Sociologo, scrittore e giornalista d’inchiesta, Leonardo Palmisano da tempo si batte per i diritti dei braccianti, denunciando le condizioni di schiavismo nelle quali molti di loro sono costretti a lavorare. Ci ha spiegato perché, secondo lui, quanto previsto dal dl Rilancio in tema di regolarizzazione sia ancora poco e perché rappresenti un compromesso politico al ribasso dovuto alla scarsa considerazione che il M5S dà alla questione.
Da tempo, Lei parla di regolarizzazione dei braccianti e ha spesso trattato il disagio delle baraccopoli. La soddisfano le novità del dl Rilancio?
«Solo fino a un certo punto. La proposta di regolarizzare per offrire opportunità e diritti è stata accolta bene da noi che ci occupiamo da tempo della vicenda. Purtroppo, il braccio di ferro ingaggiato dentro il governo ha avuto come esito una regolarizzazione molto povera quanto ai diritti dei migranti, inoltre ha rivelato che il M5S è poco interessato a normalizzare le condizioni di vita dei braccianti, il che spiega tante cose. Ci saremmo aspettati una maggiore considerazione sul piano dei diritti, in ogni caso adesso speriamo che questo sia solo un passo verso il superamento della legge Bossi-Fini».
Ha ragione la Ministra Bellanova a dire che con il nuovo decreto gli invisibili saranno meno invisibili?
«In parte sì, anche se in realtà si tratta di un’invisibilità finta perché sono più che visibili: sappiamo tutti dove sono i braccianti, dove c’è il lavoro nero, chi sono i caporali e quali sono le imprese. Il mondo politico e quello sindacale li conoscono perché i caporali hanno relazioni solide, quindi mi stupisce che la Ministra Bellanova parli di invisibili quando gli invisibili sono gli stessi che restano nelle baraccopoli perché la questione dell’alloggio non è stata per niente toccata: io e altri avevamo chiesto di inserire nel decreto il diritto all’alloggio ma non è stato fatto. Come posso sottrarre l’invisibilità se il luogo del privato è un luogo nel quale la fragilità dei braccianti diventa uno strumento in più in mano ai caporali per lucrarci sopra?»
L’intenzione della misura in questione è quella di far emergere il lavoro nero tramite il datore che si autodenuncia. Crede che gli imprenditori considereranno conveniente autodenunciarsi?
«Questa sarà una scelta degli imprenditori, i quali però fino a oggi non si sono comportati benissimo: la legge 199/16 consente loro di accedere a una serie di misure qualora passino da una situazione di assunzione irregolare a una regolare e neanche 3000 di loro hanno optato per questa soluzione. Io mi rivolgo non agli imprenditori ma alle associazioni datoriali tra le quali solo alcune, tra cui LegaCoop, si danno una dimensione etica del lavoro. Se questi corpi intermedi funzionassero, promuoverebbero tali forme di regolarizzazione ma credo che saranno le grandi imprese a usufruire di queste misure, cioè laddove c’è già un consolidato rapporto tra datore di lavoro e braccianti».
Di fatto si intende sanare una situazione di irregolarità preesistente. Non teme che possa passare il messaggio secondo cui lo Stato chiude un occhio e scende a compromesso con il lavoro nero?
«Lo Stato chiude un occhio ogni volta che non aumenta il numero degli ispettori del lavoro, quando non mette le Procure antimafia nelle condizioni di indagare efficientemente sul caporalato, quando consente non solo il lavoro nero ma anche che alcune persone vivano nelle baracche rischiando di ammalarsi o di morire a causa di una lampada che prende fuoco. Le responsabilità sono ben più gravi e vengono da molto lontano: lo Stato è assente quando si costruiscono le baraccopoli, non può presentarsi solo quando queste vengono rimosse. Così come è responsabile della mancanza del reato di riduzione in schiavitù e di tortura perché, diciamolo, in alcuni casi braccianti e badanti sono veramente torturati».
