Due villette familiari a schiera, poste una accanto all’altra: una donna bionda corre dalla prima e si infila furtivamente nella seconda, dove comincia ad armeggiare con qualcosa. La macchina da presa segue tutto fluidamente. Una donna bruna rientra con il figlioletto nella sua abitazione, in cui è nascosta la bionda. Trova le tende del salotto stranamente chiuse, nonostante le abbia lasciate aperte. Le apre con esitazione e al di là di esse trova l’altra con amici e marito che le hanno preparato una festa a sorpresa. Questo l’ansioso incipit, nonché il primo di tanti depistaggi di Doppio sospetto, il noir/thriller psicologico, tratto dal romanzo Alice (Derrière la haine) di Barbara Abel, diretto da Olivier Masset-Depasse, vincitore nel 2020 di nove premi Magritte – tra cui miglior film e regia –, ovvero gli Oscar del Belgio.
Le due abitazioni contigue, in cui si svolge il film, sono emblematiche di due nuclei familiari composti entrambi dai genitori e un unico figlio, sui 7-8 anni. Le due madri, centro emotivo della vicenda, sono una bruna, più grande di età, e una bionda, più giovane. La contrapposizione sia estetica che psicologica delle due donne è significativa e tipica del genere noir che vede confrontarsi spesso due tipologie femminili di segno opposto. L’una volitiva e solare, l’altra più ombrosa e chiusa in se stessa. Entrambe affettuosissime con i propri figli, hanno sviluppato un’intensa amicizia, dovuta alla prossimità delle due abitazioni, e così anche i bambini sono cresciuti come fratelli. Il quadretto alto-borghese è decisamente idilliaco e la contestualizzazione temporale degli anni Sessanta amplifica e giustifica tale quadro in cui le mogli rimangono a casa con i figli mentre i mariti vanno a lavoro.
Questo patinato equilibrio si rompe quando il bambino di Céline muore accidentalmente e Alice assiste impotente all’accaduto. La madre, sconvolta, accuserà l’amica di non aver fatto nulla. Da qui parte un vortice di paranoia, da parte di Alice, e di apparente manipolazione, da parte di Céline, che porterà a una serie di drammatici eventi e colpi di scena che non allenteranno più la tensione alla gola di chi assiste fino allo spiazzante finale.
Doppio sospetto gioca molto bene al gatto con il topo, sia tra le due donne protagoniste, ma anche ovviamente con lo spettatore che, come si diceva all’inizio, è continuamente sviato da eventi che sembrano propendere a volte per la paranoia di Alice, convinta che Céline voglia vendicarsi per il figlio perduto, a volte per l’innocenza di quest’ultima che, complice la magistrale interpretazione di Anne Coesens – giustamente premiata ai Magritte –, gioca con sguardi che riescono a essere dolci, disarmati, ma al tempo stesso terribilmente ambigui.
La storia viene vissuta per lo più dal punto di vista di Alice, la bionda Veerle Baetens – famosa per l’interpretazione di Alabama Monroe (2013) –, che gareggia con la Coesens in estrema bravura e intensità. Lo spettatore dunque empatizza facilmente con lei, presa in questo gorgo di paranoia nei confronti della mite vicina. Perfino il marito arriverà a nutrire sospetti sulla sua salute mentale. Non possiamo ovviamente svelare di più se non dire che soltanto nel terzo atto della vicenda i dubbi verranno sciolti.
Masset-Depasse dichiara di adorare Hitchcock e Sirk e si vede. Il primo per quanto riguarda la gestione della tensione, l’utilizzo dei claustrofobici spazi delle villette, nonché nelle infinite sfumature delle interpretazioni delle due grandissime attrici. L’ossessione e la morbosità che man mano si impossessano del film sono le stesse che il re del brivido inoculava nelle sue torbide vicende, prima su tutte La donna che visse due volte (1958).
Di Douglas Sirk, maestro americano del melodramma anni Cinquanta e autore di capolavori come Lo specchio della vita (1959), riprende la scintillante e colorata patinatura con cui questi ritraeva gli interni borghesi in cui si consumavano oscure tragedie familiari, specchio appunto di una società ipocrita e malata.
La composizione delle inquadrature che gioca con la profondità di campo, ovvero tenendo a fuoco, all’interno dello steso fotogramma, uno dei due personaggi e spostando il fuoco dall’uno all’altro, determinando un’attenzione ansiogena nei confronti di ciò che si muove nell’interiorità distorta delle protagoniste, richiama infine il miglior De Palma, a sua volta il più hitchcockiano tra i registi. Anch’egli giocava sul tema dell’ambiguità e del doppio – Le due sorelle (1972), Omicidio a luci rosse (1984). Non a caso il titolo originale del film è Duelle, che sta sia per duello, ma anche per doppio, duale.
È l’archetipo materno a sdoppiarsi qui in due declinazioni opposte: quella solare di Alice e quella oscura di Céline. Entrambe rappresentano due figure femminili in cui il ruolo materno predomina su tutto il resto della personalità ma, mentre la seconda resta, come è normale che sia, imprigionata nel dolore per la perdita del figlio, la prima riesce ancora a esprimere una propria sessualità. Sono comunque due aspetti complementari di quell’archetipo della Grande Madre che riaffiora spesso nella cinematografia moderna e che illumina lati oscuri e terrificanti del femminile materno. Guardare alla prole come un’estensione di sé è una cosa naturale ma, a volte, può diventare vorace e morboso e trasformarsi appunto in quella che veniva definita la Madre Terribile, ovvero l’aspetto oscuro e lunare di suddetto archetipo, incarnato per esempio dalla dea Ecate.
Non mancano inoltre echi da David Lynch, sia per la contrapposizione bionda/bruna–luce/oscurità che richiama quella di Mulholland Drive (2001), sia per lo scintillio luccicante con cui viene tratteggiata la compassata vita borghese delle due famiglie, facciata artificiosa che nasconde passioni e sentimenti estremi, pronti a deflagrare con violenza.
Doppio sospetto – quando impareranno i distributori italiani a impegnarsi in titoli meno banali? – si rivela un perturbante noir psicologico di ottima fattura che sa tenere lo spettatore incollato allo schermo fino all’ultimo e che vive di suggestioni hitchcockiane declinate con grande efficacia, riuscendo a mantenersi sempre sul filo della credibilità, ovvero un passo indietro rispetto a quell’eventuale strafare di tanti thriller americani che, a furia di colpi di scena e sotto-finali, minano la sospensione dell’incredulità dello spettatore. Nel film di Masset-Depasse questo non succede, per fortuna. Si viene traghettati così in un viaggio nel lato oscuro del materno dal quale se ne esce sicuramente inquietati e spiazzati. Quasi inevitabile il remake americano che è già in produzione, con lo stesso Masset-Depasse alla regia, e che potrà contare su un budget decisamente superiore. Auspichiamo che si mantenga su quello stesso riuscito equilibrio su cui regge il Doppio sospetto originale.