Sono passati ormai due secoli da quando le civiltà occidentali hanno generato la cosiddetta società dei consumi, cioè quel tipo di società industrializzata in cui la massa acquista numerosi beni, assolutamente non essenziali, in modo pressoché indiscriminato. Il fenomeno del consumismo ha anche portato, negli anni, a considerare l’individuo come un soggetto passivo che subisce l’attrazione che i beni esercitano e, schiavo del mercato e del tutto impotente, è inevitabilmente trascinato all’acquisto.
In realtà, dalla nascita dei beni di consumo, le cose sono un po’ cambiate e anzi i consumatori hanno iniziato ad acquisire un ruolo attivo non solo nella partecipazione all’acquisto, ma anche all’esercizio del potere. Quello che oggi stiamo sperimentando parte da un radicale cambiamento dei rapporti tradizionali, come quelli tra cittadini e istituzioni e tra produttori e consumatori. In questo contesto, il modo di esercitare il potere, da parte del popolo, ha subito delle modifiche: non è più solo tramite il ruolo di cittadino che il soggetto esercita attivamente il suo potere sulle istituzioni – per esempio tramite il voto o la protesta –, ma anche tramite il ruolo di consumatore, attento ai risvolti etici e politici dei suoi atti d’acquisto.
Questa nuova prospettiva prende il nome di consumo critico, proprio perché i consumatori hanno raggiunto una nuova consapevolezza riguardo le loro scelte. Ciò che è diventato chiaro è la non neutralità di qualunque preferenza di acquisto perché le decisioni dei consumatori hanno conseguenze sia sui processi di produzione sia su questioni di interesse collettivo. Ogni scelta d’acquisto può influenzare negativamente e positivamente l’ambiente e gli ecosistemi oppure contribuire a consolidare o scalfire gli squilibri sociali a livello mondiale. Ed è così che gli individui esercitano un nuovo potere, orientando la produzione e la distribuzioni dei beni, non semplicemente in base alle preferenze, ma in base a scelte di tipo etico.
Negli ultimi anni, infatti, sono cresciute le iniziative di consumo critico che si traducono in boicottaggio di consumo e azioni di protesta simbolica. I target delle proteste non sono i governi e le strutture politiche, ma proprio gli attori che operano sul mercato e i cittadini stessi che vengono sollecitati a farsi carico degli effetti dei loro comportamenti privati, anche un semplice acquisto non eticamente condivisibile. Inevitabilmente, ne consegue che le aziende debbano mostrare maggiore attenzione non solo alle esigenze pratiche dei consumatori, alle loro preferenze personali, ma anche alla sfera sociale e valoriale che essi intendono seguire.
Emblematico si rivela il caso della Nike, l’azienda di abbigliamento sportivo, che è stata spesso protagonista di numerose crisi d’immagine e dei valori a causa di scelte di produzione ritenute eticamente inaccettabili. Nell’ultimo ventennio, infatti, sono trapelate più volte informazioni sulle condizioni degli impianti produttivi: violazione dei diritti umani, lavoratori sfruttati e sottopagati e impiego minorile degli stabilimenti situati soprattutto in Cambogia sono le notizie che hanno agitato l’opinione pubblica. E la reazione dei consumatori è stata quella di mobilitarsi in numerose campagne di boicottaggio, rifiutandosi di acquistare prodotti Nike e danneggiando gravemente le vendite e i profitti dell’impresa.
Il caso del brand sportivo non è certamente isolato, ma anzi moltissime multinazionali si sono ritrovate a fronteggiare i risvolti di una globalizzazione che permette agli individui di essere informati e di dar vita ad atti di protesta silenziosa con la speranza di migliorare il mondo. Questi enormi cambiamenti nel comportamento del consumatore dipendono da una nuova consapevolezza. Come nel passato, mediante il consumo, l’attore sociale esprime se stesso e comunica la propria posizione. Ma adesso c’è un passaggio successivo: egli giustifica la propria condizione di benessere attraverso i risvolti valoriali delle proprie scelte d’acquisto. Soprattutto, esercita un potere che non aveva mai sperimentato prima e che fino a ieri era riconducibile esclusivamente a grandi istituzioni o potenze mondiali.
Ora, invece, la nuova forza del consumatore sta nel suo essere un attore sociale che può dare origine a un cambiamento significativo alle relazioni economiche e politiche a partire dalla sua consapevolezza, per esempio sapendo cosa c’è dietro un prodotto e trasformando l’esperienza del consumo in una progressiva presa di coscienza. In questo modo, ogni individuo, indipendentemente dal suo ruolo sociale, si investe di una nuova responsabilità e assume il potere di influenzare assetti mondiali, semplicemente nel piccolo delle proprie scelte di consumo.