Esiste, nel mondo dei fumetti, un particolare filone denominato What if (Cosa succederebbe se…), storie alternative in cui si ipotizzano scenari diversi da quelli canonici. Per esempio, restando in ambito volutamente messianico, cosa accadrebbe se Kal-El – questo il nome kryptoniano di Superman – non fosse mai inviato sulla Terra dai suoi genitori dal morente pianeta Krypton? Analoghe a questa, ci sono state tante storie What if. Vi chiederete: cosa c’entra tutto ciò con il capolavoro di Martin Scorsese che nel 1988 approdò con grande scandalo alla 45esima Mostra del Cinema di Venezia, provocando lo sdegno della chiesa cattolica, nonché reazioni violente davanti alle sale nelle quali veniva programmato? È presto detto.
Ne L’ultima tentazione di Cristo, basato sul romanzo omonimo di Nikos Kazantzakis, si ipotizza uno scenario alternativo – dicesi anche ucronico – in cui Cristo non accetta il famoso calice amaro. Invitato da un angelo custode, decide inoltre di scendere dalla croce e vivere una vita da comune mortale, addirittura sposarsi e avere dei figli. E, infatti, consumerà finalmente anche il tanto sospirato amore con Maria Maddalena. In effetti, con un materiale così incandescente, non c’è da stupirsi delle polemiche e delle accuse di blasfemia che effettivamente ci furono. Ma andiamo per gradi ed esaminiamo l’opera di Scorsese più in dettaglio.
Innanzitutto, va detto che la parte del film che abbiamo descritto, quella maggiormente incriminata, occupa soltanto gli ultimi 40 minuti di una pellicola di 2 ore e 40, un finale di cui, però, parleremo in seguito. Nella prima parte, invece, abbiamo un Gesù roso dai dubbi, incarnato da un Willem Dafoe in stato di grazia: le voci che sente nella sua testa, i passi che sembrano seguirlo, sono messaggi di Dio oppure segnali di una possessione diabolica? Egli non accetta ancora il ruolo che sembrano assegnargli la divinità e la storia ma si dibatte, molto umanamente, tra le paure del peccato e le angosce sull’origine di quelli che oggi chiameremmo disturbi schizofrenici della personalità. In una delle scene iniziali, assiste per tutto il giorno alle prodezze sessuali di Maria Maddalena – interpretata da Barbara Hershey – che, come prostituta, svolge il suo lavoro in un bordello. Alla fine della giornata, Gesù si presenta da lei, non per consumare ma per chiederne il perdono per averla fatta soffrire, in quanto la donna è da sempre innamorata del figlio di Giuseppe e Maria. Come ci si aspetterebbe, il nostro rifiuta l’amore carnale che Maddalena gli offre in modo molto eloquente ma lo fa, ipocritamente, solo per vigliaccheria e non perché non la desideri. Il dialogo tra i due è molto moderno, sembra di assistere a un doloroso confronto tra innamorati nel quale uno viene rifiutato piuttosto che a un episodio biblico.
È qui, infatti, che risiede uno degli aspetti dalla portata più rivoluzionaria del film e cioè il linguaggio utilizzato dai personaggi. Non si tratta mai di frasi ampollose ricavate dai Vangeli: anche per gli episodi più canonici della vita di Cristo, egli parla un lessico vicino a quello attuale, comprensibile agli spettatori attuali. Gesù si rivolge ai discepoli e agli uomini non con la seraficità con cui ci hanno abituato le rappresentazioni filmiche più oleografiche, ma con la furia del mistico e del rivoluzionario. Sarà proprio Ponzio Pilato – interpretato da un inedito e sempre magnetico David Bowie – a suggerirgli, in una scena ammantata di luce blu surreale, che è esattamente il voler cambiare le cose, indipendentemente se con la violenza o con l’amore, che l’Impero Romano non può tollerare. Lo status quo non può permettere che qualcuno ne metta in discussione le basi. Ecco, quindi, che il Cristo di Scorsese diventa terribilmente attuale e acquista un’universalità non solo spirituale – quella era scontata – ma anche politica.
