Due ombre si confondono tra le dissolvenze su una carta da parati sbiadita. Si sfiorano, sembrano quasi mescolarsi, poi passano l’una fuori dall’altra per restare distanti. Sono due solitudini: quella della protagonista che dà il titolo al film, Rosa, un’esile donna del Sud sulla sessantina, e quella di Igor, suo marito, uno sloveno dal corpo massiccio. Da tre anni, hanno perso la figlia minore, Maja, mentre Nadia, la maggiore, sta per sposarsi.
Rosa vive intrappolata nel ricordo della figlia scomparsa – come si potrebbe biasimarla? – e addirittura si è già fatta sistemare un loculo nella cappella in cui hanno sepolto la ragazza, per lei luogo di continui pellegrinaggi. Igor, invece, cerca di tirare avanti, anche se in segreto ripara la barca che ha visto morire Maja. Tra i coniugi le cose non funzionano più, i due vivono da separati sotto lo stesso tetto, quello che Rosa, tranne per recarsi al cimitero, non abbandona mai, rifugiandosi in una casa la cui atmosfera stantia riflette bene il suo stato d’animo. La protagonista è una donna che ha perso la ragione di vita e nemmeno l’imminente matrimonio di Nadia riesce a distrarla dal suo dolore. Solo la scoperta casuale di un mondo che Maja le aveva tenuto nascosto riesce a scuoterla: è il salone di una parrucchiera nel cui retrobottega alcune donne si riuniscono per parlare di sesso e comprare sex toys, quelli che la ragazza vendeva insieme a Lena, la proprietaria del locale nonché sua amica del cuore.
La conoscenza di questa realtà insospettata porterà Rosa su un percorso di riscoperta di sé e della sua femminilità che la condurrà fuori da quella dimensione dimessa dell’anima in cui era sprofondata. La riappropriazione del proprio corpo come strumento di piacere sarà l’occasione, per lei, da un lato di riavvicinarsi a una figlia con la quale comunicava poco, dall’altro di approdare a una rinascita fisica e spirituale. Rinascita che passerà soprattutto attraverso un rinnovato senso del tatto che Rosa aveva ormai dimenticato e mortificato e che, grazie alle pratiche offerte da Lena, comincerà gradualmente a sperimentare.
La scoperta di un universo imprevedibile dietro la vita di una persona cara perduta ricorda molto lo spunto narrativo de Le fate ignoranti, forse il miglior film di Ozpetek. E, infatti, la solidarietà che si viene a creare tra Rosa e le donne che frequentano il salone rimanda in una certa misura alle famiglie acquisite i cui legami sono più sinceri e profondi di quelle naturali che così spesso hanno caratterizzato la filmografia del regista turco. La complicità femminile, inoltre, si rifà alle atmosfere del miglior Almodóvar.
La vera forza di Rosa, però, risiede nella straordinaria e coraggiosissima performance di Lunetta Savino che non si tira indietro di fronte ad argomenti che in altri contesti potrebbero diventare pruriginosi o, peggio, ridicoli e che qui, complice l’attenta regia di Katja Kolja nonché una sceneggiatura molto elegante, vengono trattati con una sensibilità partecipe dell’interiorità della protagonista. L’attrice non si sottrae a scene delicate in cui riscopre il rapporto con il proprio corpo e le affronta con una naturalezza e un pudore che rendono l’atmosfera filmica lieve e conturbante al tempo stesso, senza tuttavia scendere in eccessi. La recitazione è giustamente trattenuta, implosa per buona parte del film finché la riscoperta di sé non dona sollievo a quei tratti sempre tesi dal dolore.
Lunetta Savino assicura credibilità e, perché no, sensualità a un personaggio che in mano ad altre attrici e ad altri cineasti avrebbe rischiato di stonare. A tal proposito, ricorda la delicata tenacia dell’indimenticabile Irina Palm (2007), la nonna interpretata da Marianne Faithfull che per aiutare il nipotino affetto da una malattia rara si creava una carriera in un locale per soli uomini, masturbando i clienti tramite il cosiddetto Glory Hole. Anche in quel caso, un argomento scabroso veniva trattato con una sensibilità tale da farci empatizzare completamente con l’eroina Maggie/Irina. Senza lasciarsi andare ai paradossi del film inglese, però, Rosa si mantiene sempre entro certi toni e, anzi, un’eventuale deriva in facile commedia – rischio verosimile per le scene ambientate nel circolo femminile dei sex toys – viene scongiurata grazie a una sceneggiatura della stessa regista, insieme con Tania Pedroni ed Elisa Amoruso – regista, a sua volta, di Chiara Ferragni Unposted –, che non fa mai perdere il vero fulcro della storia e cioè Rosa con il suo mondo interiore.
Katja Kolija traduce la vicenda in immagini perfettamente coerenti alla delicatezza del racconto: lente carrellate in avanti corrispondono sempre a momenti di disvelamento dei sentimenti, sia quando Rosa si presenta a Lena con un bellissimo e sentito monologo in cui esprime tutta la sofferenza di una donna che si è sposata troppo presto e che ha riposto nelle figlie le proprie speranze e proiezioni, poi svuotata dalla morte di una delle due, sia quando Lena condivide con Rosa il dolore e il senso di colpa per non essere riuscita a impedire la scomparsa di Maja. In entrambe le scene la telecamera ci porta direttamente dentro l’interiorità delle protagoniste, ormai a loro volta amiche. Ma mentre nella prima ci troviamo tra le pareti del salone di bellezza, nella seconda siamo invece sul molo. Gli spazi in cui si muove Rosa, infatti, all’inizio chiusi e quasi claustrofobici, in linea con la sua rinascita si aprono sempre più. La donna comincerà a frequentare il mare, i luoghi del marito manovale – verso il quale, forse, sarà possibile un riavvicinamento – e, soprattutto, i posti legati alla figlia quando era ancora in vita. La bellissima Trieste, città in cui è ambientato il film, non fa solo da sfondo, bensì è un vero e proprio personaggio, malinconico e potente, terra di confine tra due mondi, quello italiano e quello sloveno, tra cui Rosa oscilla in modi insospettabili che non possiamo svelare.
La messa in scena pacata, mai urlata, le inquadrature, alcune belle come quadri, soprattutto i campi lunghi in cui a dominare sono il cielo e il mare e le persone diventano minuscole in un paesaggio che si fa specchio dei moti dell’anima, o le riprese la cui durata permette un tempo di lettura che va oltre la superficie di ciò che vediamo, scavando nel mondo interiore di Rosa, costruiscono una storia che, siamo sicuri, continuerà sottotraccia a muoversi nell’animo dello spettatore anche dopo la visione. Un gioiellino, quello prodotto da minimum fax media, disponibile nelle sale ancora oggi e domani. Un’occasione da non perdere, quindi, per lasciarsi sorprendere da un’inedita quanto brava Lunetta Savino. Affrettatevi!