La collina di Pizzofalcone, anche conosciuta come Monte di Dio, fa parte del quartiere di Napoli San Ferdinando. Più controversa è invece l’etimologia dell’altro nome, Echia, anche detta dai letterati Egla, come la ninfa. Il suo nome risale alla metà del Duecento, quando il re Carlo I d’Angiò decise di dedicarsi a una delle sue passioni e, proprio sulla collina, fece costruire una falconiera per la real caccia di falconi.
Oggi è possibile raggiungere la collina anche grazie a un ascensore attiguo al ponte, creato dagli spagnoli nel 1636, poi ristrutturato da Ferdinando II di Borbone nel 1834. La vicinanza al Palazzo Reale ha fatto sì che, in epoca borbonica, molte famiglie nobili decidessero di edificare a Pizzofalcone palazzi prestigiosi. Come raccontano Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza nel libro Le ville di Napoli: Ricordiamo tra tutti il maestoso Palazzo Serra di Cassano, teatro dei drammatici eventi del 1799 e ora sede dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici e più oltre sulla salita la sede della “Scuola Militare Nunziatella” nata con il nome di “Reale Accademia Militare” per decisione di Ferdinando IV. Prima della costruzione del ponte, invece, non era semplice raggiungere Pizzofalcone dalla strada di Chiaia, era possibile accedervi, infatti, soltanto grazie a scomode rampe.
Il poeta Bernardino Rota, a cui è stata dedicata una strada vicino via Duomo, nato a Sorrento e morto a Napoli nel 1575, in zona possedeva una villa suburbana che celebrò nell’epigramma dal titolo Ad Aeglam de villa sua. Versi latini che si attennero all’ideale classico del locus amoenus recuperato dagli umanisti: Tu mi consenti di scorgere da una piccola altura da una parte le Naiadi che nuotano sull’acqua dall’altra le Napee che vagano in luoghi ameni, folti di cedri. Tu mi consenti di vedere le insenature di Posillipo, la distesa del mare e i suoi anfratti e soprattutto il venerabile sacello di Marone.
Scipione Ammirato, erudito e poeta nato a Lecce, ha scritto invece una descrizione dettagliata del giardino e della stessa villa ne Il Rota overo dell’imprese. Si tratta di un dialogo tra quattro amici che visitano prima il giardino, denominato la Ruota, e che si fermano poi a leggere le varie iscrizioni in marmo. Delle mura racchiudono l’ampio spazio verde ma vengono interrotte dalla presenza di quattro porte, ognuna di queste sovrastata da iscrizioni, aprendosi poi verso un altro giardino. L’interno della villa fu dipinto, secondo volontà del Rota, con raffigurazioni delle 46 imprese, rappresentazioni simboliche formate da un motto e da una figura che vicendevolmente si interpretano, dedicate alla defunta moglie del poeta Porzia Capece. La Villa di Bernardino Rota era di stile palladiano, con una pianta a croce greca, una loggia sulla facciata, un salone centrale e otto stanze disposte lateralmente, dove le 46 imprese erano distribuite. Oggi purtroppo non ci sono tracce di questa villa anche perché, nel 1587, l’ultima proprietaria, Costanza del Carretto Doria, decise di donare l’abitazione ai Teatini insieme al proprio palazzo per farvi costruire un tempio dedicato alla Vergine.
Pizzofalcone, alla Salita Echia n. 44, accoglie poi Villa Carafa: Andrea Carafa della Spina, conte di Santa Severina, in un’epigrafe così si espresse: LUCULLUM IMITATUS PAR ILLI ANIMO, OPIBUS IMPAR, VILLAM HANC A FUNDAMENTIS EREXIT […] – Imitando Lucullo, a lui pari per intelligenza impari per ricchezze, eresse questa villa dalle fondamenta. Si tratta infatti di una bellissima dimora, una villa “fortificata” che ricordava la forma di una nave, aperta su tutti e quattro i lati, permettendo così di avere incredibili panorami di mare e terra, circondata da giardini definiti degni delle Esperidi per la bellezza dei giochi d’acqua e per le antichità che vi erano disseminate. Carlo Celano a proposito di questa villa ha detto: un palagio che né più bello, né più raro, né più delizioso trovar si potea per l’Italia. Era questo formato in isola a modo di fortezza che aveva ampi appartamenti a tutti i quattro venti principali per godere di tutte le stagioni; era così numeroso di stanze che poteva dar comodità grande ad ogni numerosa famiglia d’ogni grand principe.
La villa passò poi a Ferrante Loffredo, marchese di Trevico, che la ampliò e abbellì ulteriormente; nel 1653 fu poi acquistata dal viceré Conte d’Ognate che la adibì a presidio militare. Infine, nel 1670, il viceré Pietro d’Aragona, sfruttando lo spazio ampio dei giardini, la ampliò ancora di più. Una parte della villa, in epoca borbonica, divenne poi Officio Topografico, uno tra i primi enti cartografici di Stato in Europa che oggi ospita l’Archivio militare con un giardino di 2100 metri quadri.
Ha gran ragione il S. Marchese di Trivico di gloriarsi più del suo Pizzofalcone, che altri non fa d’un regno. La vista delle case, e de palazzi fondati per questo monte dolcissimo toglie il gusto d’ogni altra cosa. Et insomma questa Egla gentilissima non possette esser altro che una ninfa tutta melata, tutta fiorita, tutta profumata.