Io sono nato in Sicilia e lì l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall’aspra terra natia circondata dal mare immenso e geloso.
Con questa citazione di Luigi Pirandello, tratta dal suo discorso in ricordo di Giovanni Verga, è possibile introdurre il tema dell’incontro tenutosi a inQuiete, il Festival dedicato alle scrittrici nato da un progetto della Libreria delle donne Tuba e dell’Associazione MIA, che ha visto protagoniste due autrici affermatesi con successo all’interno del patrimonio letterario degli anni 2000: Chiara Gamberale e Nadia Terranova. Colleghe che si sono scambiate opinioni e curiosità, chiarendo i soggetti di fondo dei propri romanzi, mossi tra l’isola e l’abbandono, strettamente connessi tra loro.
Chiara Gamberale, nata a Roma nel 1977, dopo l’esordio del 2004 con il romanzo Una vita sottile, oggi, dopo ben dodici testi apprezzati e ristampati, è in libreria con L’isola dell’abbandono. Un libro dedicato a chi resta, che si affaccia in storie che si intrecciano con un filo sottile e quasi impercettibile, come quello che Arianna – la protagonista che presenta un chiaro riferimento al mito di Teseo – tiene legato a sé per paura di una solitudine inaspettata. Il detto piantare in asso infatti fa riferimento proprio alla mitologia – non esplicitamente citato perché i miti quando non siamo noi a parlare di loro sono loro a parlare di noi – e a Teseo che a un certo punto, durante il viaggio, deciderà di abbandonare la sua amata nell’isola di Naxos, il luogo in cui Chiara Gamberale afferma il suo romanzo, affermando di esserne affettivamente legata.
Questo luogo circondato dal mare rappresenta per l’autrice un margine di protezione, un confine delimitato che le permette di trovare se stessa e l’ispirazione per scrivere. Un’isola importante nella sua vita, però, è anche quella di Procida dove la Gamberale, in collaborazione con la casa editrice Nutrimenti, organizza un festival di letteratura che punta a condividere delle storie e a farle ascoltare in un’ottica quotidiana che si erge verso lo straordinario. L’isola e l’abbandono, inoltre, ci fa notare la stessa autrice, sembrano avere un punto di incontro piuttosto saldo. Un tema trattato anche in alcuni dei suoi romanzi, dedicati appunto ai sopravvissuti e a chi decide di fare dell’isola il suo luogo protettivo.
La comunanza tra i libri di Chiara Gamberale e Nadia Terranova si trova, poi, nel rapporto con gli uomini e nella speranza di riuscire a trovare nell’altro una protezione, il cosiddetto dionisiaco che permetterà a entrambe le protagoniste – Arianna in L’isola dell’abbandono e Ida in Addio Fantasmi – di non aver più paura, adottando una strategia di sopravvivenza. Riguardo all’amore come strumento remissivo alla solitudine, infatti, è proprio la Gamberale a spiegare al lettore che in amore si dice che c’è chi fugge e chi rincorre, ma questo non è vero perché in realtà fuggono entrambi perché una donna che sceglie di stare con un uomo che scappa sta facendo la stessa cosa, anche chi rincorre in realtà non vuole una relazione perché sta scappando dal rischio di chi non riesce a gestire una storia stabile dove ci sia una connessione psicologica ed emotiva. Perché a persone come Arianna e Ida fa paura.
Ma l’isola viene vista anche come un limite soffocante da cui si fugge e che a volte presenta un non ritorno. Se la Gamberale nutre un amore profondo per il luogo delimitato dal mare, infatti, al contrario, Nadia Terranova su un’isola c’è nata ma, dove i suoi anni a Messina, si è successivamente trasferita a Roma per dedicarsi alla stesura del suo primo romanzo, Gli anni al contrario, vincitore di diversi premi tra cui il Bagutta Opera Prima e il Brancati. Si è dedicata inoltre alla scrittura di libri per ragazzi e il suo ultimo romanzo, Addio Fantasmi, pubblicato nel 2018 è entrato nella cinquina finale del Premio Strega 2019.
A Nadia Terranova abbiamo fatto alcune domande sui temi a lei più cari, cercando di comprendere come una siciliana amante della sua terra, al pari di molti importanti autori del passato, ricerchi la sua ispirazione, affacciandosi da una finestra che ha come limite ultimo il mare.