Come pure politica è la provocazione di mostrare Gesù, sempre nella prima parte del film, che costruisce croci per i Romani. Giuda Escariota – interpretato da Harvey Keitel –, che ha un ruolo preminente rispetto agli altri discepoli, si professa fautore della linea combattiva nei confronti dei Romani, così accusa Cristo di collaborazionismo. Questi, allora, gli confessa di agire in tal modo per espiare la sua vigliaccheria nei confronti di Dio e della Maddalena. Non è certo un Gesù a cui siamo abituati. Interessante, dunque, si rivela la figura di Giuda che, nella versione scorsesiana, è l’amico e confidente più stretto di Gesù, fungendo quasi da voce della coscienza o comunque da contraltare ideologico con il quale confrontarsi riguardo il suo operato. Infine, sarà proprio Cristo a spingere Giuda al tradimento affinché si compia il suo destino di martire e messia. Sarà quindi un Escariota riluttante, strumento consapevole del volere divino, a elargire il famoso bacio. Questo in linea con il Vangelo di Giuda, un vangelo apocrifo gnostico rinvenuto nel 1978 in una caverna egiziana e composto tra il 130 e il 170 dopo Cristo.
Quando Gesù va nel deserto e si pone all’interno di un cerchio disegnato da lui stesso nella sabbia, egli compie un gesto magico: il cerchio di protezione è un tipico espediente dei rituali esoterici che serve a preservare il mago dai demoni e dalle influenze negative. Infatti Satana, nelle forme di un serpente, di un leone e di una fiamma diabolica, non riuscirà a penetrare nelle difese di Gesù. In altre parole, si potrebbe descrivere come una rappresentazione figurata della centratura psicologica necessaria a resistere ai tormenti dei propri fantasmi interiori: non è un un caso che il serpente tentatore parli con la voce di Maddalena e il leone con quella di Giuda. Tra l’altro due serpenti, uno bianco e uno nero, sono presenti sull’insegna del bordello in cui lavora Maddalena, a simboleggiare la dualità della natura umana, improntata alla materia e allo spirito.
La seconda parte del film è quella maggiormente fedele agli episodi più famosi dei Vangeli. Almeno nella sostanza perché nella forma, anche qui, è presente un tocco personale. La moltiplicazione del vino alle nozze di Cana avviene lontano dagli occhi di Gesù che, semplicemente e con grande ironia, suggerisce a un astante di andare a controllare un otre che dovrebbe essere pieno d’acqua. La resurrezione di Lazzaro avviene in seguito ad alcuni gesti rituali che ricordano più gli sciamani tribali che non il redentore che tutti conosciamo.
Tribale è anche la splendida colonna sonora composta da Peter Gabriel che, per l’occasione, si avvalse della collaborazione dei maggiori musicisti tradizionali africani, tra cui Youssou ‘n’ Dour, costruendo delle atmosfere dalle sonorità etniche, miste a inserti elettronici, qualcosa di assolutamente rivoluzionario per un film su Cristo. L’anno seguente, Gabriel mise insieme le composizioni della pellicola, rielaborandone alcune, in un album intitolato appunto Passion che costituì l’inizio del suo impegno di scopritore, produttore e promulgatore di talenti della musica tradizionale di tutto il mondo, dando il via alla sua famosa etichetta World Music. Le musiche di Gabriel e dei suoi musicisti rappresentano dunque un tappeto sonoro avvolgente e ipnotico che accompagna in modo congruo le splendide immagini del film.
Complice la colonna sonora, tutta la pellicola è pervasa da una qualità emotiva e visiva ancestrale – aiutata dai colori terrigni della fotografia di Michael Ballhaus – in cui si riflettono gli echi di antichi costumi tribali che 2000 anni fa erano ancora vivi in Palestina e che tutt’oggi ritroviamo in certe tradizioni del nostro Paese. Non è un caso che Giovanni Battista si presenti come un vero e proprio stregone/sciamano, circondato da una folla di invasati e da donne nude in preda a una sorta di possessione epilettica, molto simile a quella delle famose tarantolate del Sud Italia. L’incisivo legame del film di Scorsese con un nostro passato sconosciuto e primigenio, in cui esisteva una più chiara e viva connessione con le matrici archetipiche di quella energia vitale che tutto pervade e che spesso chiamiamo Dio, è la caratteristica fondante di questa straordinaria pellicola.
