L’emergenza legata al coronavirus continua e con essa la preoccupazione della popolazione penitenziaria che è ben consapevole delle conseguenze di un’eventuale diffusione della pandemia negli istituti sovraffollati e spesso fatiscenti. A tal proposito, abbiamo intervistato il Garante dei Detenuti della Regione Campania Samuele Ciambriello, che ci ha offerto una chiara fotografia della situazione nelle carceri locali e delle modalità di gestione di questa delicata fase, oltre che il suo punto di vista in merito alla misure da mettere in campo per scongiurare la trasformazione dei penitenziari in veri e propri lazzaretti.
Qual è, attualmente, la situazione delle carceri? Che aria si respira tra la popolazione penitenziaria?
«Comincerei da un dato nazionale: in tutta Italia abbiamo 116 agenti penitenziari positivi e 19 reclusi affetti da COVID-19, di cui 16 in Lombardia. Di questi, 13 sono in isolamento in carcere e 3 in ospedale. In Campania, non abbiamo detenuti contagiati, ci sono stati solo un medico e un infermiere extra mura risultati positivi. Tuttavia, quanti all’interno dell’istituto hanno avuto contatti con loro sono stati sottoposti al tampone, per fortuna con esiti negativi. È risultato positivo, invece, un agente penitenziario della provincia di Caserta che era in licenza a casa, ma è guarito ed è tornato al Nord in servizio. Questi sono gli unici dati veri; ho dovuto richiamare qualcuno di testate giornalistiche piccole ma anche grandi (come il Mattino) per aver diffuso notizie false che procurano allarme. Nei nostri istituti campani, ci sono 7279 persone, 7400 invece nell’area penale esterna. 225 detenuti che erano semiliberi, cioè lavoravano di giorno e rientravano di sera nelle carceri di Secondigliano, di Santa Maria Capua Vetere, di Salerno e Benevento, adesso possono restare a casa fino al 30 giugno».
Cosa ci può dire in merito al decreto varato dal governo lo scorso 17 marzo?
«Il decreto varato a livello ministeriale è stato indirizzato ai detenuti che devono scontare 1 anno e 6 mesi di carcere, ma la maggior parte di loro può uscire in detenzione domiciliare solo con i braccialetti elettronici. Una piccola parte, invece, i detenuti a cui mancano 6 mesi da scontare, può farlo senza braccialetto. Noi come Garanti di tutta Italia abbiamo detto che questo provvedimento è insufficiente, che non tiene conto dell’eccezionalità della situazione. Se siamo in un’emergenza, il diritto alla salute e alla vita valgono per tutti, prescindendo dal tipo di reato. Ci sono delle restrizioni, ad esempio per i delinquenti abituali, ma come si fa a individuare un delinquente abituale se si trova in carcere? Ci sono, poi, limitazioni per chi ha ricevuto un rapporto disciplinare all’interno delle istituzioni, ma basta aver alzato la voce o aver fatto per una cosa piccola e insignificante per averne uno. E poi per chi è condannato per un reato ostativo. Anche in questo caso, se la mia pena è di 10 anni ma sto scontando gli ultimi 6 mesi, perché non posso usufruire del beneficio? Sembra trattarsi di uno Stato vendicativo, che mi obbliga a stare fino all’ultimo minuto in carcere».
Rispetto a questo, qual è la posizione dei Garanti territoriali e regionali?
«Noi Garanti territoriali e regionali abbiamo preso coscienza della situazione e abbiamo rivolto un appello al Presidente della Repubblica, ai deputati e senatori affinché in fase di conversione il decreto Cura Italia venga perfezionato. In questo modo, potrebbero uscire dalle carceri almeno 8/10mila persone. Attualmente, in tutta Italia ci sono 59mila detenuti: arrivare a quota 50mila significa raggiungere la capienza regolamentare. È necessario uno scatto di dignità costituzionale da parte dei parlamentari, che in questo momento mi sembrano pavidi. La politica, nel nostro Paese, pare congelata, eppure ci sono state pronunce in questo senso del Consiglio Superiore della Magistratura, dell’Associazione Nazionale Magistrati, dell’Unione delle Camere Penali, dell’Associazione dei Docenti di Diritto Penale. Bisogna andare verso ulteriori misure di rapida applicazione che portino la popolazione detenuta al di sotto della capienza regolamentare: come accennavo, i posti regolarmente disponibili sono solo 48mila».
La magistratura di sorveglianza riveste un ruolo fondamentale nell’applicazione del decreto. Cosa vorrebbe chiedere ai giudici?
