Se la pandemia per l’influenza da COVID-19 mette in pericolo la società globale, quest’ultima sarà capace di trasformare la crisi attuale in opportunità future? «Siamo in guerra!» è la metafora più usata, in Italia, all’indomani dell’ultimo Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), mentre è in corso un giro di vite nel controllo politico e sociale del territorio. Come in tutti gli scenari bellici, prevalgono la centralità del potere decisionale, il controllo delle informazioni e un modus vivendi che restringe al minimo le possibili espressioni della vita affettiva e delle relazioni societarie.
La razionalità strumentale deve organizzare al meglio le risorse materiali e umane disponibili per combattere il nemico invisibile, senza generare, tuttavia, la fobocrazia, il dominio della paura. In caso contrario, il risultato sarebbe una tensione incontrollabile tra governanti e governati che renderebbe inutili i provvedimenti prodotti dalle autorità nazionali e dagli organismi internazionali che operano sull’intero pianeta.
Fin qui i modelli teorici e le pratiche pubbliche che si impongono nei momenti di crisi, ma le risposte reali all’emergenza sanitaria, economico-politica e sociale hanno mostrato, invece, la disunità che regna all’interno delle comunità nazionali e tra queste e le organizzazioni internazionali. Il ritardo della Spagna, della Francia e della Germania nell’adottare le misure restrittive simili a quelle del “modello italiano” è emblematico dei freni che le amministrazioni degli Stati dell’Unione Europea devono superare per far prevalere le necessità delle popolazioni sugli interessi locali.
Hanno fatto peggio, tuttavia, il Presidente Donald Trump negli Stati Uniti – quando ha minimizzato sull’emergenza sanitaria fino all’aumento drammatico dei contagiati – e il Premier britannico Boris Johnson che ha gelato l’uditorio dell’informazione nazionale e mondiale, invitando le famiglie britanniche ad accettare la possibilità, anzi la certezza, della perdita di alcuni dei loro cari. Forse, l’epidemia da COVID-19, poi dichiarata pandemia dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’11 marzo, non deve scalfire le politiche economico-finanziarie, secondo i campioni attuali del neoliberismo che ha dominato il mondo negli ultimi quarant’anni. In altre parole, è più importante la protezione dell’economia di mercato rispetto a qualsiasi altra cosa accada nell’arena societaria.
D’altra parte, solo nel nostro Paese, nell’ultimo decennio sono stati tagliati più di 30 miliardi di euro alla Sanità pubblica, eliminando centinaia di reparti ospedalieri. Allo scoppio dell’epidemia, erano disponibili soltanto 5mila unità di terapia intensiva, a fronte del doppio o del triplo di altri Stati europei. Il 19 marzo scorso, nonostante gli inauditi sacrifici del personale medico e socio-sanitario, nella triste conta dei morti (3405), l’Italia ha superato la Cina, proprio nello stesso giorno in cui il gigante asiatico non registrava alcun decesso.
Intanto, la guerra contro il nemico invisibile continua e si pensa già alla futura ricostruzione economico-politica e sociale. A questo mira il dl Cura Italia del 17 marzo, con 25 miliardi di euro stanziati e relativo alle Misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Al contempo, le attività produttive non essenziali saranno sospese fino al 3 aprile, per evitare al massimo le possibilità di contagio. Non sono mancati i primi commenti negativi da parte di alcuni leader dell’opposizione e di Confindustria che si preoccupa per la rigidità della decisione, mentre i sindacati minacciano lo sciopero generale. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, tuttavia, continua a invitare le forze politiche governative, quelle concorrenti e le parti sociali del Paese a un’intesa unitaria.
Sul fronte europeo, invece, il Premier Giuseppe Conte ha chiesto all’UE di aprire le linee di credito del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), il cosiddetto Fondo salva-Stati, e la creazione dei Coronabond. Questi consistono in obbligazioni emesse per la durata della crisi sanitaria per far fronte alla prevista emergenza della recessione economica. La Commissione Europea, intanto, come ha dichiarato la Presidente Ursula von der Leyen, ha fatto scattare la General Escape Clause per disattivare il Patto di Stabilità e consentire ai Paesi di spendere oltre il tetto del 3% di deficit rispetto al PIL, allontanandosi dall’aggiustamento verso l’OMT (Obiettivo di Medio Termine) per finanziare i servizi socio-sanitari, le imprese e gli ammortizzatori sociali.
Christine Lagarde, Presidente della BCE (Banca Centrale Europea), ha annunciato, infine, la decisione del Consiglio direttivo di comprare titoli pubblici e privati per 750 miliardi di euro fino alla fine della crisi pandemica, in aggiunta ai 120 miliardi già decisi. E le borse hanno cominciato a segnare un andamento positivo, dopo il periodo in caduta libera. Alcuni commentatori di politica economica hanno definito il provvedimento come un nuovo Piano Marshall, simile a quello che servì per ricostruire l’Europa dopo il secondo conflitto mondiale a metà del XX secolo. Molti altri, invece, hanno avanzato dubbi sulla possibile attuazione equa della manovra e, quindi, sulla reale capacità redistributiva a favore dell’intero tessuto sociale.
La domanda di fondo, in effetti, è la seguente: i provvedimenti emergenziali riusciranno a superare le tensioni generali e i sovranismi locali – il virus più difficile da debellare – per instaurare una globale condivisione dell’informazione e della solidarietà tra i Paesi del mondo e realizzare una più ampia cooperazione internazionale?
In altre parole, il cambiamento più importante è quello culturale: un nuovo modo di concepire la vita individuale e collettiva che sia decisivo per le sorti del pianeta. «La salute dei cittadini viene prima di ogni altra considerazione!» è la frase che i leader del mondo pronunciano in questi giorni e, si spera, non solo per il tempo della crisi socio-sanitaria, quando chiedono sacrifici ai loro governati per sconfiggere il nemico invisibile. Ritorneremo a stringerci la mano e ad abbracciarci, tuttavia, quando cominceremo a contrastare la visibile disumanità del neoliberismo al servizio del capitalismo finanziario, che considera da sempre tutto come un business, compresa la salute dei cittadini, e intende la globalizzazione come libera circolazione delle merci, ma non degli esseri umani.
Proprio in queste settimane, passano sul web le immagini satellitari che mostrano una significativa diminuzione dell’inquinamento atmosferico sul territorio cinese e, in Italia, sulla Pianura Padana. La produzione industriale diminuisce, spariscono le nuvole di gas tossici sulle zone più inquinate e, insomma, il pianeta Terra respira meglio. Di fronte alle emergenze planetarie come la pandemia da COVID-19 e il global warming, il surriscaldamento globale del pianeta, con i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici in atto, speriamo che quelle immagini servano per ampliare la consapevolezza degli esseri umani sulla loro condizione esistenziale e, soprattutto, per chiedere una maggiore responsabilità ai governanti/padroni del mondo, quando organizzeranno gli scenari economico-politici, sociali e ambientali per la società globale del futuro.