Uno dei temi più discussi negli ultimi anni, principalmente sui social, è quello dell’informazione indipendente e della libertà di pensiero. Un tema che è divenuto festival e motivo di dibattito presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, durante il quale giornalisti, scrittori, esperti del settore e studenti hanno cercato di chiarire cosa, realmente, lo scrivente e il lettore intendano per giornalismo libero, puntando al bisogno di informarsi, pensare e scegliere.
Diversamente rispetto al passato, presupposto che la diffusione delle notizie è cambiata in maniera radicale con l’influsso tecnologico che ha inciso su una maggiore rapidità del messaggio portando a un’ulteriore diffusione anche di quelle che si definiscono fake news, oggi vige una profonda necessità di interrogarsi su tematiche scottanti e impellenti e, soprattutto, di tentare di capire in che modo una notizia viene trasmessa.
Il singolo individuo, essendo parte di una comunità globale, si aspetta che la comunicazione gli permetta di comprendere quello che è il mondo complesso in cui viviamo. Per fare in modo che questo si realizzi, però, sono necessari fatti e opinioni attestate poiché ognuno chiede una testimonianza più possibile di verità. In un tale clima, dunque, una riflessione filosofica e sociologica è necessaria: pensiamo, ad esempio, alla carta stampata, finita ormai quasi fuori moda portando alla trasformazione della metodologia della notizia, sempre più veloce in un’epoca nella quale c’è poco tempo per la riflessione. L’impressione è che si privilegi il cosiddetto uomo morde cane e non cane morde uomo. Dovremmo quindi inoltrarci all’interno di quell’industria che pone lettore e autore nelle condizioni di formare una propria e personale opinione e un libero pensiero. Allo stesso modo, la comunicazione deve fare un salto di qualità, consentendo ai giovani che vorrebbero cimentarvisi di trovare esempi da seguire – perché ne hanno bisogno – e guardare ai processi di sviluppo a favore dell’uomo con una rappresentazione delle realtà che noi non possiamo vedere.
Un festival del giornalismo, quello tenutosi a Roma, che ha spiegato il lato “oscuro” del mestiere, un percorso pieno di ostacoli che, come sostenuto dal Direttore de la Repubblica Carlo Verdelli, necessita di coraggio. L’evento è stato organizzato dalla Rete #NoBavaglio – nata da giornalisti e attivisti nel 2015 da un appello a difesa della libertà di informazione – e dagli studenti dell’UDU, l’Unione degli Universitari de La Sapienza, tra l’altro sede della manifestazione perché palestra di libertà, un luogo di sogni e progetti che racchiude la molteplicità delle opinioni che devono essere autonome così come il pensiero e l’informazione per far in modo che si solidifichino quali pilastri della nostra politica. Un diritto che è stato sottoposto alle sollecitazioni della comunicazione di massa e della tecnologia con una rimozione e un’elaborazione continue ed estremamente significative.
A tal proposito, a trattare il tema dell’università come spazio in grado di stabilire mentalità libere e indipendenti è stato Daniele Ognibene, consigliere regionale del Lazio, ribadendo l’idea di fondo che debbano essere i ragazzi a proteggere la libertà di pensiero rompendo le barriere e i canoni precostituiti: «È necessario instaurare un rapporto con i giovani, con la libertà di Stato e una libera stampa in un libero Stato. Oggi il crollo delle vendite dei giornali è sotto gli occhi di tutti ma, di contro, ci sono tante forme di ricerca d’informazione. Dobbiamo districarci in un mondo in cui le notizie sono una valanga per riuscire a capire dove realmente ci siano le verità e dove invece troviamo il forte manifestarsi delle fake news. L’uomo contemporaneo, nella lettura di un quotidiano o di una semplice notizia creata all’interno dei social, non riesce più a distinguere la realtà dalla menzogna; la soluzione sarebbe l’invenzione e l’uso di strumenti per riuscire a codificarle. Probabilmente anche i grandi giornali non svolgono più la funzione di un tempo, così come i giornalisti si trovano spesso sotto assedio, tanto che coloro che vivono nella stampa locale non hanno alcun tipo di protezione. Le sentenze di adesso sono nate proprio da servizi giornalistici molto aggressivi e incisivi».
