La legittima difesa è da sempre un tema molto dibattuto in Italia, in particolare quando invocata per fatti accaduti nel proprio domicilio. Andando con ordine, si tratta di una causa di giustificazione prevista dall’art. 52 del nostro Codice Penale che permette che un fatto contemplato dalla legge come reato perda la propria rilevanza criminale consentendo all’autore di non essere punito se ricorrono i presupposti legislativi. Questa norma risponde all’insopprimibile esigenza di autotutela che si manifesta nel momento in cui lo Stato non è in grado di garantire una pronta ed efficace protezione dei beni giuridici individuali per la particolare situazione in cui l’offesa si manifesta. È una chiara deroga al monopolio statale dell’uso della forza ed è per questo disciplinata con stringenti limiti dal legislatore che ne fissa i presupposti.
La vittima dell’offesa ingiusta deve trovarsi, infatti, in uno stato di necessità, oltre che nella situazione di un pericolo attuale e di condizionamento psicologico nel porre in essere la reazione difensiva che in ogni caso dovrà essere proporzionata all’offesa. È proprio rispetto al requisito della proporzionalità che si sono sempre manifestate le maggiori perplessità nell’opinione pubblica, per l’ambiguità della definizione legislativa e per la conseguente discrezionalità di cui gode il giudice in sede di valutazione.
La modifica intervenuta con la Legge 36/2019 era stata invocata a gran voce da Salvini che, con tono giustizialista, riteneva che tali limiti contraddicessero il diritto di difendersi, in particolare quando si subisce una violazione di domicilio. La modifica riguarda l’introduzione dell’avverbio sempre al comma 2 della disposizione che lascia quindi intendere che, nel caso di violazione di domicilio, la presunzione di proporzionalità tra l’offesa subita e la reazione difensiva sia assoluta e che sia legittimo l’uso di un’arma legalmente detenuta per difendere la propria o l’altrui incolumità, o i beni propri o altri, quando non vi sia desistenza e vi sia pericolo di aggressione.
Con l’introduzione del quarto comma, invece, non è solo il requisito della proporzionalità, ma anche quello della necessità difensiva a essere presunto ogni qualvolta l’intrusione nel proprio domicilio avvenga con violenza o con minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica da parte di una o più persone. Dunque, si facilita di molto l’individuo nell’usare le armi per difendere la proprietà privata, ma a tale facilità non seguono regole più stringenti per il loro acquisto.
Di conseguenza, in Italia si è registrata una vera e propria corsa alle armi, frutto degli allarmismi della politica della paura che ha già mietuto le prime vittime e che rischia di trasformare il cittadino in garante della legge che si fa giustizia da sé e che si sostituisce a chi tale ruolo invece dovrebbe ricoprire. Si è quindi convinti che per difendersi sia necessario armarsi, anche se non è ben chiaro da quali pericoli bisogna proteggersi dato che i reati sono in calo, mentre sono vertiginosamente aumentate le richieste di porto d’armi. In particolare, il trucco che viene utilizzato è richiederlo per uso sportivo (stiamo parlando del +41.63%) e poiché è da escludere che tutti gli italiani si siano riscoperti grandi tiratori al bersaglio, è facile pensare che si tratti di un diversivo per non effettuarne la richiesta a uso difensivo che necessita invece di un iter molto più lungo e complesso. Un escamotage preoccupante che consente di detenere un vero e proprio arsenale di guerra, come nel caso di Luca Traini, l’autore dell’attentato a Macerata dello scorso anno, che deteneva legittimamente ben nove pistole senza che nessuno si fosse reso conto della sua pericolosità.
In Italia il tema delle armi è un vero tabù, motivo per il quale non ci sono molte indagini dettagliate sull’argomento. Tuttavia, i pochi dati a nostra disposizione forniti dallo Small Arms Survey denunciano che lo Stivale è il primo Paese europeo per numero di omicidi commessi con armi da fuoco, secondo nel mondo solo agli Stati Uniti in cui il problema è dilagante. Ben 4.5 milioni di persone in Italia hanno a portata di mano un’arma e gli omicidi commessi con armi da fuoco sono lo 0.7% ogni 10mila abitanti. Numeri paurosi se si considera che la corsa al grilletto non è giustificata da dati reali: solo nell’ultimo anno, lo ribadiamo, i reati sono diminuiti del 9.2%.
In verità, più che da deterrente per i malintenzionati, le armi diventano fonte di violenza e non fanno altro che acuire il senso di pericolo e di insicurezza in cui al momento versa il nostro Paese. L’emergenza che Matteo Salvini ha più volte richiamato è frutto di allarmismi e di statistiche che si scontrano con la realtà, la modifica della legittima difesa operata non era dunque così urgente e più armi non significano più sicurezza.
A tal proposito, nella campagna Addio alle armi, il giornalista e responsabile Stefano Iannaccone tenta di scardinare le fondamenta di tale ansia da autodifesa che si registra in Italia, dimostrando, con numeri alla mano, che i morti aumentano in maniera direttamente proporzionale all’aumento dei cittadini che hanno accesso alle armi.
Non è vero, dunque, che armarsi sia sentore di sicurezza né che i cittadini siano sempre legittimati a difendersi. Il rischio enorme, invece, è di regredire al modello di occhio per occhio, dente per dente che un Paese civile dovrebbe aver già abbandonato da tempo.