Tra le mura di Regina Coeli, nel cuore di Roma, si nascondono storie tanto interessanti quanto inaspettate. È il caso di Padre Vittorio Trani, conventuale francescano nato in provincia di Latina nel 1944. Sacerdote vecchio stampo, come dice scherzosamente, è impegnato nel carcere romano dal 1978, in cui svolge l’attività di cappellano storico al servizio dei detenuti. Vicino ai problemi della dimensione penitenziaria, inoltre, è presidente della Onlus Vo.Re.Co., Volontari Regina Coeli.
Proprio a Vo.Re.Co si deve la nascita della prima farmacia di strada, inaugurata a Roma il 16 settembre in collaborazione con Medicina Solidale, Assogenerici, Banco Farmaceutico, Ordine Nazionale dei Farmacisti e l’Elemosiniere del Papa. La farmacia, con un investimento di più di 7mila farmaci dal valore di 67mila euro, nasce nella sede della onlus in via della Lungara gestita da volontari ed ex detenuti. Il medico Stefano Giorgi spiega: «Arrivano qui perché hanno timore di andare nei pronto soccorso “normali” oppure sono rifiutati, non sono persone che dispongono del tesserino sanitario». Il progetto è da iscrivere in una serie di iniziative culturali e assistenziali per favorire l’inclusione sociale di chi ha lasciato Regina Coeli e aiutare cittadini bisognosi e senza fissa dimora.
Abbiamo parlato con Padre Vittorio Trani per comprendere il valore del suo volontariato e dell’aiuto spirituale e materiale.
Padre Vittorio, Lei è al servizio dei detenuti da più di 40 anni come cappellano del carcere di Regina Coeli. Crede ci sia un punto di contatto tra la Sua formazione sacerdotale e il compito che svolge?
«Secondo il mio parere strettamente personale, il sacerdote, se è abbastanza motivato e crede nella propria scelta di vita, trova il suo posto in qualsiasi campo dell’apostolato. Ovunque ha modo di aiutare e mettere in pratica gli insegnamenti della sua formazione e anche esprimere la sua stessa natura. Ogni campo per noi, oltre a essere possibile, è importante al pari di tutti gli altri. Con il tempo poi è probabile entrare maggiormente in sintonia con un preciso ambiente, come è successo a me con quello carcerario. Dopo 25 anni come cappellano feci una sintesi e una riflessione sul mio percorso di vita per giungere alla conclusione che non c’è campo apostolico più importante per un sacerdote delle carceri».
In questi anni di esperienze come ha visto mutare il volto del carcere, in particolare quello di Regina Coeli?
«È cambiato tantissimo da quando sono diventato cappellano carcerario. Negli ultimi 30 anni chi ha vissuto nel carcere ha visto mutare lo stile di vita interno, le abitudini, i luoghi comuni sul penitenziario. Prima, i contatti con l’esterno erano molto più limitati e coinvolgevano poche figure. Adesso c’è molto più spazio per i volontari che fanno un lavoro sistematico nelle carceri e organizzano manifestazioni in cui intervengono società esterne con corsi, iniziative e progetti che non esistevano quando ho iniziato qui il mio percorso. Il cambiamento molto forte lo sentono sia i detenuti sia coloro che ruotano intorno Regina Coeli, compreso me. Il carcere ha iniziato a coinvolgere di più invece che limitarsi a escludere».
E come sono mutati i rapporti di solidarietà tra i detenuti e con l’esterno?
«La solidarietà? Ormai è tutto. Io ho vissuto in prima persona il passaggio da un sistema meno recente alla situazione attuale del carcere. L’elemento che ha cambiato la percezione della società e di quelli che vivono all’esterno rispetto al penitenziario è stato il caso giudiziario Mani Pulite. Sembra strano, ma l’inchiesta di Tangentopoli ha fatto sentire a tutti che il carcere è un’esperienza che può trovarsi dietro l’angolo per chiunque: non è un ambiente lontano dal nostro vivere quotidiano e non è giusto che lo sia. Prima di Mani Pulite tenevo un corso di volontariato, ma avevo difficoltà e non riuscivo neppure a creare un gruppo di 10 persone che mi aiutassero nel carcere. Dopo, invece, ho dovuto circoscrivere a un massimo di 30 persone il gruppo perché non possiamo aprire a molti. Erano in troppi a proporsi e c’è stata una richiesta enorme per dare un proprio apporto all’interno di questa realtà».
In un’intervista di qualche anno fa ha dichiarato che in carcere ci si può confrontare con la massima povertà dell’uomo ma molto spesso anche con una forza straordinaria e un talento nascosto. L’inclusione sociale e la sensibilizzazione possono avvenire attraverso la promozione del talento?
