«Ho deciso di dare il mio contributo»: così ha dichiarato Emanuele Filiberto Umberto Reza Ciro René Maria, per gli amici Emanuele Filiberto di Savoia, in un videomessaggio in stile Berlusconi, annunciando la sua discesa in campo con il marchio Più Italia direttamente da Montecarlo. Una notizia che in qualche modo ha trasmesso un po’ di buonumore, scatenando risate e anche versi che il grande Eduardo insegnò con grande dovizia di particolari, mentre tutto il resto è scivolato via tra immancabili guerre intestine, dichiarazioni clamorose sui vertici dello Stato di ieri e di oggi, il tutto in un silenzio che spiega e conferma tante cose, tanta corruzione e altrettanta commistione tra istituzioni, criminalità e abuso di potere, un silenzio che qualcuno proprio non può tollerare esprimendolo, da anni, in ogni lingua e occasione, perché non tutti sono disposti a vendere la propria dignità e onestà.
Per un Filiberto che promette Più Italia, c’è un’Italia Viva che continua a tenere per il guinzaglio la coalizione di governo seppur con un’esigua percentuale e strizzando l’occhio a Forza Italia, a sua volta costretta a non rompere con Fratelli d’Italia, tutta pappa e ciccia con quella Lega allo sbando che non sa più come tenere in piedi la credibilità a causa della gestione catastrofica della sanità lombarda che mortifica le tante eccellenze professionali e lo spirito di sacrificio del personale medico e paramedico.
Ma il vittimismo che in questi giorni la fa da padrone, cercando di coprire inefficienze e gravi responsabilità che hanno prodotto migliaia di morti come in una vera e propria guerra, è ridicolo al pari della discesa in campo in stile reale, un atteggiamento di difesa strategica che la politica ha adottato con l’appoggio della solita informazione dei Sallusti, Feltri, Porro o Belpietro e che, come abbiamo già avuto modo di esprimere, ha trovato un difensore anche nel magistrato Raffaele Cantone, nato a Napoli e cresciuto a Giugliano in Campania: «A volte, ho come l’impressione che esista un sentimento anti-lombardo e lo collego all’invidia verso questo pezzo di Paese che sembra quasi un altro Paese».
Eppure, Tangentopoli avrebbe dovuto insegnare qualcosa, nata in quello che sembra un altro Paese e che, invece, è il volto della nazione intera in quanto a corruzione e presenza della criminalità ma anche, come dimostrato in questo periodo di pandemia, di incompetenza amministrativa dopo gli anni del modello Formigoni in cui è accaduto di tutto. Il cosiddetto sentimento anti-lombardo ha, tuttavia, trovato persino qualche autorevole firma, come Ferruccio de Bortoli, pronta a sostenere una tesi che appare il contraltare dei titoli a otto colonne di Libero e Il Giornale sempre permeati di odio, titoli che rispecchiano la subcultura tipica di una destra rappresentata al meglio dai rispettivi direttori che, nonostante le varie campagne mirate contro il Sud, non riescono a frenare la voragine del calo delle vendite.
Una vera e propria idiozia inventata ad arte, sostenuta da una politica piccola e mediocre che tanto danno fa al Paese e da una stampa che ha perso la bussola del vero giornalismo e che, forse, per salvarsi avrà bisogno dell’inserimento in redazione di quell’intelligenza artificiale di cui si parla da tempo e che aiuterebbe quella che madre natura ha dotato con grande generosità vedendosi poi tradita e respinta.
Perché voler mascherare critiche oggettive alla pessima gestione regionale lombarda, supportata da dati raccapriccianti non casuali, con un antilombardismo inesistente o magari semplici e comprensibili reazioni a decenni di razzismo nei confronti dei meridionali? Perché salvare in ogni occasione, respingendo le richieste della magistratura al Parlamento, soltanto quella parte marcia delle istituzioni compromessa con il malaffare e la criminalità organizzata? Quale altra strategia perversa occorre inventarsi per nascondere fallimenti, inefficienze e incompetenze di ampi settori della politica locale e nazionale al governo da decenni senza alcuna capacità di fare quelle riforme sempre chieste agli altri e mai di produrne uno straccio attraverso una propria elaborazione seria ed efficace?
Che un certo sistema sia abituato a blaterare senza mai calarsi nelle problematiche che interessano ai cittadini, impegnato com’è nella propaganda di un’eterna campagna elettorale, fa parte del gioco della mediocrità che pure produce i suoi effetti, ma che anche rappresentanti delle istituzioni si uniscano al coro dell’ipocrisia è davvero inaccettabile, tanto quanto quei silenzi scandalosi che ruotano attorno alle rinnovate denunce. Guai, però, a limitare le critiche ai Fontana e ai Gallera unicamente per le forniture di camici e materiale vario affidate ai familiari. Accade anche a ex Presidenti della Camera, sempre di marca leghista, di ritrovarsi coinvolti in affari simili.
Certo, questa è materia di pertinenza della magistratura, ma a chi spetta trarre le conclusioni prima che lo facciano i cittadini in cabina elettorale se non alla politica? Scaricare le responsabilità sul governo per le mancate chiusure di alcuni territori è poco edificante, una mossa troppo strumentale per gettare acqua con il contagocce sul fuoco di un incendio di grandi proporzioni.
Si dimettano i Consiglieri e sfiducino il Presidente Fontana, non prendano esempio dai colleghi napoletani partiti in quarta e ritrovatisi poi in pochi davanti a un notaio per far cadere il Sindaco, con alcuni campioni della migliore politica trasformista e piccina in attesa delle firme di altri per poter apporre le proprie. Caccino gli attributi perché qui le motivazioni non sono soltanto di tatticismo politico come a Napoli, qui ci sono tutti gli elementi per mandare a casa una classe dirigente incapace di amministrare una regione importante quale la Lombardia nel rispetto dei suoi cittadini e di quei tanti tristemente mandati al massacro.