Il provvedimento è inserito all’interno di un decreto legge relativo all’emergenza COVID. Eppure il testo si sofferma poco e nulla sulle condizioni sanitarie in cui adoperano i braccianti…
«Questo avviene perché siamo in un Paese in cui l’emergenza non diventa mai lo strumento per uscire dal peggio che si è prodotto: mentre in un Paese normale l’emergenza impone un momento di riflessione, dunque una pianificazione lunga e articolata, in Italia emergenza corrisponde a sospensione delle regole e abbattimento dei diritti. E questo è l’errore commesso nel decreto, che è deludente rispetto alle proposte iniziali ben più interessanti, tant’è vero che queste ultime sono diventate carta straccia quando il dibattito si è trasformato in una contesa politica. L’idea che mi sono fatto è quella per cui il decreto è servito a provocare una frattura in un governo già debole di suo – non avendo una direzione politica univoca che servirebbe in questo momento – per consentire a Italia Viva e al M5S di stare sulle prime pagine dei giornali e a Conte di interpretare il ruolo del mediatore-ansiolitico che è l’unica cosa che gli riesce bene. Ciò ha portato a un bassissimo innalzamento sia dei diritti dei lavoratori sia della possibilità delle imprese di maturare in questa frase critica una prospettiva economica coesa. L’Italia ha due urgenze: uscire dal sistema della Bossi-Fini e riempire di diritti il mondo del lavoro dopo un decennio nel quale è stato intaccato l’articolo 18 e introdotto il Jobs Act dalle stesse persone che ora si preoccupano dei braccianti. Mi aspetto che il PD dica di più».
Una misura di questo tipo, che rappresenta comunque un passo in avanti, come può coesistere con i Decreti Sicurezza o con la legge Bossi-Fini che sono tuttora in vigore e che vanno in una direzione totalmente diversa?
«Questo decreto deve rappresentare un provvedimento tampone che apra a tante altre misure e non è necessario essere degli estremisti di sinistra per affermare che la Bossi-Fini è una legge razzista. Il problema è che abbiamo una classe politica mediocre che teme troppo Salvini e lo insegue ma, così facendo, lo favorisce».
Quando parliamo di sfruttamento, non possiamo non pensare al ruolo della criminalità organizzata…
«Gli sfruttati ci sono proprio perché c’è qualcuno che ne approfitta. L’industria ha il ruolo principale nello sfruttamento poiché si serve della criminalità organizzata per controllare la manodopera. Per questo il reato di caporalato introdotto nel 2016 finalmente fa rispondere anche l’azienda per mafia all’interno di un sistema – che io ho definito Mafia Caporale – dove la responsabilità è soprattutto dell’impresa. Per tale motivo, le associazioni datoriali devono prendere atto di questo reato che ha fotografato una realtà in cui esistono aziende, che sfruttano i braccianti e che utilizzano i caporali, e queste non sono sganciate dalle associazioni datoriali».
In queste settimane vari magistrati ci hanno messo in guardia dal fatto che le mafie potranno approfittare dell’emergenza sanitaria in corso. Secondo Lei, in che modo potrebbe accadere ciò e, ancora una volta, non sarebbe un modo per approfittarsi dei ritardi dello Stato?
«Le mafie non hanno mai smesso di lucrare e per loro non c’è una discontinuità rispetto a due mesi fa. In agricoltura la mano criminale sarà presente esattamente come prima, al massimo potranno intervenire di più nel sistema d’impresa entrando nelle aziende cadute in crisi tramite propri capitali. Rispetto ai braccianti, invece, saranno poveri esattamente come prima mentre gli italiani saranno più poveri e c’è chi potrebbe rivolgersi alle mafie che, in questo modo, avranno maggiore egemonia nelle città».
Soffermiamoci un attimo sulla concezione di sfruttamento: pensa che gli sfruttati, a oggi, siano solo i braccianti?
«Assolutamente no, anche in questi mesi gli sfruttati sono stati tantissimi lavoratori sia nel pubblico sia nel privato però non confondiamo lo sfruttamento fisico, come quello agricolo, con altri tipi di sfruttamento. Comunque, si è mostrata una graduazione dello sfruttamento anche nel settore dei servizi dove delle persone sono state distaccate a casa per svolgere lo stesso lavoro ma in alcuni casi senza orari in assenza di adeguata strumentazione e di adeguati controlli».
Consideriamo che ci siamo trovati in un’emergenza senza precedenti, dunque anche i provvedimenti sono molto complessi perché cercano di contenere e regolare tante materie…
«Questo sta accadendo perché c’è un’incompetenza politica, negli altri Paesi non è così: noi non abbiamo un dpcm che dica cose chiare, abbiamo ricorsi del governo contro le ordinanze delle Regioni… Tutto questo fa cadere la credibilità dello Stato agli occhi dei cittadini perché non c’è una regola valida per tutti».
