L’incisione del 1629 di Alessandro Baratta è un’inesauribile fonte di informazioni che non riguardano soltanto Posillipo e le sue ville, ma l’intera città di Napoli: Fidelissimae urbis neapolitanae cum omnibus viis accurata et nova delineatio aedita in lucem ab Alexandro Baratta, MDCXXVIIII. Come questa, anche l’altra sua incisione – Cavalcata che si fè in questa fid.ma Città di Napoli nelle Nozze Reali delle Cattoliche […] – del 1680, è stata oggetto di studio.
Nella prima sono presenti ville e palazzi adagiati lungo le insenature della costa, ma anche un grande numero di imbarcazioni di diversa grandezza e importanza. Giulio Pane, nel suo Napoli seicentesca nella veduta di A. Baratta, ha colto e interpretato un particolare lasciato dal disegnatore, l’aver contrassegnato con una lettera dell’alfabeto ciascun edificio e la corrispondente imbarcazione che riporta il nome del proprietario della dimora come scrivono Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza nel loro Le ville di Napoli. Ogni proprietario doveva necessariamente avere un’imbarcazione, in questo modo poteva raggiungere agevolmente la propria residenza evitando così percorsi terresti più difficoltosi. Anche nella seconda incisione, la Cavalcata, si vedono sullo sfondo le stesse costruzioni, anche se in questa la linea della costa è più appiattita.
Nemmeno la veduta disegnata da Antonio Bulifón, del 1685, presenta variazioni particolarmente significative rispetto a quella di Baratta. Generalmente la definizione più utilizzata è quella di palazzo, anche per le dimore più appartate e circondate da grandi estensioni di giardini. Si tratta proprio delle stesse abitazioni che, una volta restaurate e ingrandite nell’Ottocento, hanno recuperato la loro vocazione di ville estive di lusso. Carlo Celano, a sua volta nel 1695, nell’itinerario che disegna per il visitatore forestiero riferisce di “Camerate” a Mergellina dove era uso assai alla moda a partire dal 1670, perché prima era considerato sconveniente che le signore consumassero cibi in pubblico, che si fermassero le carrozze delle dame della nobiltà a cui, con sfarzo di cristalli e argenterie, venivano serviti rinfreschi, sorbetti, bevande calde e dolci, raccontano ancora Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza.
Il Celano infatti scrive: Questa riviera poi è tutta popolata di comodi e belli casini e dilettosi giardini, che tutti hanno la salita al monte; e benché per un gran tratto vi si può andare per terra, potranno i Signori Forestieri osservarla per mare, non mancando ad ogni ora barche a Mergellina; e per dar saggio de’ palazzi principali che vi sono: passata la casa de’ Gennari de’ Duchi di Cantalupo, come si disse, trovasi il famoso casino del principe della Roccella di casa Carafa. Questo è isolato in forma di castello, con quattro loggie in forma di baluardi, e quattro porte una per facciata, con più quarti comodamente divisi: era tutto adornato di statue di pietra dolce; ma nelle ultime mozioni popolari furono quasi tutte fracassate.
Carlo Celano descrive, poi, Palazzo Roccella, diventato Villa Chierchia, passando alla proprietà del duca di Vietri, dove si ritroverà Villa Mon Plaisir o Giordano e Villa Quercia: la casa del Duca di Vietri, della casa de Sangro, così capace, che v’hanno abitato molti Signori Viceré con tutta la loro corte, quando han voluto godere del Posilipo in tempo d’estate; e perciò vi si vede avanti un bastionetto dove piantavano i cannoni. Posillipo è ricca di residenze, una più bella dell’altra, ma la più grandiosa di tutte, e che meglio racconta quello che era lo spirito del tempo, resta Palazzo Donn’Anna.
