Dal 27 febbraio è in libreria Il tempo che resta (Alessandro Polidoro Editore, 2020), il secondo romanzo di Michelle Grillo, nel quale la scrittrice e giornalista nata a Nizza, ma salernitana di adozione, ci regala un personaggio memorabile. Anna è una donna nata e cresciuta in una contrada dell’avellinese che ha conosciuto fin dalla nascita la marginalità fisica, familiare e sociale e ha sperimentato quel sentimento di inadeguatezza che l’accompagnerà per l’intera esistenza.
Fin dall’incipit – Sono morta ma nessuno se n’è accorto. Non ricordo di preciso com’è successo –, la protagonista della storia ci introduce nel microcosmo chiuso di un istituto dove passa le sue giornate in compagnia delle coinquiline, mal sopportando i colloqui con una psicologa e le medicine da prendere per tentare di ricordare quel passato da cui la sua mente è fuggita.
L’inizio è claustrofobico, fissato in una dimensione atemporale, ma proprio da qui inizia l’apertura narrativa essenziale e densa dell’autrice che ci coinvolge, grazie alla capacità di descrivere ambienti, psicologie e comportamenti differenti, anche quando parla di personaggi minori. E la narrazione prosegue senza cali di tensione, alternando capitoli incentrati sui giorni della protagonista segnati da azioni ripetitive, presenze fantasmatiche e oggetti metaforici – per esempio Rachele la pazza e la clessidra – e capitoli dove affiorano i ricordi e le emozioni della sua vita passata.
La storia che Anna racconta a se stessa e a noi lettori ci parla di un’infanzia segnata dalla povertà che gli altri – dalla scuola al mondo del lavoro e alle relazioni amicali – giudicano come se fosse uno stato di minorità se non una colpa. La vita familiare, d’altra parte, nonostante la presenza affettiva bonaria ma non determinante del padre contadino, della sorella Sabrina e del fratello Michele, è dominata dal realismo crudele di una madre che riesce a trasformare in disvalore persino il valore delle capacità intellettuali della protagonista, perché non producono effetti pratici immediati sulla miserabilità dell’esistenza quotidiana.
Le vite lacerate che Michelle Grillo ha raccontato anche nel suo romanzo d’esordio Io sono qui rappresentano storie personali collocate in uno spazio storico e geografico e, al tempo stesso, l’eterna commedia umana drammaticamente divisa tra il desiderio di una vita diversa e la ripetuta e forse irrimediabile sconfitta. Ma non è questa la vita? riflette la protagonista. Un perenne tenersi in equilibrio tra ciò che immaginiamo di costruire e quello che invece ci si presenta davanti.
Alla fine del romanzo, insomma, la drammatica storia di Anna e la sua inadeguatezza nello stare al mondo ci sembrano familiari: una paura indefinita, a volte senza oggetto, che si manifesta in forma di un’ansia generalizzata che domina le psicologie individuali e la vita sociale.
In tal senso, Il tempo che resta è una preziosa sintesi narrativa nella quale si specchiano in parte le nostre vicende personali e che descrive bene la socialità liquida, orfana dei punti di riferimento tradizionali e in eterna e forse illusoria attesa del cambiamento, che costituisce l’orizzonte esistenziale contemporaneo.
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