Tu e l’albero in giardino discendete da un antenato comune. Un miliardo e mezzo di anni fa le vostre strade si sono separate. Eppure, dopo un viaggio immenso in direzioni diverse, tu e quell’albero condividete ancora un quarto dei geni…
Richard Powers, con Il sussurro del mondo, ha vinto il Premio Pulitzer nel 2019. Il romanzo è il risultato dell’ambizioso tentativo dell’autore di raccontare la storia umana dalla prospettiva degli alberi, i grandi dimenticati dalla letteratura. Si potrebbe anche dire che Il sussurro del mondo sia stato il contributo di Powers al mito del grande romanzo americano: in pochi contraddirebbero tale affermazione. Si tratta, infatti, di un progetto monumentale, che abbraccia le sorti di alberi e uomini d’America dal XIX secolo ai giorni nostri. È un libro che affronta concetti immanenti, come la vita, la morte, il tempo. È un libro che alimenta, nel cuore di chi lo legge, la fiammella del cambiamento. Lo stesso Powers ha dichiarato di essere stato praticamente trasfigurato dalla scrittura di questo romanzo.
La vita di Powers, come quella dei suoi personaggi, cambia quando si accorge della presenza degli alberi, quando diventa consapevole del loro sussurro. Insegnante e programmatore a Palo Alto, in California, un giorno si imbatte in una maestosa sequoia sempreverde, grossa quanto una casa, alta quanto è ampio un campo di football, coetanea di Giulio Cesare e Gesù. Il confronto con gli altri alberi, gli alberi giovani, quelli ripiantati dall’uomo per correre ai ripari della propria smodata e irrispettosa scelleratezza, è impietoso. Così, lo scrittore comincia a immaginare come dovevano essere quelle foreste secolari che forse non rivedremo più. Dopo un paio di mesi, lascia il lavoro all’università di Stanford per dedicarsi completamente al romanzo.
L’opera, come un albero, si sviluppa in quattro sezioni: radici, tronco, chioma, semi. Ogni sezione accompagna un diverso segmento delle vicende di nove personaggi, i quali poco a poco sentiranno il sussurro del mondo e accorreranno alla sua chiamata. Tra questi, ci sono in massima parte americani figli di immigrati, a rimarcare lo spirito multiculturale degli Stati Uniti. Ciascun personaggio proviene da una classe sociale diversa e può fare affidamento su risorse diverse: ci sono un veterano della guerra in Vietnam, una dottorata in botanica, un’ingegnera, un avvocato, un sociologo, una studentessa, un artista, un programmatore. La loro storia è la storia delle loro famiglie, dei loro antenati. Di traumi e ferite inferte e subite. Degli alberi che vegliano sulla vita di ciascuno e si intrecciano in profondità.
Nick Hoel, il cui trisavolo dà inizio alla stramba tradizione di famiglia di immortalare il castagno in giardino una volta l’anno, custodisce l’album di fotografie al quale è stata aggiunta fedelmente una fotografia nuova per cento anni come il più caro dei cimeli. Mimi Ma eredita dal padre una pergamena antica con una poesia buddista e un anello di giada. Sulla pergamena, c’è un gelso, che il signor Ma pianta in giardino per sua figlia. Quel gelso segnerà tutta la vita di Mimi, al punto che, quando diventerà un’attivista, si farà chiamare Mulberry (Gelso, appunto). Ray Brinkman, innamorato alla follia di sua moglie Dorothy, deciderà di piantare con lei qualcosa nel giardino di casa ogni anno, per alleviare il dolore della loro sterilità. Il frutto maturato dal loro matrimonio è una delle parti più commoventi del libro.
Neelay è così affascinato dal linguaggio segreto delle piante che decide di realizzare un videogioco che ne riproduca la capacità creatrice e fonda un impero online. Patricia, anche detta Patty-la-pianta, si avvicina agli alberi grazie all’amore per suo padre e fa del preservare l’habitat delle foreste lo scopo della sua vita. Proprio per bocca di Patricia il lettore familiarizza con il concetto delle foreste come comunità: gli alberi, tutt’altro che immobili e silenti, si scambiano informazioni tra loro, si scambiano conoscenza sul mondo. Nel folto delle foreste, la vita prospera e si preserva grazie alle muffe e ai funghi che si formano sui rami crollati, gli alberi caduti, le carcasse degli animali. La morte, che nella modalità tutta umana e occidentale di concepire il tempo rappresenta l’interruzione di una linea, è nella foresta l’elemento fondamentale della vita ciclica.
Il tempo frenetico della vita umana non è che vento nella chioma di un albero secolare, come ci ricordano le preziose foto di Nick. Eppure, avendo riadattato il mondo al nostro ritmo, alla nostra bramosia di crescita, abbiamo privato le foreste del tempo per rigenerarsi. E così abbiamo condannato noi stessi. Abbiamo creduto di essere qualcosa di diverso e completamente separato dalle piante. Abbiamo dimenticato che dobbiamo loro l’aria che respiriamo, il cibo di cui ci nutriamo, le medicine che ci curano, i libri che leggiamo e perfino le librerie in cui riponiamo quei libri. Il sussurro del mondo, la verità che sempre più ineludibile si manifesta nei cambiamenti climatici, nelle crisi sanitarie e ambientali che viviamo oggi è questa: siamo parte di un tutto, un organismo solo. E quest’organismo va salvaguardato perché è già troppo tardi.
Una delle critiche che più spesso viene mossa al romanzo è il suo essere fino in fondo un romanzo delle idee. Questo si traduce nel fatto che i personaggi si riducano a poco altro che portavoce di queste idee. Sebbene ciò sia in massima parte vero, è anche vero che le idee ambientaliste espresse da Powers sono imbevute di una poeticità e di un trasporto dinanzi ai quali è impossibile rimanere impassibili. Per tutto il tempo, ci si sente parte di qualcosa di più grande di noi, ma che ci vuole partecipi. E, in tal senso, credo si compia anche la funzione metatestuale del romanzo: i personaggi de Il sussurro del mondo si riscoprono consapevoli del proprio ruolo nella natura grazie alla lettura di un libro, La foresta segreta. I lettori di fantasia tramandano la propria saggezza ai lettori reali, che stringono tra le mani un testo sul destino indivisibile di uomini e piante.
To be human is to confuse a satisfying story with a meaningful one, and to mistake life for something huge with two legs. No: life is mobilised on a vastly larger scale, and the world is failing precisely because no novel can make the contest for the world seem as compelling as the struggles between a few lost people.
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