Il giornalista, dunque, vive un momento in cui la libertà è un baluardo della convivenza civile proiettato tuttavia in un mondo pieno di bufale e di ostacoli da superare per riuscire nel suo intento. Al contempo, deve comprendere come raccontare e utilizzare gli strumenti della creatività in maniera più interessante. Ecco che allora quello organizzato dalla Rete #NoBavaglio in collaborazione con l’UDU Sapienza non è stato un festival legato alla formazione della professione – sarebbe risultato scontato e restrittivo –, ma si è interessato al giornalismo partendo dal suo interno e dalla sua fragile indipendenza.
La libertà di stampa è proporzionale alla democrazia di un Paese in cui i diritti devono essere tutelati e difesi a partire dal contributo reciproco di ogni membro della società per capire come si può essere utili a essa. La parola e lo scritto, infatti, non sono altro che la manifestazione del nostro pensiero e del nostro essere. Tutti hanno il diritto di ribadire le proprie concezioni e, secondo la nostra Costituzione, la stampa non può essere soggetta a censure. La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo afferma che ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione. Una tutela fondamentale per le democrazie liberali che mirano a una coesistenza pacifica. Negli ultimi anni, però, il modo di fare e utilizzare l’informazione ha portato a una serie di notizie che spesso sono sfuggite al controllo. In questi limiti, dunque, il prodotto finale è stato generalmente l’odio. Ma come ci si salva da questo?
Nel corso della manifestazione ne ha parlato lo stesso Carlo Verdelli: «Per molti anni, quando qualche giovane veniva da me a chiedermi quali fossero le caratteristiche necessarie per divenire giornalista, io rispondevo quasi sempre: la curiosità. Poi, l’essere rispettosi dei lettori e dei telespettatori, in quanto il giornalista deve saper lavorare per loro provando a sintetizzare i concetti, principi che sono validi ancora oggi e continueranno a essere validi in questo mestiere. Aggiungerei il servizio nel senso proprio perché ci si mette al servizio per un titolo di giornale, per un articolo o filmato e questo comporta l’umiltà come valore nell’ascoltare e nel migliorarsi. Negli ultimi tempi, però, è necessario ancora un po’ di coraggio in più. Per fare il giornalista nel senso in cui lo chiede un giornale, ci si pone di fronte alla necessità di fare delle scelte che complicano la vita, altrimenti, se non le fai, non sarai mai un giornalista di successo, inizi a venir meno. La libera informazione è un fastidio necessario ma sopportabile. Nel nostro Paese, inoltre, si sono aggiunti alcuni elementi che fanno sì che le scelte dei singoli giornalisti abbiano un maggior rischio, da affrontare appunto con coraggio – che, come ho già detto, è fondamentale – e qualsiasi forma di potere reagisce peggio rispetto al passato nei confronti dell’informazione di chi si adopera per questo mestiere. Il coraggio nel tempo fa la differenza. Il giornalista non deve arrendersi e noi non dobbiamo arrenderci al fatto che alcune cose in questo Paese non le possiamo fare.»
Per quanto riguarda l’utilizzo delle nuove tecnologie, Verdelli ha poi sostenuto che un tempo, quando non esistevano i social, la propaganda non era spietata come adesso, il politico svolgeva tranquillamente il suo lavoro senza mettersi troppo in mostra: «I social sono oggi strumenti di diffusione velocissima e persuasiva dei messaggi che, per fare un esempio, hanno permesso il successo rapido e dilagante di Matteo Salvini per il quale il loro utilizzo è stato decisivo nella costruzione di un risultato elettorale clamoroso. Egli, infatti, incrocia le storie con una controinformazione che determina un corto circuito all’interno del quale dilaga un patrimonio di potere e di consensi in pochissimi giorni».
Il buon giornalismo deve battersi ogni giorno con le false notizie, altre che non possono essere pubblicate e altre ancora che scatenano l’ilarità dei politici o dei soggetti presi in considerazione. La domanda che dovremmo porci, allora, è come facciano i grandi giornali a fronteggiare tutto ciò. La risposta sarà di tentare di portare il giornalismo al miglior livello possibile, anche se non è sempre facile. Il giornalista, infatti, viene intimidito per non rivelare la verità. Ecco che, allora, affiora anche il tema della precarietà.
Notiamo, dunque, come oggi lo scenario sia cambiato, come la libertà di pensiero sia un fatto non compreso o sostenuto da tutti, la cui problematica enorme consiste nelle notizie che vengono prodotte grazie a mirate strategie e a un evidente intreccio tra le tecniche di comunicazione e lo sviluppo armonico della società. La necessità e la soluzione ultima, quindi, dovrebbe essere l’emergere e la considerazione dell’informazione accurata che è, infine, la specie pregiata della comunicazione.