Nonostante un budget di soli 7 milioni di dollari, l’impatto visivo del film è impressionante per il modo in cui Scorsese riesce a impregnare ogni fotogramma di tensione spirituale. Non c’è episodio che non venga trattato con adeguata sensibilità estetica, riflettendosi così anche nell’architettura morale dell’opera. Dai momenti rarefatti, ripresi in ralenti, in cui Gesù guarisce i posseduti, alla sensualità delle scene del bordello in cui lavora Maddalena. Dagli improvvisi movimenti di macchina – realizzati con i dolly-zoom caratteristici del cinema di Scorsese – che assediano Gesù, incalzandolo nel momento in cui è perseguitato da voci, alle scene di massa in cui il messia porta la croce per gli strettissimi vicoli di una Gerusalemme che sembra un suk arabo.
Esaminiamo la sequenza in dettaglio perché ne vale la pena. Prima vediamo il Cristo di spalle, ormai sanguinante ed esposto alla folla ostile, mentre la macchina da presa effettua un carrello laterale da una colonna all’altra che incorniciano la figura da dietro. Poi un’inquadratura a piombo, dall’alto, mentre il messia avanza con la croce, che rende l’idea della ristrettezza dei vicoli di cui parlavamo. Infine, una ripresa frontale, con un utilizzo magistrale del teleobiettivo, che mostra Cristo mentre trascina tutto il peso del suo destino, schiacciato tra una folla schiamazzante. Qui l’inquadratura diventa letteralmente pittorica, richiamandosi a tanta iconografia cristiana, con un impatto figurativo senza uguali, per arrivare al golgota e al momento della crocifissione. Prima i dettagli sui chiodi. Poi la ripresa con la camera evidentemente attaccata al retro della croce che ci regala una prospettiva inedita e davvero vertiginosa nel momento in cui viene issata. Infine il momento in cui Gesù, sconvolto, non resiste quasi più e si sta per rivolgere al Padre. L’inquadratura laterale, a mezzo busto, si ribalta in un movimento lancinante che ci fa letteralmente empatizzare con la sofferenza di Cristo. Le stazioni della passione raccontate dalla messa in scena di Scorsese sono di una potenza visiva ed emotiva sconvolgente e fanno impallidire la furba spettacolarizzazione di Mel Gibson con il suo Passion del 2004.
Torniamo adesso alla famigerata parte finale. A Gesù viene offerta da un angelo custode, nelle forme di un ragazzino biondo, la possibilità di scendere dalla croce e vivere una vita normale. Egli la coglierà e, per prima cosa, consumerà finalmente l’amore carnale con Maria Maddalena che, purtroppo, morirà subito dopo – dopo 32 anni gli spoiler cadono in prescrizione. L’angelo gli spiegherà che esiste una sola donna che si esprime tramite differenti volti: insomma una sintesi del concetto dell’eterno femminino. Il mancato messia troverà dunque una moglie in un’altra Maria, la sorella di Lazzaro, e con lei avrà dei figli. Tutto sembra procedere bene finché Gesù si imbatterà in Paolo – quello fulminato sulla via di Damasco, proprio lui – che predica la parola del Signore e racconta di come Cristo sia morto in croce e poi risorto dopo tre giorni per essere infine assunto in cielo.
Alle rimostranze di Gesù stesso che gli porta la propria persona come testimonianza delle menzogne raccontate, Paolo risponde così: «Tu non immagini quanto la gente abbia bisogno di Dio, quanto Dio possa renderli felici. Può fargli fare con felicità ogni cosa, può renderli felici di morire, e loro moriranno. Tutto questo per amore di Cristo… Sono contento di averti incontrato, perché così ora posso dimenticarti. Il mio Gesù è molto diverso da te, è molto più forte e potente». Discorso fondante per il film poiché mostra quanto la narrazione che noi ci diamo dei fatti sia molto più incisiva e influente dei fatti stessi. Vale dunque anche qui il motto conclusivo del western di John Ford L’uomo che uccise che Liberty Valance (1962) e cioè: Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda. Sostituiamo West con Palestina e il gioco è fatto.
