Nel romanzo Un tiro mancino (L’Erudita, 2019), da poco uscito nelle librerie, Monica Florio, scrittrice e giornalista napoletana, ci racconta la storia di tre adolescenti, Milena, Veronica e Marco, e soprattutto della loro sofferta amicizia nell’odierna vita quotidiana dominata dal conformismo psicologico e sociale che si manifesta in maniera violenta, a volte, con l’omofobia e, in generale, con l’intolleranza nei confronti della diversità che trova espressione nel narcisismo digitale.
Le tredicenni Milena e Veronica, compagne di scuola, hanno personalità diverse. La prima vive con disagio l’epoca attuale della performance, la seconda è ossessionata, invece, dall’ambizione di essere al passo coi tempi e le scelte dettate dalla società dello spettacolo. Quando incontrano Marco, un bel ragazzo di due anni più grande di loro, entrambe se ne innamorano. L’una perché lo sente vicino alla sua insofferenza nei confronti del mondo che li circonda e li vuole complici di un pensiero e di comportamenti omologati, l’altra soprattutto perché attratta dal suo fascino, reso ancora più irresistibile dal comportamento discreto del giovane.
Quando Marco rivelerà a Milena il segreto della sua vita, la situazione precipiterà e la rivalità sentimentale tra le due diventerà scontro. Le conseguenze per il loro giovane amico, in effetti, saranno gravi quando la sua scelta sessuale sarà incautamente resa pubblica e oggetto dell’omofobia, una piaga sempre più presente nella vita sociale, che trova una drammatica cassa di risonanza nel conformismo della comunicazione digitale, che talvolta si trasforma in violenza verbale e addirittura fisica.
Già con la raccolta di racconti Il canto stonato della Sirena (Il mondo di Suk, 2012), Monica Florio ha dato prova di riuscire a narrare le storie di vita di personaggi emarginati dalla vita sociale per la loro diversità psicologica, sessuale ed esistenziale. In seguito, con i romanzi La rivincita di Tommy. Una storia di bullismo omofobico e Ragazzi a rischio. Una nuova avventura per Tommy (La Medusa, 2014 e 2016), e anche con Acque torbide (Edizioni Cento Autori, 2017), la sua produzione letteraria si è incentrata sul genere young-adult, una narrazione dedicata al pubblico giovane, i giovani adulti, ragazzi compresi indicativamente tra i dodici e i diciotto anni.
A differenza del romanzo di formazione, dove viene privilegiata la psicologia del personaggio centrale, nella narrazione young-adult la dimensione della storia diventa più ampia, più attenta al disagio giovanile causato dalle pressioni sociali che influiscono, spesso nel male più che nel bene, sulle relazioni familiari e amicali di tanti ragazzi in uno dei periodi più importanti dell’esistenza.
In Un tiro mancino, il materiale narrativo è sviluppato con grande maestria e con una sorprendente conoscenza degli stili di vita e dei comportamenti dei ragazzi di oggi, unita alla comprensione e al rispetto – ci piace sottolinearlo – per le vite di tutti i personaggi, anche quelli negativi, pur restando ferma la denuncia morale per i problemi più gravi che affliggono la società contemporanea.
Come l’omofobia, per esempio, un fenomeno sottovalutato – come ha ripetuto l’autrice napoletana anche alla prima presentazione della sua nuova opera al Centro culturale WeSpace di Napoli – più grave e diffuso perché fa leva sulle insicurezze e il narcisismo degli adolescenti, spesso lasciati da soli dagli adulti distratti dalla frenetica vita lavorativa e societaria.
Il malessere esistenziale che colpisce le identità in formazione, infatti, può risultare aggravato dalla scarsa attenzione delle istituzioni e dei ruoli chiave delle reti affettive di riferimento. In famiglia e a scuola, a volte, gli adulti si accorgono tardi e in maniera confusa dei problemi e delle insidie presenti negli adolescenti.
Nello svolgimento delle vicende narrate nel romanzo di Monica Florio, tuttavia, si intravede uno spiraglio etico importante. Proprio quando accadono fatti gravi, gli esseri umani possono uscire dalla dimensione individuale e fare gruppo. Uniti da un’inattesa solidarietà e con il fine di ricomporre quella rete affettiva lacerata dalle incomprensioni e dalla solitudine, giovani e adulti possono affrontare le crisi esistenziali, che fanno pur sempre parte di un comune destino, e trasformarle in nuove opportunità di vita individuale e sociale.
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