Il bullo che gioca a fare il fascista – come lo ha definito il filosofo Umberto Galimberti – e i pentastellati al governo con il Partito Democratico, ma da soli in Calabria, in Emilia Romagna e il mese prossimo a Napoli, sono la rappresentazione di una forma di contraddizione tutta italiana, fuori da ogni logica politica, nonché la garanzia di una sconfitta più che prevedibile. Un fenomeno certamente non paragonabile a qualche realtà a sinistra dove la volontà e la consapevolezza di raccogliere briciole pare faccia parte di un copione più che collaudato, una forma di masochismo che andrebbe approfondita dagli psicanalisti.
Il giocherellone che suona ai citofoni e non scappa ma chiede conto di qualche reato da mostrare agli assetati di giustizialismo di piazza è, però, anche la rappresentazione dell’inconsistenza gradita a quella parte di italiani che fino a qualche anno fa sghignazzava a ogni battuta o barzelletta di chi ha inaugurato la lunga stagione della politica da circo Barnum dei tempi dell’American Museum, il museo su cinque piani creato nel 1842 sull’angolo tra la Broadway e Ann Street a New York, tempio delle stranezze che Matteo Salvini ha incarnato in maniera ancora più trash.
Questa volta, però, l’ex Ministro dell’esterno in quel di Milano Marittima ha fatto prevalere la furbizia sull’intelligenza compiendo lo stesso madornale errore dell’altro Matteo, quel Renzi che trasformò un quesito referendario costituzionale in un vero e proprio referendum su se stesso con il risultato che sappiamo, proponendo una candidata alla presidenza della Regione Emilia ventriloqua con la voce del padrone. Salvini, però, saprà senz’altro stupirci con ulteriori effetti speciali estraendo da quel cilindro magico senza fondo dell’idiozia umana, altri elementi che possano soddisfare – come ho avuto occasione di affermare più volte – il piacere represso dei suoi fedeli fan e di quelli, come in Calabria, dal consenso più che spontaneo di dubbia provenienza.
La strategia dell’ex felpato, infatti, seppur becera, ha una sua logica orientata a seconda dei momenti, a volte vincente altre meno, capace di cogliere con destrezza i mal di pancia che scatenano la bile di una destra capace di vomitare il peggio, al contrario della tattica perdente dei pentastellati che di politica non ha nulla, se non il celebre criterio per principio – che nella filosofia eduardiana si identifica con la stupidaggine – ma che non vale sempre, affidato a una piattaforma che risponde al sentimento uterino di qualche decina o centinaio di militanti.
Dal singolare abbraccio con la Lega sovranista, avallando ogni forma di porcheria dell’alleato pur di andare al governo, all’accordo con il Partito Democratico, ma con il naso otturato verso gli stessi alleati in Emilia, in Calabria e a Napoli. Insomma, il profumo a Roma e la puzza altrove: sembra il titolo fantastico di un film del quale già si conosce il finale. Non a caso, la sconfitta clamorosa nella terra di Bonaccini ha visto il M5S ridotto a percentuali insignificanti a causa del ritenersi sempre e comunque vincenti per grazia ricevuta. I miracoli, però, non sempre riescono come si vorrebbe quando la realtà è tragicamente evidente.
Un’alleanza che avrebbe potuto essere strategica per arginare l’avanzata dell’ex alleato, eppure messa subito da parte pur di presentare un proprio nome perdente in partenza, come avverrà con certezza a Napoli nelle prossime elezioni di febbraio per un seggio senatoriale dove la supponenza degli esponenti locali – tutt’uno con quelli nazionali – non ha ritenuto di dover appoggiare l’indipendente Sandro Ruotolo candidato con una lista civica, scavandosi l’ulteriore fossa. Contraddizione delle contraddizioni, però, in questi giorni – riferisce la stampa cittadina – sono in corso riunioni segrete (?) che sembrano registrare guerre tra militanti contrari e favorevoli a una coalizione con il Partito Democratico per le prossime Regionali.
Un movimento altalenante e uterino, dunque, che trova compagni di strada in quella parte di società napoletana definita troppo frettolosamente classe intellettuale, capace nelle occasioni più disparate di aggregarsi in appelli sottoscritti a braccetto con cariatidi della politica, esponenti della vecchia destra fascista accomunati a rispettabili nomi di quello che fu il PCI ma rabbiosi da circa nove anni nei confronti di chi è stato eletto democraticamente, fuori dal sistema degli inciuci di compari e comparielli che credevamo avesse fatto il suo tempo dopo aver portato la città al collasso. Una vera capacità quella di far finta di non sapere, di non ricordare nomi e cognomi di Sindaci che con la loro nullità hanno lasciato il segno.
Fin qui, quindi, quanto si registra tra sconfitte avvenute e prossime a venire, il tutto con un capo politico di recente dimessosi – fin troppo in ritardo – e un reggente incapace, o peggio imbavagliato dalla proprietà, di fare un’analisi seria sui disastri che stanno travolgendo i 5S dalle Europee a oggi con una prospettiva di ulteriore debacle dai contorni fin troppo chiari.
Abbiamo più volte sostenuto le ragioni che riteniamo siano alla base di quella che erroneamente si continua a definire crisi del MoVimento, un fenomeno transitorio che, in realtà, ha radici identitarie ben circoscritte nel suo essere nulla se non la rappresentazione di un pensiero indefinito, anche in ragione delle troppe anime di provenienza diversa – sebbene sempre più si evidenzi il carico di elettorato immigrato da Forza Italia e AN –, il cui voler essere fuori dalle logiche di destra e sinistra ha infoltito le fila del qualunquismo politico già fin troppo ingolfato.
La voglia di protagonismo da autonomia da mostrare ufficialmente – salvo poi fare accordi con la Lega fascista di Matteo Salvini o con il PD di Zingaretti per ragioni di opportunismo e di potere –, il voler esserci a tutti i costi nei palazzi nascondendosi dietro definizioni di comodo la cui furbizia, in assenza di intelligenza, è alla pari dell’ex alleato. Ma sarà in grado la proprietà del MoVimento di recuperare il recuperabile pur di non disperdere un patrimonio di voti già compromesso? Se la risposta sarà unicamente affidare le sorti dei 5 Stelle a uno degli esponenti della prima ora sorprendentemente tenutosi fuori dalle competizioni elettorali o, meglio, voluto fuori in attesa del momento opportuno, il Paese avrà la sventura di ritrovarsi sulla scena un altro campione del facite ammuina e allora il sipario calerà definitivamente sul teatro della politica mediocre e dannosa.
È da riconoscere che le responsabilità del degrado della politica non sono per niente imputabili unicamente ai soggetti e alle realtà fin qui esposte. Da qualche decennio, infatti, l’elettorato si sposta sempre più a destra grazie anche a quelle anime della sinistra sognante e autoreferenziale che gioisce per la conquista di uno zero e qualche decimale ottenuto con i denti, ma sempre più assente dalle aule parlamentari anche in vista di un sistema che da parte di varie forze è auspicato come sempre più proporzionale, contenta di poter mostrare, nel migliore dei casi, al pari di un trofeo anche un solo esponente nella massima sede istituzionale.
Confidiamo in una presa di coscienza di quanti ancora hanno spalle forti e schiena dritta, come ama dire un leader di casa nostra, di chi tutt’oggi affonda le proprie idee nelle radici di quei valori che la buona Politica ancora sa esprimere grazie a coloro che hanno a cuore le sorti di questo nostro Paese e nei principi non negoziabili impressi nella Costituzione.