«Rispetto alla magistratura di sorveglianza, essa ha sempre un ruolo importante poiché è deputata a mettere in campo, una volta scontato un periodo di pena, misure alternative alla detenzione come la semilibertà o l’affidamento in prova. Ma ha un ruolo ancora più importante nell’applicazione di quest’ultimo decreto governativo, che ripete ciò che era già previsto dalla Legge Alfano (Ministro della Giustizia del 2010 per un governo Forza Italia-Lega) e ne riporta le misure in altra veste fino al 30 giugno. La politica in questo momento è pavida, cinica, bada ai sondaggi e al consenso in una società in cui si afferma meno Stato, più galera. Diversamente, dovremmo valorizzare le buone prassi del sistema costituzionale, non del buonismo e della misericordia cattolica che non c’entrano niente. In Italia, c’è ancora il modello della rieducazione e della risocializzazione e si realizza nelle misure alternative al carcere, dunque mi auguro che i magistrati di sorveglianza abbiano più coraggio e intervengano con tempestività e determinazione. Dovranno farlo proprio loro poiché in questi giorni non hanno molto personale amministrativo e di cancelleria a disposizione. Li vedo come i cavalieri dell’utopia: non devono farlo solo per vocazione, ma perché è un momento particolare».
I colloqui e i contatti con l’esterno risultano ancora sospesi. Quali sono state le misure messe in campo per ovviare all’impossibilità dei detenuti di incontrare i propri cari?
«194 dei 1600 cellulari che il Ministero ha distribuito sono arrivati nella nostra regione e in questo momento tutti i detenuti, oltre alla telefonata ordinaria, possono fare 2 videochiamate di 15 minuti ciascuna in sostituzione del colloquio settimanale. Per i detenuti dell’alta sicurezza sono state implementate anche le chiamate ordinarie che prima erano 2 in un mese, mentre ora se ne può fare 1 a settimana. Questi provvedimenti sono molto importanti, le videochiamate sono gratis, mentre le chiamate ordinarie, così come era previsto, restano a carico dei reclusi. Inoltre, mi sono reso conto che l’amministrazione penitenziaria aveva stabilito che, data la sospensione della ricezione dei pacchi, i detenuti avrebbero potuto utilizzare gratuitamente le lavanderie, ma in realtà non tutte le 15 carceri campane ne hanno una e talvolta, là dove è possibile trovarle, sono insufficienti. Quindi, d’intesa con l’Assessore alle Politiche Sociali Fortini, che subito mi ha autorizzato, ho utilizzato una risorsa cospicua per acquistare 25 lavatrici da consegnare alle carceri campane scelte dal provveditorato della Regione Campania in base alla necessità. Nei prossimi giorni, ne arriveranno 6 nel carcere di Ariano Irpino, 5 nel carcere di Secondigliano, 2 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, 1 all’estrema punta delle carceri campane, nel Vallo della Lucania, 1 nell’istituto minorile di Airola, 1 nell’istituto minorile di Nisida e le altre a Benevento e Avellino. Si tratta di piccoli gesti dal valore non quantificabile. Non si può scrivere che il detenuto, non facendo colloqui e non ricevendo pacchi, può usufruire della lavanderia se questa non c’è, basti pensare che una grande lavanderia si trova solo nella Casa Circondariale di Poggioreale. Si crea un’inquietudine nel detenuto e nelle famiglie. Ho ritenuto di fare questo gesto sentendomi un agente di prossimità negli istituti e sapendo che questo, come tutte le altre cose, aiutano a mantenere un giusto equilibrio e una giusta serenità».
Prima di salutarci, cosa vuole dirci rispetto a ciò che ha raccontato?
«Questa è la fotografia della situazione attuale dovendo però ammettere, per onestà intellettuale, che siamo sul filo del rasoio. Le carceri stanno scoppiando e quello dei Garanti è un SOS alla politica, al Presidente Mattarella. Non so se il nostro accorato appello riceverà risposte, ma vorrei che la politica comprendesse che stiamo per scoppiare. Se non si riduce il numero delle persone negli istituti penitenziari, qualsiasi emergenza sarà ingestibile. È chiaro che sono state predisposte le tende per i nuovi arrivi e che ogni carcere ha predisposto per eventuali sospetti o casi acclarati spazi idonei e celle singole con relativi servizi igienici ma se nelle grandi carceri, dove i detenuti sono anche in 10 nelle celle, scoppiasse l’emergenza, sarebbe impossibile da fronteggiare.
Approfitto di questa conversazione per ringraziare i direttori sanitari, i medici, gli infermieri di tutti gli istituti penitenziari, ma anche le donne e gli uomini della polizia penitenziaria, i direttori delle carceri, l’area educativa, poiché sono loro adesso che, oltre a stare vicino ai detenuti, devono aiutarli a predisporre le varie richieste da presentare ai magistrati di sorveglianza. Dunque, a queste persone va il mio ringraziamento».