Molte volte l’isola viene connotata come distante e distaccata. Stando alla definizione di Chiara Gamberale, essa è percepita quale limite soffocante da oltrepassare ma varcato talmente tanto che spesso resta in disparte, dimenticato. Tu, come molti altri – ripetendo in parte il tema del romanzo – trasferendoti altrove hai abbandonato l’isola. Pensi un giorno di tornare a vivere in questo luogo delimitato, ricercando ancora una volta quelle immagini vivide presenti in Addio Fantasmi?
«Ho capito tardissimo di essere nata su un’isola perché la Sicilia è molto grande, non si presenta come un posto sperduto al mondo. Il mio confine era il mare e ho capito che la mia era una condizione diversa rispetto a coloro che erano nati in altre regioni perché, per spostarmi, dovevo prendere un mezzo di acqua o di aria, e Messina è una delle poche città che guarda al continente. Quando mi affacciavo alla finestra avevo come orizzonte una terra ferma di fronte e questo mi ha reso un’isolana assoluta ma anche un po’ particolare, tuttavia ho capito di essere isolana attraverso la letteratura, quando ho cominciato a leggere le Cento Sicilie di Bufalino e, anche, ad apprendere il concetto di solitudine raccontato da scrittori e scrittrici siciliani. La mia isola è, inoltre, anche un luogo vulcanico perché sotto ha il ribollire, quindi per me il contatto con il pericolo era naturale, in fondo essa è un vulcano in mezzo al mare. Ho avuto l’impressione che una volta che me ne sono andata da Messina, questo concetto sia diventato una sorta di definizione costitutiva della mia identità per cui io sono a tutti gli effetti un’isolana nel mondo. Ho casa a Messina e quindi ho casa su un’isola, non so se continuerò a vivere là o a vivere in questo quartiere, che in ogni caso è un’isola pedonale. Per il momento, la Sicilia è la cosa che sento più mia per cui so che ancora continuerò a fare andirivieni fra la terra ferma e la terra circondata dal mare».
Il concetto di abbandono e l’isola sono spesso connessi tra loro. È comune, infatti, la forma di chi, stanco di tutto, vorrebbe abbandonarsi a se stesso e andare a vivere in un luogo il più lontano possibile. Pensi che il tuo romanzo avrebbe avuto lo stesso peso e scatenato le stesse sensazioni se fosse stato ambientato altrove?
«No, credo che Addio Fantasmi possa essere possibile soltanto perché è scritto su un’isola e che quell’isola dovesse essere per forza la Sicilia così come il confine non poteva essere altrimenti che lo Stretto. Ho voluto ambientare il romanzo a Messina per una serie di ragioni che hanno a che fare con i limiti dello Stretto e quel particolare tipo di ritorno che è il riavvicinamento all’isola. Addio Fantasmi è un romanzo siciliano fin dentro la struttura».
Con Chiara Gamberale avete discusso riguardo al tema dell’abbandono, le protagoniste dei vostri libri sentono una forte paura e nostalgia, la mancanza di qualcosa che verrà poi colmata con l’amore. Secondo te, trovare in un’altra persona un senso di stabilità e sicurezza e anche un forte sentimento, può, nella realtà, redimere questo vuoto?
«No, credo che l’amore e l’abbandono vadano sempre di pari passo, non c’è un amore che ti possa mettere a riparo da questa paura, che è poi quella di essere abbandonati, di rimanere soli, semplicemente per il fatto che quell’altra persona può morire e quindi può abbandonarti anche senza volerlo. Quindi, credo che le strategie per difendersi dall’abbandono vadano cercate altrove, per quanto l’amore sia un sentimento bellissimo e per quanto si creda, tutte le volte, che possa essere eterno. Secondo me, chi soffre di abbandono dovrebbe guardarsi intorno e pensare che dietro a ogni persona c’è sempre una sofferenza e un’assenza e che tutti noi siamo sempre e nello stesso momento abbandonanti e abbandonati».
Da cosa è nata l’ispirazione per iniziare a scrivere questo libro?
«Volevo raccontare Messina e lo Stretto, ma anche questo personaggio femminile così anticonvenzionale e diverso, una persona non materna come ci si aspetta, distinguendola un po’ dagli stereotipi».
Stai già pensando a un altro romanzo, magari sempre ambientato su un’isola?
«Sì, ci sto lavorando e lo vorrei ambientare di nuovo a Messina, la Sicilia per me è una buona fonte di ispirazione, c’è qualcosa lì che mi appartiene e mi riguarda».