Come ogni evento tragico italiano che si rispetti, anche questa volta abbiamo scoperto la caratura e la qualità della sanità nostrana dopo l’emergenza del coronavirus che ha costretto a casa l’intero Paese. I nostri politici hanno fatto a gara per complimentarsi con i medici, a dare pacche sulle spalle agli infermieri e a mostrare vicinanza a tutti gli operatori sanitari. Un po’ come quando ci complimentiamo con i giornalisti se uno di questi viene minacciato ma nel frattempo ce ne freghiamo degli stipendi ridicoli riservati alla categoria oppure come quando, ai tempi delle stragi del ’92, c’era chi piangeva la morte di Falcone dopo averlo delegittimato in vita.
Con le dovute differenze del caso, infatti, anche questa volta – a posteriori – ci siamo riscoperti tutti profondi ammiratori delle professionalità del settore, sia noi cittadini privati sia politici. Ma c’è una differenza: noi, i privati, facciamo bene a farlo perché quotidianamente mettiamo le nostre vite in mano a esperti che se ne prendono cura e, spesso, anche in maniera egregia, senza che possiamo fare nulla per migliorare le condizioni della sanità, mentre i nostri rappresentanti non avrebbero molto da vantarsi, considerando i danni che le loro scelte hanno causato.
Lo scorso 13 febbraio l’Italia intera lodava – e ci mancherebbe altro – Francesca Colavita, ricercatrice di Campobasso che era riuscita a isolare un caso di coronavirus: tutti l’abbiamo applaudita e l’ospedale Spallanzani – che già aveva avanzato la proposta di assunzione – ne ha elogiato la vocazione per la ricerca piuttosto che per l’assistenza, nonché per la lodevole attività professionale che ha assicurato nell’ambito dell’emergenza sanitaria attuale. Quanto, invece, i governi che si sono succeduti hanno sostenuto la ricerca in questi anni?
Stando ai dati che emergono dal Gruppo 2003 inseriti all’interno del Libro bianco, dal 2007 al 2016 c’è stato un taglio alla spesa pubblica per la ricerca pari al 21% con un investimento nel settore corrispondente all’1.34% del PIL in contrasto con la media europea che si aggira attorno al 2%. Questi dati sono accompagnati da un taglio del 14% nei confronti delle università statali, portando a una lesione totale delle risorse di 2 miliardi di euro.
Dal momento che l’ambito della ricerca scientifica appartiene al settore terziario, è utile sottolineare come l’Italia nel 2017 abbia speso in tale settore 5.5 miliardi di euro, ossia lo 0.3% del PIL, a differenza dello o.7% degli altri Stati europei. A ciò si aggiunge la situazione dei vari reparti ospedalieri – con i quali noi cittadini ci troviamo quotidianamente a fare i conti – che negli anni hanno subito tagli su tagli, incidendo su uno dei servizi pubblici essenziali più vicino alle esigenze della popolazione.
Come sottolineato in un recente report dell’Osservatorio Gimbe, dal 2010 al 2019 vi è stata una decurtazione delle risorse per la sanità pubblica di 37 miliardi di euro all’interno dei quali vanno considerati 25 miliardi – dal 2010 al 2015 – di tagli stabiliti dalle diverse manovre finanziarie e 12 miliardi – dal 2015 al 2019 – calcolabili in base al definanziamento del Sistema Sanitario Nazionale. È giusto riconoscere che questi deficit provengono in gran parte dalla tragica crisi finanziaria del 2008 che ha portato alle rinomate politiche di spending rewiew che hanno riguardato tutti i settori pubblici, dall’istruzione sino ai beni culturali. Tuttavia, non si può ignorare che in questi anni abbiamo assistito a incredibili casi di malasanità, laddove per essa non si devono intendere solo gli errori tecnici effettuati da medici.
Per quanto questi abbiano inciso e incidano talora gravemente e profondamente sulla vita delle persone, infatti, hanno un peso ancora maggiore sulla collettività gli scandali che hanno travolto il settore-salute: innanzitutto, facciamo riferimento alle varie Aziende Sanitarie Locali sciolte per infiltrazioni mafiose (Pomigliano D’Arco, Locri, Vibo Valentia, Caserta), a dimostrazione dell’ormai chiara attitudine dei clan a entrare in giri d’affari piuttosto fruttuosi e in ambienti frequentati dai colletti bianchi. Ma ci riferiamo, anche, alla disparità tra sanità pubblica e sanità privata, con la seconda che cresce sempre di più a discapito della prima in barba all’uguaglianza sociale di cui parla l’articolo 3 della Costituzione. Fattori che hanno segnato persino uno dei cosiddetti modelli virtuosi, ossia quello lombardo, che ha visto l’ex Presidente di Regione Roberto Formigoni condannato in via definitiva per corruzione dopo che per anni aveva ricevuto benefit e tangenti da parte di cliniche private in cambio di favori.
Un quadro di questo tipo, dunque, non può non far emergere un sistema sanitario che da tempo non è considerato prioritario dalla classe politica, la quale stenta ad agevolare le attività di ricerca scientifica e a elargire fondi fondamentali per il settore, senza considerare la mancanza di adeguati mezzi di controllo centralizzati che servirebbero a gestire l’eccessiva discrezionalità delle Regioni.
Approfittiamo di queste settimane in cui siamo bloccati, dunque, per fermarci a riflettere, analizzando le difficoltà che abbiamo nel fronteggiare una simile crisi e il da farsi necessario per prevenire le possibili altre. Smettiamola di scoprire i problemi solo quando scoppiano le emergenze: questa si chiama ipocrisia.