A tal proposito, Gaetana Cantone scrive: Palazzo Donn’Anna, teatro permanente dello scenografico arrivo dei nobili via mare sulle loro “galere”, dei fuochi e dei giochi su piattaforme allestite a mare, godibili dalla loggia del palazzo, viene costruito a causa del teatro e intorno al suo teatro, chiave interpretativa di un progetto attentissimo alla situazione ambientale, che non ha specifici modelli di riferimento, a meno di non rifarsi a soluzioni veneziane della seconda metà del Cinquecento. E come a Venezia la tipologia di impianto nasce dalla necessità di convivere con l’acqua; infatti, fu il canale scavato dal mare, e che si insinuava nel banco roccioso con un braccio parallelo alla facciata al mare e uno trasversale, il cui effetto è oggi scomparso, utilizzato per l’arrivo da mare, per i collegamenti con il cortile (alla quota del piano nobile) e il piano della residenza, a condizionare la distribuzione degli ambienti. Il teatro è separato dal mare mediante tre arcate e dal cortile verso terra con una parete… Al teatro era annessa la loggia a tre arcate, nel cui spessore veniva allestita la scena, che poteva così giocarsi del fondale naturale del mare.
Questa nuova lussuosa dimora di Posillipo ebbe vari proprietari, finché Anna Carafa non la ereditò dal padre nel 1630. Si diceva che sulla villa regnasse un maleficio e fu così incaricato a Cosimo Fanzago di costruire al suo posto una dimora che avrebbe dovuto essere una delle più belle e originali d’Europa, una vera e propria reggia che esaltasse il potere di Anna Carafa e del marito, il futuro viceré Ramiro de Guzmán, duca di Medina de las Torres. Anche se l’architetto è stato autore del chiostro della Certosa di San Martino, della cappella di Palazzo Reale e di altri palazzi e monumenti di Napoli, questo palazzo può essere considerato la sua opera più illustre. Il progetto prevedeva l’abbattimento della preesistente Villa La Sirena, ideando la dimora dalla forma quadrata, con gli angoli smussati e che affacciava sul mare da ben tre lati. Per agevolare la visione non soltanto del panorama di Posillipo, furono inseriti portici, logge, giardini pensili, terrazze e nicchie adornate di statue romane. Queste furono poi distrutte durante la sommossa di Masaniello nel 1647 e la struttura subì ulteriori danni causati dal terremoto del 1688.
Carlo Celano però prosegue ancora con la sua descrizione delle ville di Posillipo: Da Palazzo Donn’Anna si passa ad un nobil palazzo chiamato l’Auletta, perché fu edificato alla forma di quella fortezza: era del Duca di Maddaloni della casa Carafa, ma commutatolo col Palazzo che possiede nella città, pervenne in potere del già fu Gasparo Romuer, e da questi venduto a’ Santi Maria Celli Fiorentino, il quale con molta spesa l’ha ridotto nella forma che oggi si vede. Segue il Palazzo de’ Signori Duchi di Nocera della casa Carafa, nel quale abitò l’Imperatrice sorella di Filippo IV quando passò per Napoli, per doversi portare all’Imperatore suo sposo; oggi è passato in altre mani. Segue a questo il palazzo che fu de’ Colonnesi; oggi d’altri padroni. Dopo di questo viene la casa del Principe di Colobrano similmente della casa Carafa. Consecutivo a questo è il Palazzo de’ Spinelli de’ Signori Principi di Tarsia, palazzo molto fresco. Dopo di questo vi è la villa, e la casa de’ Tramontani, dei Martini e de’ Torni. Appresso di questo vi è una torre con abitazioni che serve per lazzaretto delle mercatanzie, che si stimano sospette d’infezioni, e qui si vedono alcune vestigia dell’antico acquedotto. Seguono appresso i palazzi de’ Mazzella, e de’ Gagliardi e altri; ma qui solamente s’è data notizie de’ principali, perché tra questi ve ne sono altri di Gentiluomini Napoletani, e fra questi ve n’è uno molto bello del già fu Alfonso d’Angelis non inferiore a questo sovra della montagna. Arrivati alla casa degli Gagliardi, oggi del Principe d’Ischitella, che l’ha ridotta in amenissima forma, dicesi il Capo di Posillipo, che così vien chiamata questa punta. Girando poi dall’altra parte che ha del mezzogiorno, vi si trovano casini non men deliziosi di questi, come quello de’ Castellani, del Pezzo, e altri con limpidissime marinette da potervisi con ogni comodità bagnare. Volgendo più avanti vedesi la Cajola da noi detta la Gajola.