È arrivato a Ibiza, località amata in prevalenza dai giovani per la sua variegata offerta di divertimento, in punta di piedi cominciando da subito a noleggiare ombrelloni e vendere biglietti per gite in catamarano. Ha fatto il cameriere in una discoteca per VIP per poco tempo, tanto è stato il disgusto nel dover assistere sia al tipo di vita che a tanto spreco di danaro. Così, forte dell’esperienza maturata nel campo della ristorazione, ha voluto coniugarla con le competenze acquisite nel corso dei suoi studi, un’alimentazione vegetariana con la filosofia mediterranea, una decisione che sembra contrastare con la realtà dell’isola almeno nell’immaginario collettivo.
Cosma Damiano Grasso ha aperto il Caos Ibiza che, egli stesso definisce, è più e meno di un ristorante, più e meno di un punto di incontro, più e meno di un percorso alimentare storico e contemporaneo. Personaggio del tutto singolare, con idee chiare e scelte coraggiose, per lui l’improvvisazione non trova spazio, tutto è fatto secondo logiche precise che gli danno ragione, avendo da tempo ritorni soddisfacenti e un successo lusinghiero che continua.
Di certo non si può dire che te ne sei stato con le mani in mano: una laurea, due master e molteplici attività dalla costa flegrea a Roma, poi negli USA e, infine, a Ibiza dove ormai risiedi da un po’ di tempo. Cosa ti ha convinto che la bella isola delle Baleari rispondesse in pieno alle tue aspettative? E perché non l’Italia?
«Fin da adolescente immaginavo di poter vivere in riva al mare. Ibiza non è solo l’isola delle discoteche e della trasgressione. Sull’isola ci sono posti, come quello dove vivo, che hanno tutte le caratteristiche di un Mediterraneo appartato, antico e moderno. Mi piace il brusio dei molti linguaggi che si usano qui, il parlare ora in inglese ora in tedesco o in russo; mi convince la civiltà quotidiana, l’organizzazione dei servizi, il potersi muovere a piedi, in moto, sullo skateboard, in bicicletta. Ho provato a lavorare in Italia ma nella mia nazione tutto è più difficile e mortificante, devi stare sempre col cappello in mano per ottenere diritti che sono tuoi, entri a lavorare come precario e rimani precario (praecor, pregare). Tantissimi altri giovani italiani hanno fatto scelte come la mia».
Come è stata l’accoglienza degli abitanti dell’isola, tenuto conto che a impiantare un’attività commerciale sia stato uno straniero?
«Qui non è un problema particolare iniziare un’attività, anzi, ti aiutano dandoti tutte le informazioni necessarie. Le leggi vengono rispettate e sono severe con chi fa il furbo. Del resto, l’isola ha carattere internazionale e gli esercizi commerciali sono in maggioranza di stranieri. Ho vissuto per decenni nei Campi Flegrei, che hanno caratteristiche e potenziale incredibili ma non l’apertura mentale che c’è qui. Se metti su un’attività nei Campi Flegrei, o a Napoli, il primo problema che devi affrontare, a parte la burocrazia e le sue angherie, è la gelosia del vicino che ti vede come un concorrente e non come un alleato. Ovviamente, non è che qui sia un paradiso ma ci conosciamo tutti, siamo in genere solidali, il successo del mio vicino è anche il mio successo».
Notoriamente Ibiza è considerata, nell’immaginario comune, la patria del divertimento, dei giovani. La tua attività, con l’apertura di un ristorante il cui nome non mi ne sembra rispecchi la realtà, Caos, ha riscosso un gradimento significativo tanto da dover ampliare considerevolmente il numero del personale anche, ritengo, in base a una precisa scelta di campo e a un’attenta selezione della clientela. Come sei arrivato a dare un’impostazione così precisa e mirata?
