Dalle più antiche alle più recenti guide di Napoli non mancano mai le citazioni e i riferimenti ai più famosi viaggiatori che hanno provato l’emozione di giungere fino alla vetta di quel gigante addormentato alto 1281 metri che in vari periodi storici ha fatto sentire la sua potenza distruttiva, quel Vesuvio tanto caro a Johann Wolfgang von Goethe, Sir William Hamilton, François-René de Chateaubriand e Stendhal, ispirazione per Giacomo Leopardi, con la sua celebre La ginestra, Curzio Malaparte e tanti altri poeti, letterati e pittori. Alle falde di questo gigante è nato e ha vissuto la sua infanzia e giovinezza Roberto Michelangelo Giordi, un cantautore che ha mosso i primi passi in Italia volgendo lo sguardo sempre in direzione di una musica di qualità, lontana dai circuiti commerciali costruiti, e puntando a collaborazioni importanti fino a compiere la scelta di trasferirsi a Parigi, dove vive e lavora gratificato da un crescendo di consensi del pubblico. Lo abbiamo intervistato nel corso di una lunga e gradevole conversazione telefonica cercando di comprendere, oltre che il suo percorso artistico, le motivazioni del suo trasferimento in Francia.
Battesimo artistico con diploma al CET di Mogol nel 1999, collaborazioni importanti con artisti italiani e l’esordio con un primo disco nel 2011, Con il mio nome, accolto con favore dalla critica. Il tutto in Italia, seguito anche da altre significative esperienze…
«Ho cominciato a scrivere canzoni insieme ad Alessandro Hellmann e dopo il disco d’esordio, Con il mio nome appunto, ne ho prodotti altri tre: Gli amanti di Magritte (2012) che poi ha avuto una riedizione in Francia nel 2017 diventando Les amants de Magritte, Il soffio (2015) e, ultimo, Il sogno di Partenope che è un omaggio a Napoli e alle sue belle canzoni della tradizione».
Quale il genere di musica che ti caratterizza?
«Mi risulta difficile definire il genere musicale al quale appartengo. Potrei più facilmente menzionare degli esempi di musica che non mi piacciono. La musica prodotta in serie, senza ricerca e studio, la musica che si pone esclusivamente dei fini commerciali, ecco è quella che non mi piace! Se proprio è necessaria un’etichetta, posso dire di venire dal folk, dal jazz e dalla canzone d’autore, ma la maggiore soddisfazione la provo ascoltando la musica classica».
La canzone d’autore è più apprezzata in Italia o in Francia? E quali gli autori che apprezzi maggiormente nell’uno e nell’altro Paese?
«Attualmente la canzone d’autore vive un periodo di crisi profonda in entrambi i Paesi laddove nel secolo scorso, fino agli anni Ottanta, essa era una delle espressioni artistiche più efficaci per raccontare il tessuto sociale, l’amore – mai in maniera banale – e, soprattutto, le sfumature sonore della terra in cui le canzoni venivano scritte e prodotte. L’industria discografica aveva l’obbligo di salvaguardare i veri valori artistici, oggi invece è tutto nelle mani del libero mercato. A ogni modo, credo che in Francia la buona canzone d’autore sia più popolare che in Italia».
La tua avventura francese è cominciata anche grazie a un lavoro che accolto con i favori del pubblico d’Oltralpe. Ma cosa ha contribuito in maniera determinante al trasferimento a Parigi?
«L’avventura francese è cominciata nel 2015 quando ho capito che potevo raccontarmi anche al pubblico d’Otralpe che è sempre attento agli artisti che vengono dall’estero. Mi sono trasferito a Parigi per scelta e ho avuto la fortuna di trovare un’etichetta che ha distribuito il mio disco Les amants de Magritte. Ero un po’ stanco dell’andazzo italiano e dell’assenza di serie politiche culturali».
Cosa ti infastidiva maggiormente di quello che chiami andazzo italiano e quali, invece, ritieni siano gli elementi che caratterizzano meglio il sistema francese?
«Dell’andazzo italiano mi ha sempre infastidito il favoritismo, presente in tutti i campi della vita pubblica e privata. Sono infastidito dal cattivo gusto imperante e dal fatto che lo Stato non pone alcun freno al crescente degrado della cultura popolare. In Italia gli artisti veri fanno una fatica immane a imporsi. In Francia non è tutto perfetto, ci mancherebbe, ma noto che le sale concerti sono spesso piene e i teatri ancora tutti aperti».
Ritieni che la decisione di esprimere la tua sensibilità artistica sia più vicina al pubblico francese anziché a quello italiano?
«Credo la mia sensibilità possa fare breccia sia in Francia che in Italia, basta trovare soltanto i canali giusti di promozione. I francesi, però, forse sono più attenti e hanno un maggiore rispetto per chi esercita la professione di musicista».
L’ultimo tuo lavoro con il contributo di bravi artisti italiani è uscito prima in Italia e poi in Francia. Prima nel nostro Paese per quali motivi?
«È la mia etichetta francese (Disques Dom- Forlane) che ha deciso di far uscire il disco in anteprima in Italia allorché ero in concorso con diversi premi musicali, uno tra i quali, il più prestigioso, il Premio Tenco, dove mi sono aggiudicato con Il sogno di Partenope un posto nella rosa dei cinque album di interpreti più bello dell’annata».
Risiedere a Parigi è una scelta esclusivamente artistica o ci sono altre ragioni?
«Entrambe. Mi piace stare a Parigi, ma torno molto volentieri in Italia».
Quali le condizioni indispensabili per un tuo ipotetico rientro nel nostro Paese?
«Tornerei volentieri se ci fossero più spazi di promozione culturale e soprattutto se si limitassero gli spazi pubblici e privati alla musica che inquina e degrada il tessuto sociale italiano».