La pandemia – lo abbiamo denunciato più volte – ha esasperato le disuguaglianze sociali già presenti nel nostro Paese, affollando ulteriormente le file degli ultimi. Tra questi, restano invisibili le diverse centinaia di migliaia di migranti privi di documenti, quindi considerati irregolari sul territorio italiano.
Irregolare: strano a dirsi di un individuo, eppure questa definizione affolla social e tg, e con essa cresce la quantità di coloro che vivono in Italia pur non esistendo ufficialmente. Secondo i dati ISTAT, nel 2020 arriveranno a 670mila circa: si tratta di persone non iscritte al Servizio Sanitario Nazionale, dunque sprovviste di un medico di base, condannate al lavoro irregolare – nella maggior parte dei casi vero e proprio sfruttamento –, e spesso prive dei diritti basilari. In questo periodo di emergenza, inoltre, sono escluse da tutte le misure di assistenza sociale e bonus alimentari.
A tal proposito, le loro condizioni sono tornate al centro del dibattito pubblico di recente, quando è stata ipotizzata una sanatoria dei migranti irregolari presenti sul territorio in modo da tutelarli e con essi tutelare l’intera comunità di fronte al coronavirus. Essere privi di documenti durante una pandemia è una vera e propria tragedia, che costringe queste persone a restare rinchiuse nei loro ghetti di campagna, già critici di per sé. E così, partendo da tali presupposti, Legal Team Italia, LasciateciEntrare, Progetto Melting Pot Europa e Medicina Democratica hanno lanciato una campagna per richiedere una sanatoria, cui hanno aderito migliaia di associazioni e singoli che vedono in essa l’unica possibilità per far fronte all’emergenza globale e garantire la salute pubblica. Tale proposta aveva già fatto capolino, seppur sommessamente, nella discussione nazionale ed era stata oggetto di una proposta di legge a iniziativa popolare – nata dalla campagna Ero straniero – con la quale si chiedeva la regolarizzazione dei migranti che, oltre alla presenza sul territorio e a legami familiari, avessero anche la disponibilità di un lavoro. Proposta che il Parlamento sta esaminando da mesi senza fare alcun passo in avanti.
Nella contingenza attuale, il provvedimento appare ancora più necessario e chi da più parti storce la bocca e parla di condono non conosce la storia poiché tale strumento ha rappresentato una costante nelle politiche migratorie italiane, anche dei governi di destra. Basti pensare alla sanatoria effettuata con la Legge Bossi-Fini nel 2002 che riguardò più di 600mila migranti. Nelle stesse politiche, però, è presente anche un’altra costante: le sanatorie sono sempre state effettuate con motivazioni di carattere economico e mai umanitario, e le attuali dichiarazioni del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese si pongono in continuità con la linea tracciata in passato: «Nessuna sanatoria, stiamo pensando a una previsione normativa con il Ministro del Lavoro. Si pone urgentemente il problema della raccolta nei campi. Non è la regolarizzazione di tutti i presenti ma solo di quelli che servono, e con precise regole. E non sono di certo 600mila». Dunque, ai fortunati migranti che possono apportare un beneficio alla nostra economia viene concesso il privilegio di trasformarsi in merce così da essere maggiormente tutelati. Ma che le merci e gli interessi economici siano garantiti nel nostro Paese in una misura di gran lunga maggiore rispetto ai diritti inviolabili alla salute e alla dignità ce lo dimostrano tutte le recenti scelte governative. Non c’è da stupirsi se chi non può produrre non viene in alcun modo salvaguardato.
Intanto, sul tema si è manifestata una frattura all’interno del governo e il 6 maggio Vito Crimi, leader politico del MoVimento 5 Stelle, ha dichiarato a Radio24 di non accettare la sanatoria. Il Ministro dell’Agricoltura Bellanova, sostenitrice della proposta, ha invece minacciato di dimettersi se nulla verrà fatto per i braccianti irregolari. Oltretutto, l’aumento di migranti sprovvisti di documenti trova la sua principale causa nelle scellerate politiche di questi anni, che hanno eliminato qualsiasi canale legale e continuativo di ingresso e qualsiasi legge che consenta la regolarizzazione della propria posizione per chi è già presente sul territorio. Fin dal 2002, è stata infatti eliminata la figura dello sponsor, ente pubblico o privato che faceva da garante per il cittadino straniero, assicurandogli ad esempio alloggio e sostentamento. Successivamente, la Bossi-Fini ha ancorato al lavoro la possibilità di avere un titolo di soggiorno, infine i Decreti Sicurezza hanno reso impossibile il rilascio del permesso per motivi umanitari. La sanatoria generalizzata, dunque, non è sufficiente, a meno che non sia seguita da un apparato di regole che renda legali gli spostamenti e rispetti i diritti dei migranti, tra cui quello ad avere dei documenti che consentano loro di esistere per davvero.
Legal Team Italia ha rivolto anche un altro appello al Ministro dell’Interno, alle Prefetture e ai questori: sospendere i nuovi ingressi nei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) – dove i migranti sono soggetti alla cosiddetta detenzione amministrativa – e adottare le misure alternative di cui all’articolo 13 comma 5.2 del Testo Unico sull’Immigrazione. Un recente fatto di cronaca ci riporta all’analisi delle condizioni di vita in questi luoghi: pochi giorni fa un ventottenne, recluso nel CPR di Macomer, all’ennesimo rifiuto della domanda di rilascio da parte del giudice di pace, si è lanciato dal muro di cinta del centro poiché non sopportava più l’idea della sua reclusione e dell’abbandono totale in cui era finito. Un episodio che punta i riflettori sulle condizioni dei centri per stranieri e sullo spaventoso sistema di accoglienza del nostro Paese, che ha raggiunto il culmine della disumanità con i Decreti Sicurezza.
Rispetto ai CPR e ai vari centri d’accoglienza per stranieri disseminati sul territorio nazionale si è manifestato tutto il disinteresse istituzionale durante la pandemia, come se l’affollamento in quel caso non fosse da considerarsi un rischio per il contagio. In queste strutture centinaia di persone vivono in condizioni di promiscuità, spesso in assenza di presidi sanitari adeguati e nell’impossibilità di operare l’isolamento necessario in caso di contagio che rappresenterebbe una tragedia. I migranti dei centri di Bologna hanno scritto un appello al Sindaco, alla Regione e alla questura, denunciando le loro condizioni: camerate di dieci persone, con letti uno sopra l’altro, a discapito della salute del contagiato e del resto degli ospiti. Dunque, nonostante sia stata dimostrata la centralità dei migranti e la loro essenzialità oltre che come patrimonio umano anche all’interno della nostra filiera economica e in particolare agricola, essi restano invisibili agli occhi dei più.
E tu che pensavi che fosse tutta acqua passata, che questa tragica misera storia non si sarebbe più ripetuta: un noto cantautore italiano sintetizza così il pensiero di tutti noi, che ancora ci illudiamo che sia possibile, oltre che necessario, dare una svolta al passato. Ma purtroppo, nonostante la pandemia porti con sé la potenzialità di uno spartiacque e quindi la possibilità di raggiungere reali livelli di civiltà, la legge del profitto ha ancora la meglio, in barba al soggetto e alla sua dignità, calpestando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che all’articolo 3 sancisce che ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.