Profumi reali, sontuosi palazzi, califfi e visir: indubbiamente sono questi i tratti vincenti dell’antica letteratura araba. Quella contemporanea invece appare, all’occhio disinteressato dell’occidentale medio, un coacervo di tristi e cupe parole orientate in due direzioni. Da un lato, realismo e denuncia come in Nazik al-Mala’ika, poetessa irachena che scrive sulla condizione femminile nel mondo arabo, dall’altro ripiegamento intimistico e a tratti crepuscolare come in Adonis, poeta siriano che predilige temi d’evasione nelle sue Cento poesie d’amore. Ma la letteratura araba ha orizzonti ben più ampi e confini in espansione che toccano le più inimmaginabili periferie oltre lo Yemen e il Kuwait. Più d’ogni altra realtà, esplora temi originali e inusuali, attualizzandoli e adeguandoli alle esigenze della contemporaneità con una presa diretta sul reale. Basti pensare all’ecologia cara alla letteratura mauritana.
Alla ricerca di nuovi stimoli nell’ipermoderno globalizzato, il mondo arabo approda nelle lande – tuttora deserte – della fantascienza, genere dallo sviluppo tardo eppure dinamico, di cui si può iniziare a parlare soltanto dagli anni Cinquanta e ancora senza una precisa definizione. Tale ritardo muove parallelamente alla lenta industrializzazione e all’importazione a lungo ostacolata della letteratura occidentale, principalmente inglese.
Nato da commistione di fonti e di influssi impiantati su un sostrato autoctono, il genere fantascientifico inevitabilmente ha connotazioni ben lontane dai tratti occidentali, mutando insieme al posizionamento geopolitico e a tutte le sue implicazioni. Penne innovative abbattono i confini con il mondo anglofono, non imitandolo pedantemente ma traendo spunti da attualizzare nel preciso contesto storico, mutando il paradigma della fantascienza occidentale.
Di forte impatto è stato l’11 settembre 2001 che ha generato il gusto per una fantascienza apocalittica, techno-thriller e romanzi improntati sul terrorismo. La Primavera Araba (2010 – 2011), invece, ha contribuito a diffondere un malessere generale e una delusione storica e umana riversata poi nel genere distopico, con Sabri Musa come primo autore. Tra le fonti occidentali indubbiamente 1984 di Orwell e Huxley. Nelle opere arabe, inoltre, tutte le paure umane si avverano e hanno luogo eventi tragici.
Tawfiq Al Hakim, ad esempio, è preoccupato delle sorti del mondo. Tra i principali autori di fantascienza distopica, drammaturgo, scrittore e saggista egiziano, dipinge una vita caotica e imprevedibile. La sua visione si riflette su scritti e personaggi paradossali, assurdi e irrealistici. In un clima dominato da oppressione e censura, inoltre, si protegge dietro le fitte maglie della fantascienza per affrontare scottanti tematiche sociali e politiche senza conseguenze repressive. Il suo obiettivo è risvegliare il nazionalismo e l’unione del popolo egiziano e, in un progetto più ampio, la coscienza collettiva in rapporto all’industrializzazione e alla tecnologia.
Nihad Sharif – il rappresentativo autore de Il vincitore del tempo, pietra miliare della letteratura araba – parla infatti del valore vitale della fantascienza, della sua funzione didattica e del ruolo di straordinaria importanza per i giovani. Definisce il genere come la letteratura del futuro, uno spazio di condivisione. Per questo macchina e progresso sono i temi cardine della sua poetica connessi all’espansione in scala internazionale dell’impatto industriale dell’Arabia. Le scoperte matematiche, fisiche e tecnologiche per lui devono necessariamente muoversi dallo studio del comportamento dell’uomo in relazione alla macchina. La parola forgia coscienza e la sua, di parola, vuole ridare dovuta importanza ai valori culturali e locali come un nuovo profeta.
Per evitare alienazione, meccanizzazione dell’uomo e annichilimento, Al Hakim utilizza racconti distopici, con una scrittura che mira a evitare nuovi errori. In un suo racconto intitolato Nell’anno del milione, immagina che l’uomo abbia perso tutte le sue prerogative umane: la riproduzione avviene in laboratorio, la decapitazione avviene tramite un “cambio” di testa, affiancando alla disumanizzazione la denuncia per la pena di morte.
Costante della fantascienza araba impegnata è infatti l’ossessione per l’eliminazione fisica del male e di tutto ciò che è assumibile come cattivo esempio. Per questo, nella conclusione di diversi romanzi, un elemento distruttivo riporta allo status iniziale eliminando ciò che l’uomo – con la sua sete di potere – ha creato. Al Hakim, dunque, sa bene che la conoscenza è l’unico perdono che si possa raggiungere. Capire l’uomo per perdonare l’uomo, capire le macchine per perdonare le macchine.
Rinnegarono l’autorità del dio esistente, “la scienza”, che aveva dato loro la potenza della “ragione”, ma, allo stesso tempo li aveva privati della benedizione del “cuore” e del piacere dell’“istinto”.
