Quante volte abbiamo letto che Napoli è un Paradiso abitato da diavoli? È uno dei luoghi comuni che fanno parte del linguaggio letterario e popolare con il quale gli stranieri, ma perfino gli stessi napoletani, descrivono la città e cercano di spiegare tutto il male e il relativo bene delle loro esistenze. Niente di tutto questo capita leggendo Napùl, il nuovo libro dello scrittore e giornalista Marco Perillo, pubblicato dalla Alessandro Polidoro Editore (2020), che sarà in libreria dal 27 maggio.
Conosciamo l’autore napoletano per i suoi studi e le pubblicazioni saggistiche sulla storia del capoluogo campano e del suo straordinario patrimonio artistico e culturale, ma nei quindici racconti di Napùl, titolo-metafora tra Napoli e Kabul – la capitale dell’Afghanistan perennemente in guerra –, la città partenopea è raccontata da Perillo al tempo della vita contemporanea.
Pur partendo da quel passato che non passa, non a caso citato in esergo con La guerra non è finita, non è finito niente!, il grido di dolore tratto dalla Napoli Milionaria di Eduardo De Filippo, il narratore rifugge, per fortuna, dalle tante etichette letterarie o sociologistiche. Napùl è la sintesi letteraria di una città eternamente in guerra, tra la persistenza dei malesseri antichi e il presente dei moderni conflitti sociali ed esistenziali.
Dalla misteriosa donna chiamata Cleopatra del racconto Anticaglia alla Marella, poliziotta che ha scelto di fare il mestiere di coloro che hanno ucciso il giovane fratello spacciatore, di cui si narra in Scassacocchi, passando per il delfino morto sulla spiaggia in Bagnoli, fino all’intenso personaggio Pascallah del racconto finale che presta il titolo all’intera raccolta, l’osservatore partecipante Perillo ci narra storie sospese tra realtà drammatiche e grottesche finzioni. E lo fa con la maestria di chi conosce bene la storia e le bellezze visibili della città partenopea, ma anche la sua invisibile anima antica e moderna, violenta e tollerante, sofferente e vitale.
Nei racconti di Napùl si incontrano tanti personaggi e momenti di vita descritti con un’amara ironia che non scade nel compiacimento oppure, peggio ancora, nella stigmatizzazione moralistica. Inoltre, la scelta di usare una lingua che è una commistione tra italiano e napoletano si rivela come uno spiazzante e coraggioso tentativo, dagli esiti felici, di rendere il lettore attivamente presente, là sulla strada e tra la gente, e nei quartieri fisici e simbolici di una Napoli che è città-inconscio del mondo, dall’identità forte perché acquisita dall’accoglienza delle varie identità culturali e dalla storia millenaria vissuta tra Oriente e Occidente.
Nella contemporaneità della narrazione, in effetti, la geografia umana, complessa e stratificata e il sentimento del mondo, ambivalente ed espresso da mille emozioni, che emergono dai racconti sembrano rimandare piuttosto all’unione senza confini, contraddittoria e glocale tra il Nord e il Sud del pianeta, dove l’unicità dei personaggi e dei luoghi evocano, allo stesso tempo, l’universalità della commedia umana.
Nella bella intervista di Antonio Salzano uscita sulle pagine del nostro giornale, l’autore napoletano cita Nietzsche e parla del suo nuovo corso letterario, affermando che i suoi scritti sono i suoi superamenti. Le mille e una Napoli raccontate da Marco Perillo, insomma, si ribellano alle categorizzazioni prodotte da altri e da altri posti e ci aiutano a comprendere – al di là dei luoghi comuni e nel bene e nel male – la loro più carnale e misteriosa realtà vitale.
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