peggio, in molti casi gli addetti al lavoro non indossano mascherine. Una decina di giorni fa, sono stato a cena in un ristorante di Praiano, sulla Costiera Amalfitana, in cui nessuno, a cominciare dal proprietario o gestore, indossava la mascherina, un comportamento perpetrato per tutta la serata, malgrado la mia ripetuta segnalazione. Quello è un ristorante nel quale non entrerò più, certamente. In altri servizi, invece, la situazione è molto più controllata. Tutti indossano mascherine, c’è disponibilità di gel alcolici e, spesso, anche addetti che misurano la temperatura frontale con termoscanner.
Certo, la promiscuità a cui andiamo incontro nei luoghi di vacanza complica l’aderenza alle misure essenziali. Sulla spiaggia, pur con il distanziamento delle postazioni, è difficile non entrare a contatto ravvicinato con altri bagnanti, ma il contatto fugace non è pericoloso quanto invece lo è stazionare a discutere da vicino con qualcuno che non sia parte del proprio nucleo familiare. In quel caso, sarebbe buona norma indossare la mascherina e chiedere all’interlocutore di fare altrettanto. Teniamo conto che in queste situazioni indossare la mascherina diventa un segno di rispetto per l’altro.
Quella dell’uso dei termoscanner è un’altra raccomandazione che bisognerebbe accompagnare a una corretta informazione. L’accuratezza di questi strumenti non è alta, specie negli adulti (nei bambini la performance sembra migliore). Se la misurazione esclude che la persona sotto scanner abbia la febbre, si può essere quasi sicuri che la febbre non ci sia (valore predittivo negativo tra l’86 e il 100%). Se però il termoscanner misura una temperatura elevata (sopra 37.5°) allora è un po’ come buttare in aria la monetina perché esiste una consistente possibilità che il soggetto non abbia la febbre (il valore predittivo positivo è compreso in un’enorme forbice che va dall’1% al 76% e in media è vicina al 50%). Quindi, bisogna essere consapevoli che quando si respinge una persona che mostra elevata temperatura frontale al termoscanner, c’è un’alta probabilità che in realtà la febbre percepita sia un falso positivo e che quella persona stia bene. Detto questo, va tuttavia sottolineato come, nell’ottica di una strategia preventiva, la cosa importante è proprio l’elevato valore predittivo negativo che consente di escludere persone potenzialmente malate con una ragionevole certezza.
Un altro aspetto rilevante, che viene spinto in secondo piano proprio dalle raccomandazioni sull’uso dei termoscanner frontali, è che la febbre è solo uno dei segni con cui il COVID-19 si presenta e non è il più frequente. Una percentuale che si ritiene intorno al 50% di persone che contraggono l’infezione resta sfebbrata. Il sintomo più frequente di infezione conclamata è la tosse secca e stizzosa. Infine, l’utilizzo del termoscanner frontale non deve far abbassare la guardia e dimenticare che la mascherina facciale resta lo strumento più importante nella strategia di controllo della possibile seconda ondata. Va sottolineato che l’infezione può essere trasmessa anche in una fase pre-sintomatica (cioè prima che compaiano i segni clinici della malattia) o asintomatica (cioè con infezione in corso, che però non ha dato segno di sé), situazioni entrambe molto frequenti, specie in zone in cui vi è ancora una significativa circolazione del virus (gli episodi recenti in Lombardia e a Roma ne sono testimonianza). La guardia non va mai abbassata.
Esiste una forma di tiro al piccione contro il governo, che invece secondo me ha gestito come meglio non avrebbe potuto fare questa emergenza, specie considerando il contesto insano nel quale è stato costretto a operare. Ma c’è una colpa grave che va evidenziata: il livello dell’informazione. Praticamente, malgrado gli sforzi di Conte, l’informazione è stata pedestre. Voglio ricordare la straordinaria efficacia comunicativa di Angela Merkel che il 18 marzo parla per sei minuti, sei, alla nazione e dice: «Si tratta di rallentare il virus nel suo percorso attraverso la Germania. E, nel farlo, dobbiamo fare affidamento su una cosa, che è esistenziale: chiudere il più possibile la vita pubblica. Naturalmente con la ragione e il senso delle proporzioni, perché lo Stato continuerà a funzionare, l’approvvigionamento continuerà naturalmente a essere garantito e vogliamo preservare quanta più attività economica possibile. Ma tutto ciò che può mettere in pericolo le persone, tutto ciò che può danneggiare l’individuo, ma anche la comunità, dobbiamo ora ridurlo. Lasciate che ve lo assicuri: per una come me, per la quale la libertà di viaggio e di movimento erano un diritto conquistato a fatica, tali restrizioni possono essere giustificate solo in caso di assoluta necessità. In una democrazia, certe cose non dovrebbero mai essere decise con leggerezza, e solo temporaneamente – ma sono indispensabili al momento, se si vogliono salvare delle vite».
Si può pensare a quello che si vuole, al livello di civiltà della popolazione tedesca, alla qualità della stampa, ma quello che è sicuro è che la forza comunicativa di un messaggio così chiaro, elementare e onesto, è straordinaria e perciò coinvolgente. In Italia è mancato il coinvolgimento profondo, emotivo di gran parte della popolazione, specialmente al Nord e nelle grandi città, che avrebbe potuto essere superiore se il livello comunicativo fosse stato adeguato alla gravità della situazione e se l’autorevolezza politica, proprio attraverso una comunicazione efficace e penetrante, avesse messo a tacere le bestialità che si sono sentite (e si continuano a sentire) anche tra gli “esperti”. Così non è stato. Ma c’è Speranza (nomen omen…) che si faccia autocritica su questa falla che non è cosmetica, ma strategicamente rilevantissima.
Un contributo a cura del Prof. Giovanni de Simone, ordinario di Medicina Interna presso il Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate dell’Università Federico II di Napoli, Presidente del Council on Hypertension dell’European Society of Cardiology.