Il dibattito sulle sorti dell’umanità non si esaurisce qui. D’altronde il mondo arabo, specie i Paesi più sviluppati, non può solo guardare con paura e scetticismo al progresso. Anzi: la fantascienza araba protende con forza in avanti e con grande speranza. La letteratura si erge, quindi, a profezia di una realtà migliore e, soprattutto, più giusta. Il progresso è talvolta un’ancora di salvezza con l’abolizione di tabù radicati nella cultura religiosa. Centrale è il ricongiungimento con l’altro che, secondo l’esegesi orientale, potrebbe essere l’Occidente. Per questo motivo l’alieno è visto come un essere superiore e maggiormente civilizzato da cui trarre ispirazione e alla cui perfezione tendere per una realtà non più divisa né oppressiva. Il tema dell’altro da sé, migliore e compiuto, incarna quindi la costante ricerca degli autori di una realtà il più possibile affine allo spirito ottimistico diffuso nell’ultimo decennio nella popolazione, in una sorta di sensucht romantico verso l’intangibile.
È in questo clima che si colloca l’azione di Larissa Sansour, un’artista palestinese residente a Londra i cui robot cosmonauti – ironicamente chiamati Palestinauti – nel 2010 hanno attraversato la galleria Jack The Pelican a Williamsburg (New York) per raccontare le nefandezze della storia e la disperata necessità per il suo popolo di trovare un nuovo mondo, una terra vergine che non sia restia alle loro esigenze. Lo scopo? Conferire diritti e potere ai palestinesi dopo la loro espulsione nel 1948.
Ma il futuro è toccato dalla penna araba anche nel topos del viaggio. Lo scritto I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift era stato precursore dello scientific romance di Verne e successivamente della science fiction come fenomeno letterario di massa. Così, Le mille e una notte lo è per il filone fantascientifico arabo, ponendosi come cardine monolitico del canone orientale tramandato attraverso un’idea universale e fissa di letteratura dotata di stereotipi e tipicità che ne consentono la trasmissione.
Tra le fonti autoctone, invece, è lecito citare i maqamat, letteralmente assemblea, consesso, riunione. Si tratta di opere in prosa rimata risalenti al IX-XII secolo che si collocano alle origini della narrativa araba tra finzione e realtà, ricche di fantasia e invenzioni. Fondamentali sono anche i mirabilia, un genere della letteratura latina medievale inscrivibile nella letteratura periegetica e di viaggio, appartenenti soprattutto al movimento culturale del XII secolo, con una produzione copiosa di manoscritti che ebbero una grande popolarità e furono esportati nel mondo arabo nell’epoca del post-colonialismo.
Tema cardine della fantascienza araba, inoltre, è il viaggio nel tempo. Fra i più usati, l’argomento è anche quello più vicino al mondo occidentale: ricorrono infatti i medesimi espedienti narrativi e le caratteristiche tipiche della letteratura nostrana. La principale differenza – determinante – è quella della concezione temporale: a una percezione lineare, si sostituisce una percezione ciclica fortemente scandita. Basti pensare al ṣalāt. In arabo صلاة, è la preghiera islamica canonica da effettuare cinque volte al giorno in precisi momenti segnati dal richiamo dei muezzin dall’alto dei minareti. Voler superare i limiti fisici imposti dal tempo equivale, nell’immaginario arabo, a ribellarsi: pur mirando a viaggiare nel tempo, l’immortalità – che nei romanzi si ottiene o con l’elisir di vita o con l’ibernazione – viene condannata. È quello che fa, ad esempio, la scrittrice kuwaitiana Tibah Ahmad al-Ibrahim ne L’uomo sbiadito.
Ultimo tratto, che accomuna tutti i sottogeneri fantascientifici, è il sense of wonder. La ricerca di stupore e meraviglia ha un diretto riferimento ne Le Mille e una notte. All’epoca della Jahiliyya, i fenomeni naturali non trovavano ancora spiegazioni religiose. Si passò quindi ben presto alla ricerca di risposte nel mistico e nel magico. Nacque così, parallelamente all’islamismo, una venerazione del sublime kantiano che trova le sue più profonde radici nella filosofia del Tai Chi Chuan. Gli antichi saggi individuarono nella natura e nella sua meraviglia una sottile forza invisibile di origine cosmica in grado di reggere tutte le cose nel mondo. Alla ricerca tipicamente occidentale dello Stimmung corrisponde dunque la ricerca di meraviglia e stupore nella letteratura orientale.
Sfortunatamente, quella della fantascienza araba è una meraviglia poco conosciuta. Il mondo europeo e americano è stato totalmente imperniato su un total eye: l’occhio del maschio bianco, occidentale, eterosessuale e sano. Nella formulazione della norma è stato creato per contrasto e allontanando l’altro le cui caratteristiche si conoscono spesso in maniera solo approssimativa. Ma non solo l’Occidente ne è all’oscuro, lo stesso mondo arabo non è in grado di promuovere la propria cultura letteraria. La fantascienza è un genere relegato ancora ai margini, autori siriani sono ignari dell’esistenza di autori iracheni e così via. Nel 2009, però, in Siria è apparsa la prima rivista che ruota intorno a un comitato scientifico di scrittori provenienti da tutti gli stati della Lega Araba. Questo, si spera, potrà fornire negli anni a venire un maggior senso di comunità e appartenenza.