Si chiama Pabllo Vittar, è una drag queen e, per la prima volta, è testimonial della nuova campagna pubblicitaria #proudinmycalvins, di Calvin Klein.
Giugno è riconosciuto come il Pride Month, il mese dell’orgoglio LGBTQ+, un periodo dell’anno in cui potersi unire e celebrare su scala mondiale l’importanza della diversità, l’amore in ogni sua sfaccettatura, la libertà di genere. A fare i conti con la pandemia sono, naturalmente, tutte le manifestazioni e parate annullate, ma ciò non ha arrestato la volontà di farsi sentire grazie a celebrazioni virtuali e campagne social.
Il noto brand statunitense ha deciso perciò di giocare strategicamente e omaggiare il Pride Month proponendo la #proudinmycalvins, campagna che vede come protagonisti nove personaggi di spicco della comunità LGBTQ+. L’intento è quello di celebrare la bellezza non binaria e raccogliere fondi destinati ad associazioni e membri del gruppo colpiti dal coronavirus. Orgogliosa di essere quella che sono è lo slogan che compare su uno dei vari scatti della testimonial di spicco di questa campagna, Pabllo Vittar, cantante, ballerina e attivista 24enne di origini brasiliane.
Conosciuta per essere la drag queen con più follower su Instagram al mondo, è anche la prima a essere stata nominata a un Grammy per il singolo Sua Cara, nel 2018. Hit popolari come Flash Pose, in collaborazione con la cantante Charlie XCX, o la recente Tìmida, featuring Thalía. La sua folgorante carriera musicale l’ha vista già protagonista di Pride Tour negli Stati Uniti e in Canada, cosa che avrebbe dovuto portare avanti anche quest’anno per la promozione del nuovo disco ma che si è vista costretta a interrompere. «Farò alcuni show live su YouTube per raccogliere fondi» ha commentato facendo riferimento alle seguitissime live streaming, usate per supportare NGO LGBTQ+, un’organizzazione che aiuta chi è in difficoltà durante la quarantena. «L’importante è festeggiare, tutti i giorni e ovunque».
Quando è stata scelta per la campagna di Calvin Klein ha risposto di essere onorata e felice, praticamente un sogno divenuto realtà, e di adorare lo stile versatile e facile da indossare degli abiti. Assieme a lei, figure del calibro di Jari Jones, attrice, modella e prima produttrice transessuale e di colore a ottenere una prima a Cannes. E ancora, Chella Man, Reece King, Mina Gerges, Gia Woods, Tommy Dorfman, Ama Elsesser, Mary V.
«Utilizzando un cast e una troupe che coprono l’intero spettro LGBTQ+, volevamo assicurarci che l’intera comunità si sentisse rappresentata, inclusa e celebrata» sono le parole di Ryan McGinley, il quale ha curato la campagna e diretto magistralmente un intenso video promozionale. Individui assolutamente diversi tra loro per genere, orientamento sessuale, etnia, si susseguono guardando dritto in camera senza timore di mostrarsi, in tutto il loro immenso, organico, fiero splendore. Per tutta la vita mi è stato detto come comportarmi, come apparire, sentiamo dire loro. Ero così abituato a nascondermi. Mi sembrava che ci fosse qualcosa di veramente sbagliato in me. Sto scrivendo la mia storia ora. Va bene essere esattamente quello che sei. Non c’è nulla di cui aver paura. Assolutamente niente.
Calvin Klein si è dimostrato sensibile al tema stringendo partnership con associazioni benefiche come OutRight Action International, per dare supporto finanziario al Global Emergency Fund COVID LGBTIQ-19, oppure The Equality Project, ente di beneficenza australiano, o ancora OnePulse Foundation, fondata in memoria della sparatoria del 12 giugno 2016 a Orlando. Il ricavato sarà devoluto per costruire il National Pulse Memorial & Museum. Ma non è il solo brand ad aver voluto celebrare il Pride Month: la Apple ha promosso il nuovo Apple Watch Pride Edition 2020, dal design variopinto, e ha supportato economicamente la GLSEN, organizzazione americana rivolta per lo più ai giovani, dedita a combattere discriminazione, molestie e bullismo all’interno delle scuole.
Negli ultimi anni, sono sempre più numerosi i modelli e testimonial non binari scelti per dare il volto a celebri case di moda mondiali. Valentina Sampaio, modella transessuale sulla copertina di Vogue Paris; Teddy Quinlivan che ha sfilato per Dior, Prada e Gucci; Indya Moore per Louis Vuitton; Hunter Schafer per Miu Miu e Dior; Oslo Grace, fatto sfilare da Kenzo sia da uomo che da donna. Il discorso vale anche per le più svariate realtà commerciali che si avvicinano alla comunità LGBTQ+ e affrontano il discorso del genere all’interno delle proprie campagne.
Basti pensare agli spot pubblicitari, sempre più inclusivi ed eterogenei, che propongono coppie non ordinarie, individui non binari, corpi non più giovani o in perfetta forma, disabilità, religioni miste, etnie diversificate. Non ci ergeremo paladini della diversity giudicando la volontà di un’azienda di apparire progressista per un ideale o per meri interessi commerciali. In fin dei conti, il marketing è marketing, ma se aiuta ben venga. Inoltre, non dimentichiamo che il target diventa man mano più giovane, di conseguenza più attento e abituato alla diversità e all’inclusione.
Persino il maschissimo mondo dei gamer si associa: la seconda versione prossima all’uscita del celebre videogioco The Last of Us fa ancora discutere (purtroppo, anche in male), per l’omosessualità della protagonista. E va bene anche così. Parlarne senza edulcorazione, mostrare, discutere, è ciò di cui ha bisogno la nostra società, una società basata sull’oculocentrismo, che ha bisogno di vedere per poter comprendere e di seguito accettare. Al fine della tanto agognata normalizzazione. È parlarne che rende normale qualcosa, purché se ne parli nel modo adeguato, sia chiaro. E normalizzare, oggi, significa non aver timore di sottolineare un’evidente diversità, una fuoriuscita dai canoni prestabiliti. Perché nascosti nell’ombra ci sono ancora troppi «non sembra affatto trans!» o «sono a favore dei gay ma non devono baciarsi davanti a me».