Siehe Neapel und stirb! Si pronunciò così Johan Wolfgang van Goethe, successivamente a un suo viaggio a Napoli, esperienza che rivelò con tutta la meraviglia che gli era rimasta negli occhi. La storia, il Golfo, la gente di Partenope, ogni pezzo del puzzle che è il capoluogo campano incantò il celebre poeta tedesco. Da allora, oltre duecento anni dopo, turisti da ogni parte del mondo hanno goduto delle bellezze decantate da Goethe, raccontando Napoli per ciò che è davvero: una città dai tanti volti, dalle tante contraddizioni, un luogo dell’anima, una terra da salvaguardare.
Tra le accuse che, spesso, l’opinione pubblica – tutta italiana, non di certo straniera – muove verso i napoletani c’è quella dose, a suo dire, insana, esagerata, a tratti volgare di campanilismo, un narcisismo smodato che cela i difetti agli occhi dell’osservatore. Ed è purtroppo innegabile che, di frequente, noi abitanti della città del Vesuvio tendiamo a proteggere quanto di buono Napoli è capace di offrire, stringendoci forte ai successi, ai gesti di solidarietà, a quelle piccole vittorie quotidiane che non fanno rumore, certe volte con troppo fervore, con amore cieco e incondizionato.
Provate voi, però, una volta soltanto, ad abitare vicoli ricchi di antichità e tradizione – come poche altre città del mondo – e cedere il passo alla gloria di cui hanno goduto Roma, Firenze, Milano, Torino, come se quanto accaduto a Napoli fosse soltanto un errore della storia e non un pezzo di essa. Misuratevi con periferie che risorgono dalle ceneri, con quartieri che accolgono cronache di resistenza, il tutto senza l’aiuto di uno Stato garante, anzi, col suo ostracismo. Mettete la vostra pazienza alla prova dell’informazione, straordinariamente reattiva nell’azzannare la preda che scopre il fianco – camorra, monnezza, mala creanza – e altrettanto svagata nella narrazione delle conquiste sociali, accademiche e politiche in cui ogni giorno si adopera.
Si spiega così la difesa che Napoli fa di se stessa, una tutela da adoperare anche oggi, in tempi tanto drammatici, giorni che dovrebbero unire chiunque per l’obiettivo comune di un domani e, invece, mostrano tutta la meschinità di un Paese, l’Italia, che non ha mai imparato – e forse mai voluto – a essere unito sotto una sola bandiera. Accade dunque che una vicenda di straordinaria importanza e di orgoglio non solo locale, bensì nazionale, si trasformi nell’opportunità per supplire alla mancanza degli ultras nelle curve e rilanciare la sfida Milano-Napoli sull’insolito campo da gioco della sanità pubblica.
Squallido – a proposito – era stato il teatrino andato in onda sui canali Rai appena qualche settimana fa, nel corso della trasmissione Carta Bianca, che aveva visto contrapporsi i medici di riferimento degli ospedali Sacco di Milano e Cotugno di Napoli, rispettivamente il dr. Massimo Galli e il prof. Paolo Ascierto, e ripreso da Striscia la Notizia per cavalcare la presa in giro dell’oncologo partenopeo. Anziché stigmatizzare l’atteggiamento arrogante del collega lombardo rispetto all’attribuzione della paternità del trattamento con Tocilizumab (un farmaco anti artrite), il programma di Canale 5 aveva guidato il carro sempre in moto dello sputtanapoli screditando non solo il ricercatore di Solopaca, ma anche la straordinaria intuizione dell’equipe sanitaria napoletana.
È materia senz’altro complessa la ricerca di un alibi da offrire alle amministrazioni di Lombardia e Veneto, regioni straordinariamente organizzate – tanto da chiedere a più riprese l’autonomia nella gestione dei fondi – che, a causa dell’emergenza coronavirus, hanno scoperto i loro punti deboli, le carenze, i ritardi, gli errori di gestione. Possiamo, dunque, comprendere il disagio provato da tanti all’approvazione, da parte dell’AIFA, del trattamento proposto dal Cotugno di Napoli in contrasto all’epidemia o – come è notizia di appena lo scorso weekend – alla nota dei giornali oltremanica che incoronavano il presidio sanitario del capoluogo campano come l’eccellenza italiana in grado di garantire la sicurezza dell’intero personale, un esempio per tutto il mondo al fine di non mettere a rischio la vita di chi si sta impegnando per salvarne tante altre.
Ebbene, la stampa si è schierata a difesa del trono, quella poltrona scippata al Regno e portata prima in Piemonte e oggi a Milano. E no, non guardiamo al solito Libero del direttore Vittorio Feltri – per quanto potrebbe largamente bastare –, ma a tutto il resto dei giornalisti nostrani, anche quelli che godono di una reputazione ben più prestigiosa di quella del titolista milanese che esultava alla notizia del virus che – come nella spedizione dei Mille – univa finalmente l’Italia nel dramma, contagiando anche i terroni, fino a qualche settimana prima immuni perché fannulloni.
Parliamo di immagini montate ad arte di una città strafottente di fronte alle regole, come, nel caso di Napoli, narrazione vuole. E nemmeno importa se le foto in circolo su ogni social siano state scattate nella verde Liguria o nel bel mezzo della piazza di Verona, anch’essa amministrata dalla Lega all’occasione separatista. Di questi tempi, persino spiegare a un giornalista stimato e navigato, come Enrico Mentana, quanto una particella quale anche possa far male a un territorio continuamente vessato e messo in discussione per la sua disciplina diventa un’operazione necessaria.
A Napoli c’è anche un’eccellenza, aveva scritto a proposito della notizia sopracitata del Cotugno come punto di riferimento nella difesa del personale medico il direttore del TG La7, certamente in buona fede ma altrettanto poco accorto nella scelta dei vocaboli utilizzati. Ridicoli piagnoni che vi attaccate a un anche, imparate l’italiano. Amo Napoli più di voi evidentemente.
Ci perdonerà il maestro delle maratone elettorali, ma i toni utilizzati non offrono a Napoli il rispetto che merita, il riguardo che la città del sole deve imparare a pretendere. Anzi, la dichiarazione postuma alle critiche ricevute fa persino il pari con le uscite poco felici del collega spesso al centro del dibattito, il genio di Quarantena alla napoletana, Siamo il Paese di Pulcinella, a indirizzare la repressione di questi giorni drammatici anziché in un sentimento di coesione e solidarietà nazionale, nella solita ricerca del colpevole di tutti i mali, spesso identificato in Napoli e nei napoletani.
Siehe Neapel und stirb! Vedi Napoli e poi muori… ‘e gelusia, aggiungiamo noi, che stavolta ci vestiamo con orgoglio anche da campanilisti. D’altronde, lo aveva capito lo stesso Goethe: il sorriso di Napoli, la sua impenetrabile capacità di reagire alle avversità e, spesso, eccellere, è una luce che riempie, che acceca. Sta negli occhi di chi osserva decidere di lasciarsi irradiare da tanta bellezza o da profonda gelosia. Si somigliano, ma hanno effetti e conseguenze molto diverse.