Allarme rientrato: in Italia il ciclo mestruale è ancora un privilegio. Lo scorso maggio ci eravamo lasciate così, con l’ennesima bocciatura della Tampon Tax. A nove mesi di distanza, nonostante i recenti sviluppi, possiamo ripeterlo senza ironia alcuna: essere donne costa e pure assai. A chi dice il contrario rispondete a tono, sta sostenendo il falso.
A dimostrarlo, ancora una volta, è la Scozia, quella meravigliosa terra d’Oltremanica che non smette mai di dare lezioni di civiltà, all’Italia ovviamente ma, anche, al resto del mondo. È proprio da Edimburgo, infatti, che giunge notizia del Period Products Scotland Bill, la proposta di legge approvata lo scorso 25 febbraio che rende gratuiti gli assorbenti e i prodotti igienici femminili in generale in tutto il Paese. Approvato con 112 voti a favore, il provvedimento passa ora alla seconda fase dell’iter parlamentare ma si appresta già a fare la storia.
La legge prossima alla promulgazione sarà, infatti, la prima al mondo nella sua fattispecie e consentirà la distribuzione totalmente gratuita dei prodotti sanitari femminili in ogni farmacia, centro sociale e luogo di aggregazione giovanile. La proposta è stata avanzata dalla laburista Monica Lennon, che ha definito la probabile approvazione definitiva quale pietra miliare nella normalizzazione delle mestruazioni in Scozia, un segnale di quanto seriamente il Parlamento prenda l’uguaglianza di genere.
Già in passato, la Lennon si era fatta portatrice di un’altra battaglia, quella che a oggi suona come la giusta anticamera di un provvedimento tanto necessario quanto unico. Nel 2018, infatti, la Scozia era diventata la prima nazione al mondo a fornire i prodotti sanitari femminili nelle scuole, nei college e nelle università senza alcun costo per le donne costrette a farvi uso. Il progetto, dapprima avviato nella città di Aberdeen e poi esteso a tutto il Paese, aveva previsto una manovra economica da circa 5.2 milioni di sterline e l’opportunità per 395mila ragazze di prendersi cura di se stesse salvaguardando l’igiene intima e, dunque, la salute. Ma anche evitando una qualsiasi forma di disagio fisico e psicologico, altro fattore assolutamente da non sottovalutare.
Nella stessa direzione si muove, quindi, il Period Products Scotland Bill. Come la precedente, anche questa iniziativa – con una spesa che si aggira intorno ai 30 milioni di euro – mira a combattere la povertà da ciclo, anche chiamata povertà mestruale, che colpisce troppe donne e non solo nel Regno Unito. La sua approvazione, dunque, rappresenterebbe un monito al mondo intero: gli assorbenti non sono beni di lusso.
In media, si stima che nel corso della sua vita fertile una donna abbia dai 460 ai 520 mestrui con una spesa annua che varia in base alla necessità di ciascuna ma che, con il tempo, raggiunge cifre a cui non sempre – e non tutte – hanno possibilità di accesso. Persino nella benestante Scozia, dove spesso le ragazze sono costrette a restare a casa nei loro giorni no per non gravare eccessivamente sul bilancio familiare che ostacola, così, la frequenza scolastica. Anche per questo, la Lennon ha ribadito l’importanza di un cambiamento culturale che dal suo Paese deve necessariamente estendersi a tutti gli altri affinché le donne smettano di essere penalizzate per una funzione corporea naturale che già di per sé sa come imbarazzare.
Se la Scozia veste i panni della pioniera, però, anche l’intero regno di sua maestà non resta a guardare. Lo scorso gennaio, infatti, a pochi giorni dalla Brexit, la gratuità di assorbenti e tamponi è stata approvata per tutte le scuole pubbliche e i college fino ai 19 anni. Un passo avanti che segue la tassazione al 5% dei period products che, dal 2000, è tra le più basse in Europa. Ma se David Cameron aveva tentato di cancellare la cosiddetta Tampon Tax, è oggi una donna, Nicola Sturgeon, Primo Ministro scozzese, a gridare forte quello che è un vero e proprio diritto, il libero accesso a inevitabili beni di prima necessità. Un sillogismo estremamente semplice, eppure di difficile comprensione in Italia.