«Il nostro locale si chiamava già Caos e stava per chiudere prima che lo rilevassimo io, Marta e un cuoco basco, Unai. Abbiamo mantenuto l’insegna perché, nella teoria del tutto, è il caos che genera l’ordine e l’entropia del vivente fa tornare tutto al caos. Il perché della nostra impostazione nasce anche dal desiderio di rendere operativi gli studi universitari sulle latent class analysis, tecniche rivolte a intercettare bisogni non espressi. La scelta di campo è quella vegetariana e il rispetto per tutto ciò che vive. Ma devi crederci tu per primo. Io praticavo pesca subacquea fino a quando ho sentito nelle mie costole lo stesso dolore di un pesce fiocinato».
Come sei riuscito a coniugare le tue competenze nella ristorazione con quelle di coaching e psico-immuno-endocrinologia? Occorre che ci spieghi queste non comuni scelte…
«Hanno giocato un po’ il caso – caos? – e la necessità. La psico-immuno-endocrinologia è una disciplina che osserva l’interazione tra il sistema neuroendocrino e quello immunitario. L’attività di coaching richiede la somministrazione equilibrata e individuale di energia mediante l’alimentazione. Ciascuno ha già nel proprio corpo ogni agente adatto a guarirlo. Il cibo, in tale ottica, è un elemento importantissimo, fondamentale. Aiuta ad aiutare il corpo e, di conseguenza, la mente. Si tenga presente che a Ibiza ci sono molte comunità che praticano la meditazione e i cui membri sono spesso nostri clienti. Queste conoscenze, approfondite durante i master in psicologia dello sport, era normale applicarle al Caos, farne il suo segno distintivo. Tale scelta impone standard elevatissimi ma proposti con molta umiltà e semplicità, a cominciare da come si presenta il Caos, un luogo di sosta tranquilla e senza ammennicoli, dal modo in cui il personale interagisce con i clienti. Chi viene qui se ne va carico di energia e ci ritorna anche solo per un caffè il cui aroma è intriso di Caos. Il nostro, lo dico da napoletano, è il migliore dell’isola. Ricordate i luoghi dove nel Settecento in Europa si serviva caffè? Il caffè era una scusa per discutere di altro, magari di rivoluzione o di arte. L’atmosfera è quella».
Una curiosità: hai accennato, all’inizio della nostra chiacchierata, che al Caos i sorrisi sono gratis. Cosa intendi?
«Inconsapevolmente, le persone avvertono, tramite i messaggi della muscolatura involontaria e volontaria, se un sorriso è stampato o sincero. Nel primo caso, il sorridere è vissuto come un piccolo costo in termini di umanità e accoglienza. A noi del Caos questo lavoro piace, ci sentiamo liberi, gioiosi. Questa libertà ed empatia sono percepite dai clienti che, poi, ti raccontano la loro vita, si sentono senza etichette. Un semplice frullato fatto da noi li riporta all’infanzia, ha il senso di una carezza».
Giacché ci siamo, un’altra tua affermazione non solo mi è piaciuta ma mi ha anche incuriosito: il successo consiste nel piantare utopie per raccogliere realtà. Ci spieghi meglio?
«Piantare utopie per cogliere realtà è un aforisma di Carlo Petrini, il fondatore dello slow food in Italia. Al Caos indossiamo magliette con la scritta vietato mangiare veloce. Sono bandite l’ansia, la voracità, l’ingozzamento. Ripeto: se sorridi con sincerità al cliente, l’effetto mirroring (rispecchiamento) è meccanico e al cliente cadono le difese, il sospetto, le ubbie, si toglie ogni armatura sociale. Del resto, le nostre proposte alimentari non sono adatte per quei comportamenti, puntano a un sensigramma, al pentagramma dei sensi».
Ritieni che Ibiza sia un traguardo oppure qualche altra utopia potrebbe diventare realtà altrove?
«Sì, credo di aver realizzato, in piccolo, un’utopia, favorita da condizioni ambientali. L’utopia è il motore della storia, che si realizzi o meno. I sistemi informatici, per come li conosciamo, sono nati negli USA, in uno scantinato dove lavoravano due giovani. Utopia è anche salvare il pianeta. Ipazia, la prima donna-scienziata ad Alessandria d’Egitto, era un’utopista. Ricordo in merito alcuni versi di Mario Luzi: Anche tu sei nel gioco/anche tu porti pietre/rubate alle rovine/verso i muri dell’edificio».