Definito da tanti come la goccia che ha fatto traboccare il vaso, l’omicidio di George Floyd ha dato il via a una serie di dimostrazioni di solidarietà finalizzate alla lotta per quei diritti umani spesso negati. Al di là delle piazze invase, è esplosa, ad esempio, la condivisione di immagini totalmente nere sui social network, come a voler riempire le bacheche virtuali del mondo di un messaggio ben chiaro, sperando che anche le piccole azioni aiutino a cambiare le cose. È facile, però, lottare per i diritti quando le violazioni avvengono lontano da noi e la mobilitazione sociale non comporta reali sacrifici. Ma quanto valore hanno i nobili intenti di certe iniziative se, in situazioni simili che ci coinvolgono in prima persona, non siamo in grado di mostrare la stessa determinazione?
Da poco pubblicato, l’ultimo rapporto di Amnesty International sulla violazione dei diritti umani in Italia racconta una storia ben diversa da quella narrata dalle bacheche di Instagram. Nulla, in realtà, di tanto diverso da ciò che abbiamo sempre saputo del nostro Paese e da ciò che ci aspettiamo dalle cronache che lo descrivono. Eppure, in un periodo in cui diritti e valore della vita sono protagonisti, sembra strano che a parlarne sia una terra fatta di migranti abbandonati alle ingiustizie, di un caporalato silente che sopravvive solo perché si approfitta di altri colori, e di minoranze discriminate su base razziale di cui nessuno prende le parti.
Sono proprio questi i temi affrontati dal rapporto di Amnesty. Primo tra tutti, quello che coinvolge i rifugiati e i richiedenti asilo, i protagonisti delle cronache di un 2019 a dir poco spietato nei confronti di chi è tanto disperato da scappare da casa. Secondo le stime, sono 24mila le persone a cui è stato limitato l’accesso ad assistenza medica, adeguato alloggio, servizi sociali, istruzione e lavoro. Le condizioni denunciate hanno conseguenze anche sulle opportunità di integrazione dei richiedenti asilo, di fatto esclusi dalle strutture di accoglienza e detenuti nei centri di rimpatrio per molto più del necessario, in condizioni gravemente al di sotto degli standard, soprattutto per quanto riguarda i minori.
La politica dei porti chiusi, che ha animato le nostre cronache per molti mesi, aggrava la posizione italiana agli occhi dei difensori dei diritti umani. È bene precisare che il rapporto fa riferimento all’anno 2019-2020 e dunque comprende anche un breve periodo del precedente esecutivo. Nel testo è però specificato che le condizioni preesistenti che hanno creato la situazione attuale non sono state in alcun modo contrastate dal governo attuale, che ha lasciato che le violazioni continuassero. E, allo stesso modo, non mancano cenni alle cooperazione con la Libia per il controllo dei flussi migratori. Insomma, migranti e richiedenti asilo subiscono maggiormente le conseguenze delle negazioni italiane dei diritti umani, ma non sono gli unici.
Ai migranti e ai loro diritti spesso negati, infatti, vengono dedicati molti spazi all’interno della cronaca. Sebbene non quanto la grave situazione meriterebbe e certamente non abbastanza da scalfire il corso degli eventi, la situazione dei rifugiati e quella dei porti chiusi hanno comunque una certa visibilità all’interno della discussione pubblica. Amnesty, però, individua nel suo rapporto un’altra categoria per cui i diritti umani sono spesso un sogno, che tuttavia attira molto meno l’attenzione del dibattito nazionale.
Da sempre bistrattati, guardati con sospetto e relegati nei loro campi, le condizioni umanitarie dei rom in Italia preoccupano l’organizzazione internazionale, che ne denuncia le condizioni. Secondo Amnesty, infatti, le autorità italiane hanno violato il diritto dei rom a un alloggio adeguato in molteplici modi, spesso cacciandoli dagli spazi da loro occupati senza l’offerta di una soluzione alternativa poiché l’accesso agli alloggi popolari è estremamente sproporzionato e il reclamo al Comitato europeo dei diritti sociali ha comportato la richiesta di un intervento tempestivo per rimediare alle gravi violazioni.
In realtà, per i rom, discriminazione e persecuzione razziale sono eventi ricorrenti e intrinseci nella loro storia. Una storia fatta di oppressione fin dal loro arrivo in Europa, iniziata con la segregazione nei campi ed esplosa con il genocidio sistematico perpetrato dal regime nazista. Eppure, sebbene si tratti di un gruppo altamente esposto alle discriminazioni e alle violazioni dei diritti umani, l’opinione pubblica è spesso ostile nei confronti di una categoria a cui si guarda sempre con sospetto.
Il rapporto di Amnesty International è piuttosto severo verso le violazioni italiane, nonostante non siano più gravi di quanto ci aspettassimo. In realtà, si tratta di situazioni di cui l’opinione pubblica è abbastanza consapevole, ma di cui ci si occupa ben poco, più per disinteresse che per reale disinformazione. Ma, considerando il periodo di dimostrazioni sociali che l’Italia sta vivendo, il rapporto arriva al momento giusto per smascherare un’ipocrisia più o meno condivisa. Esso offre una panoramica molto chiara sulle colpe che il Paese ha all’interno del suo stesso territorio. Quelle stesse colpe per cui si mobilita quando le ingiustizie avvengono oltreoceano, ma alle quali non degna attenzione quando il problema è sotto il naso. Quando si tratta di persone troppo vicine, per le quali non tinge di nero le pagine dei social, che cadono costantemente nell’oblio.