Sul letto di morte, un anziano Gesù verrà visitato dai suoi vecchi discepoli e, in particolare, da un infervorato Giuda che gli rinfaccia le sue scelte vigliacche ammonendolo: senza sacrificio non c’è salvezza. E, infatti, senza il gesto di estremo sacrificio di Gesù e senza la sua successiva resurrezione, nel frattempo il mondo è precipitato nel caos e Gerusalemme brucia. Così il nostro si trascina fuori dalla sua stanza e, come in un film apocalittico, osserva disperato le conseguenze delle sue azioni. Pentito, chiede al Padre di perdonare il suo egoismo e di rimetterlo sulla croce, affinché il suo destino si compia e possa essere infine il messia nonché il redentore dei peccati di tutti. Come nella migliore tradizione dei film fantascientifici sui viaggi nel tempo, Gesù viene riportato al momento in cui è stato crocifisso per poi morire serenamente accettando il suo ruolo nella storia dell’umanità e divenendo finalmente il Cristo che tutti conosciamo.
Come nella più classica delle narrazioni archetipiche, abbiamo dunque un eroe che inizialmente rifiuta il richiamo all’avventura. Attraverso il patimento di numerose ordalie, nonché l’acquisizione di eventuali oggetti magici – nel film in questione è una scure che, dopo i 40 giorni passati in isolamento nel deserto, viene adottata come simbolo dell’abbattimento delle ingiustizie – giunge a una nuova consapevolezza e accetta la missione da compiere, vale a dire il ruolo che è chiamato a incarnare nel tessuto sociale e storico.
Scorsese era ovviamente ben consapevole dell’effetto che avrebbe avuto il suo film e infatti la gestazione del progetto è stata molto travagliata. In rete è possibile trovare tante notizie a riguardo. Eppure all’inizio della pellicola il regista non fa mistero sulle sue intenzioni tramite una didascalia molto chiara: Questo film non è basato sui Vangeli. È solo una riflessione fantastica sugli eterni conflitti dello spirito. È infatti dall’eterna battaglia tra la carne e lo spirito, tra la paura e il desiderio, tra l’elevazione spirituale e la materia che quest’opera scaturisce. Tutto il film è intessuto da una tensione morale e spirituale potentissima. Il Cristo che vediamo rappresentato è più umano e più vicino ai dubbi che l’uomo mortale si pone tutti i giorni, dubbi riguardo il suo destino e il ruolo che gli viene chiesto di assumere nel tessuto dell’esistenza, da parte della divinità o semplicemente da parte del proprio sé interiore. Scorsese opera così una riflessione universale che coinvolge tutti, credenti e non, e che diventa anche il culmine filosofico della sua filmografia, da sempre orientata all’esplorazione, tramite personaggi sempre al limite, del delicato confine tra colpa e redenzione.
L’ultima tentazione dunque, lungi dall’essere una provocazione fine a se stessa, è un’opera pervasa da un grande fervore spirituale che invece di indebolire la fede può invece rafforzarla in chi già la possiede oppure invitare a una riflessione importante chi non ce l’ha. Purtroppo, non è un caso che il film sia assente da qualunque palinsesto televisivo – credo non sia mai stato trasmesso – e che non sia presente su alcuna piattaforma di streaming. È difficile, quindi, che ve lo facciano vedere mai. Per fortuna è reperibile in DVD e BluRay, per cui invitiamo chi fosse interessato a recuperare quest’opera rivoluzionaria e poco ricordata.
Per concludere, citiamo infine le bellissime ed evocative parole, tratte dal libro di Kazantzakis, con cui inizia anche il film di Scorsese: La dualità di Cristo – il desiderio così umano, così sovrumano, di un uomo che raggiunge Dio… è sempre stato per me un mistero imperscrutabile. Il mio tormento e la fonte di tutte le gioie e i dolori, fin da quando ero giovane, è stata l’incessante e spietata battaglia tra lo spirito e la carne… e la mia anima è l’arena in cui questi due eserciti si sono affrontati e scontrati.