Nel nostro Paese, infatti, dopo varie bocciature, è di qualche mese la riduzione dell’Imposta sul Valore Aggiunto dal 22 al 5% su tamponi e assorbenti. Una notizia che avrebbe dovuto farci saltare di gioia e che, invece, ancora una volta ha lasciato l’amaro in bocca, complice la specifica aggiunta a quello che avrebbe potuto essere un trionfo di civiltà. L’emendamento approvato, la cui firmataria è Vita Martinciglio del MoVimento 5 Stelle, prevede, infatti, che a beneficiare di una tassazione favorevole siano soltanto i prodotti compostabili e biodegradabili – diversi tra loro in termini di smaltimento: tre mesi circa i primi, sei i secondi –, vale a dire prodotti esclusivi.
Stando ai dati resi noti dall’Associazione dei Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) e riportati anche da Il Fatto Quotidiano, quelli agevolati rappresentano meno dell’1% del totale, vale a dire lo 0.2% di quelli venduti in farmacia e lo 0.6% di quelli venduti nei supermercati. In pratica, su quasi 193 milioni di assorbenti comprati, soltanto 1 milione può usufruire di un’aliquota scontata. Inevitabilmente, anche al netto di un’IVA più bassa, gli assorbenti bio costano mediamente più di quelli smerciati di solito e si acquistano soltanto online o nei negozi preposti. Pochi marchi, prezzi alti, scarsa reperibilità ma, anche, dubbi sulla raccolta e sullo smaltimento che, chiarisce SANICOT – unico produttore italiano garantito da Certiquality – vanno verificati con il Comune di appartenenza per stabilire se gettarli nell’umido o nell’indifferenziato, ma solo se raccolti separatamente, dentro un sacchetto ovviamente bio o previa sanificazione.
Da amica dell’ambiente, dunque, la norma resta poco chiara. Abbassa l’IVA sui prodotti bio e su quelli lavabili ma non sulla coppetta mestruale che – sebbene non compostabile – dura comunque 10 anni. Forse è per questo che, con un’uscita infelice e fallocentrica, il deputato a 5 Stelle Francesco D’Uva aveva osato suggerirla alle sue colleghe quale alternativa ai più tradizionali assorbenti. Uno strumento che, tuttavia, insieme ai prodotti lavabili, sembra sposare a pieno quella pratica sempre più diffusa di riportare le donne a un ruolo antico, marginale, che demonizza le mestruazioni e impedisce il normale svolgimento della quotidianità di chi ne è segnato per pochi giorni al mese.
Quello che doveva essere un incentivo si è trasformato, dunque, in una vittoria mutilata, seppur accolta benissimo non solo dal Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ma, anche, da molte delle esponenti bipartisan che avevano fatto propria questa battaglia. Perché se è vero che i prodotti sanitari femminili inquinano, è pur vero che l’assunto da cui partire – soprattutto in un Paese che fino a ieri li promuoveva con un’IVA da capogiro, al contrario di tartufi e francobolli da collezione – era un altro, vale a dire la discriminazione che vede le donne costrette a sacrifici economici importanti pur di rispondere al flusso naturale della biologia, senza contare quelli a cui purtroppo non si può in alcun modo ovviare in termini psicofisici. Una discriminazione affatto equa che, tuttavia, in Italia ancora fatica a essere riconosciuta come tale.
Normalizzare il ciclo, invece, come sostenuto da Monica Lennon, è il solo primo passo per una svolta culturale improrogabile che, realmente, mira a contrastare la disuguaglianza e a promuovere la parità di genere. Piuttosto che abbassarla su quelli bio, dunque, l’IVA andrebbe ridotta, anzi, cancellata su tutti i period products, nella speranza – certamente vana, in Italia – di poter raggiungere anche qui la sacrosanta gratuità. Perché se il mestruo non è una scelta, essere donna è un diritto.