E qui c’entra anche la riforma del Titolo V che ripartisce le varie competenze tra Stato e Regioni…
«Il problema non è il Titolo V, bensì l’inadeguatezza di questo esecutivo che ha posto delle risorse ma non si sa dove: la Germania sta investendo sul green, il Lussemburgo sulla digitalizzazione dell’editoria e allo stesso modo Francia e Spagna. L’Italia su cosa sta investendo? Non lo sappiamo. Questo significa assecondare tendenze concentrate al Nord, che paga e continuerà a pagare di più una crisi economica in cui era già dentro, mentre per il Sud non è previsto nulla. In questo modo si sta sposando la linea dell’autonomia differenziata e ci sarà un esodo di giovani e di imprese verso il Settentrione. È il momento di raddrizzare la situazione, ma la vedo difficile finché rimarrà in carica l’attuale esecutivo».
La soluzione potrebbe essere un nuovo governo?
«Un governo del Presidente della Repubblica con Draghi come Presidente del Consiglio dal momento che Conte non ha credibilità europea, non ha relazioni internazionali ed è considerato un perfetto sconosciuto. In tempi di crisi una maggioranza si trova, che non sia una maggioranza politica bensì di sostegno a un esecutivo che ci faccia uscire dalla palude e che dia degli indirizzi molto più precisi rispetto a quelli dell’attuale task force. Tra l’altro, quest’ultima ha commissariato il Ministro dell’Economia ed è capeggiata da Colao, ex ad di Vodafone, che ha un’idea finanziaria incompatibile con la direzione che sta prendendo il mondo: tutti iniettano denaro direttamente alle famiglie laddove possibile, mentre noi ci affidiamo al sistema bancario che praticamente non esiste più tra banche in default o prossime al fallimento. Si commettono gli stessi errori che si commettevano prima per incompetenza del Presidente del Consiglio».
Però i risultati ci dicono che le misure restrittive messe in atto stanno funzionando…
«Il merito è degli italiani che hanno obbedito a provvedimenti che non sono stati per niente chiari mentre, laddove non si è agito fin da subito, come in Lombardia, si sono verificati numerosi decessi».
Crede che in Lombardia non abbia influito la gestione della Sanità?
«La Sanità privata è stata inadeguata alle terapie ma non ha ucciso persone. La Lombardia doveva essere dichiarata zona rossa sin dal primo momento ma Conte non ha avuto il coraggio di farlo perché il sistema confindustriale italiano è a trazione lombarda».
Un governo Draghi non si potrebbe leggere come un nuovo inciucio?
«Questo Paese non ha bisogno di figure come Bonafede o la Azzolina, ma di persone competenti. E ne esistono».
È un po’ inquietante uno scenario che veda insieme Salvini e Renzi…
«È questo il punto: non deve essere letto come uno scenario politico ma solo tecnico al fine di realizzare un governo del Presidente della Repubblica che è tipico di momenti inediti come quello che stiamo vivendo. Ora non abbiamo un governo politico ma nemmeno tecnico perché Conte non lo è: era a capo di un governo, quello sì politico, con la Lega. In questa circostanza è consentito ai piccoli egoisti come Renzi di tenere costantemente sotto ricatto una maggioranza che fondava la propria esistenza su un accordo che può durare poco e quel patto è saltato con l’emergenza. Per questo Conte si è affidato alla task force che non è stata nemmeno in grado di fornire liquidità ai cittadini».
Quindi, ad esempio, la linea ferma sul MES non ha funzionato anche se alcuni Paesi ci sono venuti dietro?
«Faccio l’esempio di Macron: lui ha ingaggiato un braccio di ferro con la Germania perché conveniva alla Francia ma non per andare dietro a Conte, infatti dopo tre settimane abbiamo ottenuto un MES senza condizionalità fino a un certo punto e questo si sapeva sin dal primo momento. Lo stesso discorso vale per la liberazione di Silvia Romano: pensiamo sia stata liberata dai servizi segreti italiani? Senza l’intervento della Turchia non sarebbe stata liberata e in cambio cosa possiamo aver dato alla Turchia, se non le armi? Dunque, non illudiamoci. Abbiamo bisogno di una personalità affermata in Europa, come Draghi, che in questa fase sappia amministrare il debito».
Ricordiamoci sempre com’è nato l’attuale governo…
«E ricordiamoci anche come sta finendo il Paese».