«Quando si prendono iniziative che interpellano il profondo della persona, come la poesia, la pittura e altre iniziative culturali che coinvolgono l’anima, si ha di fronte la più bella manifestazione di ricchezza interiore, straordinaria e inaspettata. Ti faccio un esempio concreto: qualche anno fa chiamai a svolgere un corso di pittura un giovane professore con una metodologia molto originale. Iniziò con l’insegnare l’uso della matita per poi, man mano, arrivare a spiegare tutte le tecniche pittoriche. Il gruppo di persone che partecipò al corso non aveva mai toccato in vita sua un pennello, né mai pensato di volerlo fare; mai una matita, mai una gomma. Da questo corso abbiamo scoperto 4-5 autentici pittori che hanno poi continuato con la loro arte e hanno trovato non solo una passione, ma anche un modo per dar sfogo alle proprie emozioni attraverso la creazione. Dal carcere possono uscire opere straordinarie. Ogni anno facciamo un corso di laboratorio poetico e ogni volta siamo sempre sorpresi dalle poesie meravigliose».
Padre Trani, Lei è anche presidente di Vo.Re.Co., organizzazione di volontari di Regina Coeli. Quali iniziative promuovete attraverso la vostra onlus?
«Abbiamo due spazi pastorali: il primo è il carcere, con circa 120 volontari che svolgono diverse funzioni. La mansione più impegnativa è l’assistenza, che richiede la presenza costante di volontari con un servizio settimanale per garantire massima vicinanza a un preciso settore del carcere. È una vicinanza in primis di sostegno morale, di colloqui e ascolto, ma è anche un aiuto materiale. Molti detenuti non sono del territorio romano, molti sono stranieri che non hanno alcun appoggio familiare. Ma anche tanti italiani non possono contare su nessuno all’esterno e hanno costruito tutto il loro mondo all’interno del carcere. Qui c’è sempre la necessità dei beni più urgenti. Le iniziative principali sono di natura materiale e culturale. Il secondo spazio che abbiamo costruito è il centro di appoggio della dimensione carceraria che si trova nel centro storico di Roma, sul Lungotevere, che non è solo il punto di riferimento per ex detenuti ma per tutte le persone al margine della società che vivono con forti difficoltà».
Tra le vostre iniziative, il 16 settembre c’è stata l’inaugurazione della prima farmacia di strada a via della Lungara, gestita da ex detenuti di Regina Coeli.
«Sì, la farmacia è uno dei nostri tanti progetti nell’immediata prossimità del carcere. Come centro di volontariato aiutiamo ex detenuti e non solo. Il centro è aperto a seguire tutti coloro che sono in difficoltà, lungo il Tevere fino al colonnato di San Pietro. Vicino alla nostra farmacia, forniamo la colazione e su di noi ormai fanno tutti riferimento. Nell’arco della giornata arrivano 200-250 persone. La mattina diamo gratuitamente la colazione; la sera, invece, offriamo 30 cene perché disponiamo di uno spazio molto ristretto. Nell’arco della giornata abbiamo pizza, panini e bevande per chi ci chiede aiuto. In settimana ci sono iniziative di tutti i tipi: c’è l’ambulatorio di strada che consente un primo incontro con i medici; abbiamo a disposizione l’otorino, l’oculista, l’avvocato, il CAF e tutti i servizi necessari, come anche il ritiro e il lavaggio della biancheria. Sono piccoli servizi che vogliono aiutare la vita grave e difficile di chi vive per strada».
Come è avvenuta la realizzazione del progetto della farmacia e come la gestite?
«L’iniziativa della farmacia è nata come una cosa spontanea. Essendoci medici e servizi sanitari mancava la tappa finale di questo nostro impegno: dare le medicine e l’aiuto concreto a tutti i pazienti dell’ambulatorio da strada. Da 5 anni collaboriamo con Medicina Solidale che mette a disposizione medici e laboratori. Con loro abbiamo pensato di coinvolgere chi produce le medicine per suggellare un accordo che finalmente aiuta i più bisognosi. Dopo le visite gratuite che offriamo, era naturale pensare di offrire, o quantomeno provarci, un servizio come una vera e propria farmacia. Abbiamo collaborato con la Federazione Nazionale Farmacisti e con il Banco Farmaceutico. I due enti si occupano direttamente delle medicine e degli aspetti pratici, collaborando con noi per gli investimenti. Hanno aderito e permesso questo progetto bellissimo per la nostra comunità. Abbiamo aperto da poco e nella praticità quotidiana lavorano qui ex detenuti che hanno la possibilità di rendersi concretamente utili in una società che a volte li guarda di sbieco. Ogni sabato dalle 9 alle 12 i medici forniscono i medicinali necessari, ovviamente sotto precedente prescrizione. I medicinali di cui siamo forniti, inoltre, non sono utilizzati soltanto in questa sede a via della Lungara ma vengono smistati nei diversi punti in cui Medicina Solidale opera. È un’iniziativa bellissima in cui è confluito tutto quello in cui crediamo».